Una delle questioni più dibattute in filosofia è il principio di identità, il quale afferma che ogni cosa è uguale a sé stessa (A=A), ossia che una cosa non può essere nello stesso tempo “A” e “non A”. Tale assioma si affermò in forma esplicita come conseguenza diretta del principio di non-contraddizione aristotelico, secondo il quale «è impossibile che le affermazioni contraddittorie riguardo al medesimo oggetto e nel medesimo tempo siano vere[1]». Ne Il principio dell’identità (1957) Martin Heidegger, nel dichiarare il primato dell’esistenza sull’essenza, secondo cui esistere significa anzitutto attuare possibilità di agire (e non semplicemente di conoscere oggetti), contestò questa consequenzialità dimostrando l’obbligo del pensiero a smentirsi nel momento in cui la validazione di “A” deve necessariamente passare attraverso il suo sdoppiamento (A=A), che ne inficia la supposta unicità.
Queste obiezioni, che aprirono la strada alla logica intuitiva di matrice anglosassone e all’idea che la prassi debba precedere la conoscenza, suggeriscono un intrigante punto di partenza per introdurre la ricerca artistica di Elia Cantori, da sempre incentrata sull’indagine delle possibilità documentative e sintetiche della forma nella sua capacità di aderire al fenomeno-evento che le genera. Nella mostra Endless measurement l’artista riunisce un corpus di opere inedite accomunate dall’intenzione di mettere in crisi l’idea che le repliche di uno stesso referente debbano inevitabilmente generare copie identiche tra loro, ciascuna delle quali riproduce con lo stesso grado di fedeltà l’Uno originario da cui deriva.
Per invalidare questo presupposto, apparentemente inoppugnabile dal punto di vista logico, Elia Cantori si avvale della pratica del calco, da lui già in precedenza utilizzata come mezzo di moltiplicazione della differenza, e di procedure proprie dell’indagine scientifica, in particolare qui la misurazione, che traslate su un piano creativo danno adito a sorprendenti deflagrazioni di imprevedibilità. In spontanea affinità con l’incessante rovello filosofico a cui abbiamo accennato inizialmente, l’artista si immerge nell’impossibile tentativo di arrivare a una forma coincidente con l’essenza che, istigandolo a esperire la dissoluzione dell’essenza nel fenomeno, finisce per trovare il nucleo più autentico dell’«essere delle cose» nello stesso processo di ripetizione differente che sta all’origine della sua disgregazione iniziale.
Nell’installazione Untitled (Key) vediamo una sequenza potenzialmente infinita di calchi in ottone della chiave dello studio londinese di Elia Cantori, i cui materiali originali sopravvissuti alla demolizione erano già stati da lui compressi nel 2008 in una grande sfera bianca nell’opera intitolata Stanza. Le repliche della chiave, tutte diverse tra loro perché appartenenti a una catena consequenziale di fusioni in cui ciascuna copia diventa matrice della successiva, sono ulteriormente differenziate dal casuale aggregarsi sulle loro superfici di sottili lamine metalliche risultanti dal processo, che l’artista ha scelto di non rimuovere. Il fatto che la differenza si incrementi con le progressive integrazioni di tutti i successivi scostamenti dall’originale rende le chiavi inutilizzabili per aprire la serratura alla quale erano destinate, ma in questo sono altrettanto inservibili dell’originale, associata a una porta che non può più ormai dare accesso a nessun luogo. Tutte le chiavi sono invece perfettamente interscambiabili nell’assolvere la loro funzione di dischiudere all’immaginazione l’idea visiva di quella stanza ora inesistente, aspetto in cui risiede la loro ragion d’essere poetica.
Untitled (Matter of Gravity) è un calco in alluminio di un peso di 20 kg di ferro in cui la precisa riproduzione della forma del modello di partenza non scalfisce l’intrinseca difformità tra i due oggetti, uno dei quali prodotto proprio per essere utilizzato come unità di misura. La differenza di peso specifico tra i due materiali rende, infatti, il secondo radicalmente incoerente con la sua essenza dichiarata. L’aderenza alla funzione della copia potrebbe essere ripristinata solo attraverso un significativo incremento del suo volume, che la renderebbe esteriormente incongruente rispetto all’originale. L’inattuabile conciliazione tra morfologia e sostanza non scalfisce, però, il fatto che siano allo stesso modo efficaci nell’evocare (e quantificare) la forza di gravità a cui i loro corpi sono soggetti, la stessa che ci ancora al terreno e qualche volta, metaforicamente, ci opprime.
La serie Untitled (Measurements) si compone invece di alcuni calchi in alluminio del medesimo metro di legno, realizzati come le chiavi attraverso la costante sostituzione della matrice con l’ultima copia realizzata. La disuguale lunghezza di questi attrezzi, determinata delle differenti modalità di solidificazione del metallo, li rende inaffidabili come parametri di misurazione perché, se utilizzati, determinerebbero rilevamenti più o meno imprecisi rispetto alla lunghezza di un metro convenzionalmente stabilita, a cui l’originale si suppone essere conforme. Il graduale incrementarsi dello scarto si ripercuote anche sulle tacche intermedie di misura, le cui estensioni diseguali inficiano la correttezza dei reciproci rapporti, che non derivano più dalla regolare suddivisione a posteriori di una lunghezza, ma dalle imprevedibili dilatazioni del metallo durante la fusione. Qui l’artista mette in atto il suo personale processo di misurazione dell’imponderabile, che sembra voler procedere per metodiche approssimazioni nell’utopico intento di inquadrare poi in una regola numerica le discordanti reazioni materiche da lui stesso innescate per materializzare una successione, anch’essa potenzialmente infinita, di aleatorie declinazioni dell’esattezza.
L’esplorazione degli spazi mentali rivelati da un uso rigoroso ma improprio dei sistemi di misurazione prosegue in Untitled (Plumb), serie di fotogrammi realizzati impressionando direttamente la carta fotografica con un filo a piombo lasciato cadere dall’alto. La traccia visiva sulla pellicola dello strumento, utilizzato in edilizia per determinare la direzione verticale rispetto a un determinato punto, restituisce a questo modo non più la direttrice retta che attira il peso al suolo a causa della forza di gravità, ma l’ondulato rilassarsi della corda che segue la caduta del piombino come onda lunga dell’energia generatasi durante il suo tragitto. Il fatto che il progressivo incremento dello scarto dal vero, anziché neutralizzare la funzione di riferimento normativo propria degli oggetti originali, ne universalizzi la portata per via immaginifica culmina nella serie Untitled (Mirror). In questa sontuosa sequenza a parete di calchi in alluminio di specchi d’antiquariato, cornici e superfici riflettenti vengono omologate da un’uniforme colata di fusione che restituisce un riflesso ambiguo tra presenza e assenza dell’ambiente circostante, materializzando la contraddittoria proprietà di questi oggetti replicati di essere e al contempo non essere veicoli di rifrazione del visibile.
[1] Aristotele, Metafisica, Rusconi, Milano, 1994, pag. 499
Info:
Elia Cantori. Endless Measurement
06.05.2023 – 10.06.2023
CAR DRDE Gallery
Manifattura delle Arti- Via Azzo Gardino 14/A, Bologna
www.cardrde.com
Laureata in storia dell’arte al DAMS di Bologna, città dove ha continuato a vivere e lavorare, si specializza a Siena con Enrico Crispolti. Curiosa e attenta al divenire della contemporaneità, crede nel potere dell’arte di rendere più interessante la vita e ama esplorarne le ultime tendenze attraverso il dialogo con artisti, curatori e galleristi. Considera la scrittura una forma di ragionamento e analisi che ricostruisce il collegamento tra il percorso creativo dell’artista e il contesto che lo circonda.
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