Se a volte la poetica di un artista risulta indefinibile perché tale è anche la sua personalità, nel caso di Davide Benati ci troviamo di fronte a un’arte definibile perché l’artista sa mostrarsi definibile. “Encantadas” – questo il titolo poetico della mostra ospitata a Reggio Emilia presso il Palazzo Da Mosto e promossa dalla Fondazione Palazzo Magnani, con la curatela di Walter Guadagnini – è una coinvolgente personale dell’artista reggiano classe 1949. Nelle parole di Benati: «Per il titolo mi sono ispirato a quel magnifico reportage omonimo di Herman Melville sulle Isole Galapagos». E questa mostra è davvero una sorta di reportage di una terza fase creativa di Davide Benati attraverso una cinquantina di opere, alcune delle quali inedite.
«Tutte queste opere sono un dono alla città – ha affermato durante la preview per la stampa Nando Rinaldi, direttore dei Servizi Culturali del Comune di Reggio Emilia – il dono di un artista territoriale che si pone come ponte culturale tra occidente e oriente». Tanti sono i viaggi che Davide Benati ha fatto in oriente, soprattutto in Nepal, tanto che la carta nepalese è imperante nei lavori dell’artista. «Il legame di Davide Benati con il nostro territorio – ha dichiarato Maurizio Corradini, presidente della Fondazione Palazzo Magnani – non si limita al dato anagrafico: è talmente forte questo legame che oggi possiamo dire che, grazie a lui, possiamo inoltrarci in spazi artistici definibili di intimità». Quest’intimità creativa si declina su spazi di grandi dimensioni e la predilezione della carta nepalese su tela: al confine tra sogno e realtà, gli acrilici, gli oli e gli acquerelli di Benati riescono a proiettarsi sul visitatore con la gentilezza d’animo dell’artista e del suo processo creativo. «La sensibilità di Davide Benati è raffinata e, osservando le sue opere, ci si riempie emotivamente di grandi dosi d’incanto», ci dice Leonello Guidetti, presidente della Fondazione Manodori, ovvero dell’ente che mette a disposizione del territorio reggiano (e non solo) questo luogo d’arte. L’incanto ci arriva direttamente dagli innumerevoli riflessi della natura che le tele di Benati emanano, in un continuo oscillare tra gesti su tela che ci dicono dove guardare.
«Sono stato sempre legato ai segni che ho incrociato nei miei viaggi: mi è successo tante volte in Nepal, realtà che mi ha procurato profonda sofferenza emotiva in occasione del devastante terremoto del 2015, e mi è successo anche in Portogallo, realtà che vive dentro di me anche grazie alla mia amicizia con Antonio Tabucchi», Benati dixit e in effetti il suo vocabolario artistico è impregnato di segni, a volte pennellati, a volte estroflessi, a volte deframmentati in tratti poderosi a più pannelli: il trittico rappresenta, infatti, una costante geometrica dell’arte su tela dell’artista, in cui vengono restituite le costanti dell’incanto e dello stupore. «Questa mostra traccia un percorso completo della creatività di Davide Benati. Tra i tanti suoi meriti emerge, a parer mio, quello di aver trasformato una visione del mondo in una pittura capace di illuminare con la gentilezza», dice Walter Guadagnini, curatore della mostra. «Le sue tele sono sogni tra la materia e la luce, sono espressione di un’avventura artistica che dura da quasi mezzo secolo e che pare bel lontana dal volersi esaudire». Le grandi tele di Benati sono illuminazioni pregne dell’animo di un artista gentile che mai occupa tutto lo spazio ma una parte di esso, in un gioco di astrazioni che sembra linfa vitale.
Raccontare una cinquantina di opere è esercizio stucchevole e quindi daremo spazio a quelle che più hanno coinvolto chi scrive. Frutto di un allestimento perfetto, la mostra si snoda tra le sale e i due piani di Palazzo Da Mosto, con l’arricchimento di leggii che illuminano le sale espositive con contenuti scritti da intellettuali e appassionati della parola e dell’arte. Punto di partenza per una conoscenza approfondita delle opere di Davide Benati potrebbe essere quello rappresentato dai trittici. Il primo da descrivere è quello che dà il titolo alla mostra. “Encantadas” (2023) è un grande acquerello su trittico che raffigura delle galassie luminose dalla forma isolana (come le ispiratrici Galapagos di Melville). L’effetto è molto dinamico, anche con la tecnica dell’acquerello l’artista crea delle scie e delle striature che coinvolgono lo sguardo dell’osservatore. “Colibrì” (2022), “Dedalus” (2022), “Oasi dell’acqua amara” (2012), “Conversazioni” (2009) e “Tenebrocuore” (2003) dimostrano quanto il diradamento dell’occupazione dello spazio sia una costante del lavoro creativo di Benati da almeno due decenni. L’ultimo dei trittici citati è infatti quello in cui la tela è completamente immersa nella rappresentazione di una raffigurazione che di tenebroso non ha nulla. Già in “Conversazioni” (ciclo di trittici con il medesimo titolo) l’azione cromatica occupa meno spazio e, con la consueta leggerezza di Benati, sembra fluttuare sulla carta nepalese illuminandoci con armonie quasi floreali. La liricità interiore dell’artista culmina a mio parere nei trittici più recenti, che acquisiscono maggiore armonia visiva e ci permettono di raggiungere con l’immaginazione mondi lontani.
Il dittico “Affiora” (1996) si erge a verbo assolutamente solido con la sua intrinseca fragilità. Benati aggiunge l’olio all’acquerello e ‘contamina’ lo spazio con una sorta di embrionale tecnica mista usando anche la cartapesta. L’effetto è incredibilmente etereo e turbante come una massima filosofica orientale che ci catapulta in un sacro pensiero attraverso le immagini. La ricerca di delicata bellezza e l’interiorità dell’artista si affermano come cifra costante della sua creatività. “Celeste Impero” è un dittico del 1978 che dimostra, anche attraverso l’aggiunta della china, la capacità minimale di Benati nel lanciare luminosità e riflessione dell’animo. Siamo di fronte a mappe scarne dove si afferma prepotente la sensazione di doveroso silenzio. Silenzio che aggiunge poesia pura nello sventolio di un drappeggio oppure nel mistero di un segno calligrafico. Una menzione speciale va assegnata alla base materiale artistica di Davide Benati: i taccuini, vera e propria tavolozza dell’appunto, intima e personale stanza segreta in miniatura dei grandi spazi, altrettanto preziosa come i tanti scritti che filosofi, scrittori, intellettuali e critici d’arte hanno dedicato all’artista reggiano.
La mostra è accompagnata dall’omonimo catalogo edito da Dario Cimorelli Editore e dalla Fondazione Palazzo Magnani, che include una vasta gamma di testi dedicati all’artista: presente è la firma di Antonio Tabucchi e anche (l’elenco è incompleto) Massimo Cacciari, Elena Pontiggia, Sandro Parmiggiani.
Info:
Davide Benati. Encantadas
07/12/2024 – 02/03/2025
Palazzo da Mosto
Via Giovanni Battista Mari, 7 – Reggio Emilia
www.palazzomagnani.it
Sono Giovanni Crotti e sono nato nel giugno 1968 a Reggio Calabria per rinascere nel giugno 2014 a Piacenza, città dove vivo. Il mio reddito è garantito dalle consulenze digitali, per poi spenderlo in gran parte nell’arte e nelle lettere: sono stato e sono curatore di contenuti e organizzatore di eventi culturali per artisti, gallerie e spazi istituzionali, oltre che scrittore di recensioni di mostre, creativi di ogni epoca e libri.
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