Il potere struggente e intimo che la videoarte riesce a esprimere rimane ancora oggi, per me, un mistero. Elisabetta Di Sopra è sicuramente tra quelle artiste che riesce a toccarmi, sempre e in ogni occasione. E se è vero che l’arte è arte perché ci raggiunge e ci emoziona, allora non potete perdervi la nuova personale di Elisabetta al Caos di Terni. La parola che racchiude l’intero percorso è “Tracce”: la mostra, a cura di Pasquale Fameli, si snoda tra opere video, installazioni e grafica e affronta temi legati alla sfera affettiva, alle relazioni familiari e alle pratiche della cura. Il titolo allude alla precarietà della nostra condizione esistenziale; le “tracce” qui esposte sono quindi segni, visibili o invisibili, come nell’opera Dust Grains (2014), in cui i ricordi d’infanzia restano impressi nella memoria, pronti a riaffiorare inumidendo gli occhi. Assolutamente tra le opere più emotive dell’artista. Le tracce sono ancora quelle che si fanno sempre più visibili nel gesto violento, ma liberatorio, di Atto di dolore (2022). In questo caso l’artista indaga l’autolesionismo testandolo sul proprio corpo.
Per non parlare dell’immancabile The Care, video del 2018 di due minuti circa. Un’opera a doppio schermo, dove assistiamo a due momenti differenti della vita: la nascita e la morte. In entrambi i casi a offrire assistenza è la donna, che in un caso accudisce e pulisce un neonato mentre nell’altro schermo, in parallelo, lava un anziano che sta lasciando la vita. La donna è da sempre colei che deve prendersi cura degli altri, l’unica in grado di farlo. Tale associazione è insita negli stereotipi di genere che ci portiamo dietro da secoli. Come mi aveva sottolineato Elisabetta durante un nostro incontro qualche anno fa: «È sempre la donna che si occupa della cura. È un lavoro non retribuito, ma è un lavoro. Poiché ti educano a questo, sin da piccola, impari a sviluppare le antenne che ti permettono di capire il bisogno dell’altro».
Il giro prosegue con la video performance Legami di sangue (2022), che restituisce un ritratto dell’artista con la figlia, in una stampa serigrafica su lino, fatta con il sangue dell’artista stessa. Una ricerca, quella del rapporto tra madre e figlio, affrontata frequentemente da Elisabetta. Questo è solo l’ultimo di una serie di video che trattano l’argomento, come Lasciarti andare o Quando ci sarà qualcuno in grado di sorreggermi (opera che mi commuove ancora profondamente, nonostante l’abbia vista innumerevoli volte). Il ruolo sociale della donna “madre”, una gabbia che molte di noi conoscono. Un ruolo incubo, un ruolo fisso e immutabile nell’ottica patriarcale. La donna può e deve essere molto di più. Allo stesso tempo, queste opere ci ricordano che siamo tutte state figlie in una maniera toccante e viva.
In Pietas (2018), invece, la protagonista del mito di Medea appare come una donna afflitta che cerca disperatamente sulla spiaggia segni dei propri figli, raccogliendo le scarpe, le vesti, i brandelli di tessuto che il mare, casualmente, restituisce a debita distanza temporale. In Senza tracce (2023) – l’ultimo video prodotto e realizzato durante un viaggio nel deserto di Wadi Rum – l’artista, dopo aver camminato sulle dune, ha avvertito l’esigenza di cancellare le impronte lasciate in quel luogo: una scelta in netto contrasto con la spasmodica sovraesposizione che contraddistingue il nostro tempo.
Chiude il percorso Sugar Dead (2009), una videoinstallazione incentrata sul tema della transitorietà umana. Come ha chiaramente sottolineato Silvia Grandi nel testo critico per la mostra: «Fare l’artista per Elisabetta significa non prescindere dalla quotidianità, dalle azioni di tutti i giorni ma anche dall’emotività che questi atti anche minimi e consueti innescano in lei e che sono riverberati con grande sensibilità nei suoi video. Video che rappresentano simbolicamente affetti, amore, difficoltà psicologica di lasciarsi alle spalle luoghi, rapporti e relazioni importanti, nei quali anche la scomparsa o la perdita vengono sublimate attraverso il progressivo dissolvimento di un corpo di zucchero (Sugar Dead), oppure evocate nel doloroso e malinconico ritrovamento da parte di una madre di oggetti appartenuti a migranti deceduti (Pietas). Sono tracce di emozioni e ricordi che scivolano via dagli occhi come lacrime (Dust Grain) o che invece si materializzano nei lividi rimasti sul corpo dell’artista (Atto di dolore) o ancora nel sangue utilizzato per delle stampe su tessuto (Legami di sangue)». Una mostra estremamente intima e profonda ma, anche collettiva e politica. In questo caso potremmo dire a tutti gli effetti che il privato è politico, nella maniera più poetica che ci sia. Grazie Elisabetta.
Info:
Elisabetta Di Sopra. Tracce
10/02 – 7/04/2024
Orario 10-13 / 16-19
Ingresso gratuito
Caos Museum
Via Franco Molè, 25, Terni
www.caos.museum
Nasce a Genova ma attualmente vive a Bologna, città dove si è laureata all’indirizzo CITEM con una tesi sulla videoarte. Lavora nel mondo degli eventi nel settore della produzione ed è cultrice della materia di Studi Visuali all’UNIBO.
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