Non vuole raccontare alcuna storia ma, con Storie di Pietròfori e Rasomanti, Elisa Sighicelli rivolge l’invito puntuale a osservare. La mostra, a cura di Denise Maria Pagano, è il secondo episodio di una trilogia sugli spazi – dopo Palazzo Madama a Torino e prima dell’intervento al Castello di Rivoli su Villa Cerruti – e si snoda in otto sale, trasformate eccezionalmente in spazi magici, del Museo Pignatelli, tra le rarissime case-museo di Napoli che dal 2010 si connota anche come Villa Pignatelli – Casa della fotografia. Sfatando la credenza di una funzione documentaria e meramente riproduttiva, Sighicelli, tra le artiste italiane più apprezzate internazionalmente, non usa la macchina fotografica in maniera forzatamente artistica e rappresentativa, bensì lascia, sapientemente, che agisca come uno strumento capace di registrare tracce di presenze autonome, squarciando il velo delle sue potenzialità come materiale, ancor prima che come medium.
Le trentatré fotografie in mostra, realizzate ex novo, non sono solamente immagini, ovvero il prodotto di una tecnica e di un’azione, ma anche – e soprattutto – veri e propri atti iconici. Sono immagini, è vero. Ma immagini attive, dalla straordinaria forza semantica, che non si limitano al gesto della produzione propriamente detta, perché anzi includono l’atto della ricezione e della contemplazione, ricercano uno spazio di fruizione più ampio, bramano un’interazione quasi fisica. Ed è dall’incontro con gli specifici e assolutamente non convenzionali materiali su cui sono stampate, dal raso fluttuante, al travertino poroso, fino al marmo lucente, che queste fotografie trovano nuova vita, che riverbera silenziosa nel gioco di riflessi, di penombre e controluce, come in un caleidoscopio imprevedibile di forme e colori.
La sensazione è che Sighicelli, cogliendo le infinite possibilità del mezzo fotografico quale insostituibile strumento critico di analisi, capace di influire sull’interpretazione visiva del reale, lo ponga a fondamento di un percorso che riflette sulla relazione degli oggetti nello spazio, esaltandone la capacità trasformativa ed evocativa. Di fatto, i soggetti immortalati diventano qui, ora, oggetti su più livelli, esposti, indagati e risolti secondo l’intenzione di rilevare-rivelare ogni manifestazione rappresentativa e percettiva della realtà.
Due fotografie su marmo di un trapezoforo umano, come due punti di vista diversi di un unico corpo, introducono alla mostra, solleticando lo spettatore a non prescindere dalla corrispondenza tra il soggetto e il supporto. Nelle prime sale, che sembrano abitate da forme fantastiche e illusionistici effetti di luce e movimento, si incontrano una serie di stampe su raso, luminoso, vivo, instabile, che si muove.
Della Sala da ballo di Villa Pignatelli, Sighicelli, lasciandosi guidare dalle proprie impressioni, sfrutta le potenzialità quasi magiche di alcune specchiere, rese disomogenee dall’ossidazione, per creare un filtro dall’effetto pittorico, capace di trasformare il caratteristico stile neoclassico dell’architettura in una serie di immagini fantasmatiche, ove si esaltano le luci dei cristalli di lussuosi lampadari e vibrano i colori. Dalla collezione di vetri di Murano di Villa Floridiana fotografa dettagli con due fuochi differenti, abilmente posti l’uno di fronte all’altro, per consegnarci l’impressione di un afterimage che continua ad apparirci nella visione anche dopo che la vista dell’originale è cessata.
E ancora, dal Museo delle Carrozze, immortala alcuni particolari dei fanali delle carrozze in modo così ravvicinato da sfocare fino a destabilizzare la vista, restituendo una viva impressione di fluidità. Così si definiscono i contorni di un universo magico, a tratti onirico, capace di farsi sostanza e impressionare, con sempre nuovi spessori. Oltre la villa, al Museo Archeologico Nazionale di Napoli e alla Centrale Montemartini di Roma, Sighicelli ha scattato le fotografie esposte nelle ultime sale. Stampate su marmo e travertino, sono i gesti e le pose curvilinee e muscolose dei corpi antichi della scultura classica, tra cui due dettagli del Toro Farnese rappresentanti il supplizio di Dirce, insieme a finezze di tombe e a un particolare della facciata della chiesa del Gesù Nuovo di Napoli.
Volumetrie, porosità e venature di oggetti invariabilmente bidimensionali ci confondono trasmettendo l’idea di tridimensionalità. Ma non vi è cortocircuito alcuno tra realtà e rappresentazione. Ciò che percepiamo come immediato è, infatti, un rapporto mediato tra esperienza e medium. Esse impegnano la realtà così come la realtà può essere intesa oltre la rappresentazione, tutto dipende dall’uso che ne si fa per percepire il reale. È dunque la facoltà di riconoscere in esse la loro materialità e la loro tangibilità, nello spazio reale, a restituirne la portata: l’intenzionalità, e non il tempo della ripresa, garantisce la durata di queste fotografie, oltre che come testimonianza, come realtà stessa del nostro tempo.
Elsa Barbieri
Info:
Storie di Pietròfori e Rasomanti
Elisa Sighicelli
A cura di Denise Maria Pagano
Promossa dal Polo Museale della Campania diretto da Anna Imponente e da Incontri Internazionali d’Arte
Museo Pignatelli
Riva di Chiaia, 200 – Napoli
30 maggio – 22 settembre 2019
Elisa Sighicelli. Storie di Pietròfori e Rasomanti
Installation view at Museo Pignatelli, Napoli. Ph credits: Sebastiano Pellion di Persano
Elisa Sighicelli. Storie di Pietròfori e Rasomanti
Installation view at Museo Pignatelli, Napoli. Ph credits: Sebastiano Pellion di Persano
Elisa Sighicelli. Storie di Pietròfori e Rasomanti
Installation view at Museo Pignatelli, Napoli. Ph credits: Sebastiano Pellion di Persano
Elisa Sighicelli, Untitled (9074), 2018 100 x 80 x 4 cm Photograph printed on marble
By permission of Ministero per i Beni e le Attività Culturali – Museo Archeologico Nazionale di Napoli
Courtesy l’artista Credito fotografico Sebastiano Pellion di Persano
Crede che l’arte sia una continua ricerca di forme espressive per raffigurarsi il mondo in modi che ancora non conosciamo. Laureata in Lettere, prima si è specializzata all’Università degli Studi di Bergamo con una tesi su cosa resta di una performance, poi ha frequentato la scuola curatoriale presso l’Università di Malta. Dal 2013 collabora con associazioni, spazi espositivi e gallerie come cultural producer e curatrice indipendente.
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