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Enzo Cucchi: il violabile ha i piedi in testa

Enzo Cucchi: il violabile ha i piedi in testa

In una pagina di diversi anni fa, essenziale e precisa come una sferzata, Enzo Cucchi ci ricorda che «le sculture e i quadri hanno le gambe e gli occhi, un quadro senza occhi è quadro brutto, cioè un quadro […] che non va bene».[1] Secondo tale tipicità, l’opera è rilevazione dell’uomo, un subbuglio pazzesco, in cui emergono moti, istinti e trasalimenti coscienziali. Difatti, se gli occhi si illuminano nel guardare i palpiti creativi, allora le gambe e i piedi, incontrando la forza di gravità, ci permettono di percorrere nuove strade. È così che tale giudizio apre in maniera destabilizzante al fertile suolo dove sorge Enzo Cucchi. Il poeta e il mago, a cura di Bartolomeo Pietromarchi e Luigia Lonardelli, in programmazione fino al 24 settembre 2023, presso il Museo MAXXI di Roma.

Enzo Cucchi, Ritratto fotografico, ph. credit Marco Deserto, courtesy l’artista e MAXXI, Roma

La mostra è una complessa struttura, in quanto dislocazione di volumi statici e dinamici, eredi della volontà di abbattere i classici precetti espositivi, sintomo di una tormentosa fisima dell’artista di stabilire un equo bilancio tra le più svariate istanze creative. Tutte queste sono delle lodi incondizionate verso un lavoro allestitivo che unisce, con rammendi invisibili, opere composte con uno stile plastico-robusto come particelle che galleggiano o si collocano nello spazio secondo un dinamismo stringente. Certo è che il progetto colpisce in quanto propulsivo balsamo spirituale alla fantasia del visitatore, come presa di contatto simbolica e mitica dell’artista, poiché se le mostre si volessero ideare, si dovrebbero fare tutte così, sì da porsi come dei massicci viaggi, frutto di manciate di fantastiche visioni.

Enzo Cucchi, La Città Incantata, 1986, olio su tela, ferro, 270 x 700 cm, ph. credit Musa, courtesy MAXXI, Roma

Inoltre, è impossibile non pensare a tale esibizione come un capolavoro dell’incertezza e della riflessione, cagion per cui strappa a ogni spettatore una veritiera confessione in cui il lavoro di Cucchi rimane appartato rispetto alla contemporaneità, caratterizzata da un vago e paludoso vociare. In relazione alla stasi creativa, c’è da aggiungere che per Cucchi tutto transita, in quanto la vita è spostamento e «ogni oggetto ha un valore preciso che acquisisce se non per il fatto del movimento che lo regge e lo fa essere»[2]. Così ne La Città Incantata tutto procede secondo una segreta formula che condensa un’energia turbinosa e le cui acide colorazioni sfidano la riduzione del dipingere. In questo modo per Cucchi l’arte si conferma un movimento che sconvolge il normale immobilismo: laddove i piedi non servono a stazionare, ma piuttosto a pensare e «a sconfiggere, in altri termini, la stabilità, l’immobilità, il dogma, la credenza».[3] Seguendo il filo esplicativo del titolo della mostra, la vera magia risiede nell’assenza di rigidi codici epistemologici, sì da essere un anelito contro il destino melanconico della banalità, per avviare, di contro, una reazione a catena in opposizione alle paralisi delle facoltà creative.

Enzo Cucchi, Il poeta e il mago, installation view, ph. credit Musa, courtesy MAXXI, Roma

Tra le opere in mostra, la moltitudine delle carte spicca per il tessuto capillare e vivo, generato da una mente che macina una bellezza testarda in continuo affaccendarsi. Tuttavia, in merito a tale tecnica sarebbe stato auspicabile un progetto differente da quello ideato, vuoi per il discutibile allestimento, che non permette di apprezzare le opere sino in fondo, vuoi per la loro ridotta grandezza e l’eccessiva quantità, che non favorisce la necessaria valorizzazione. Sebbene le carte siano delle splendenti elucubrazioni mentali dal marcato carattere narrativo, creazioni lessicali figlie della potenza del sogno, a chi le osserva viene reso possibile l’accesso a un universo creativo tracciato da uno smemorato e innocente veggente. Il fatto di mescolare tali vedute, tra il torpore e lo stato di dormiveglia, crea nello spettatore dei labili sensi di angoscia. Così Cucchi diventa un messaggero illuminante di contenuti latenti, dimodoché nelle opere prendono forma strani spiritelli pronti a tramutarsi in misteriose creature entro stanze segnate da prospettive ortogonali colme di ombre e cavalli capovolti, tuffi visivi coraggiosi nella nuda origine del più genuino barbarismo. Da qui si comprende bene che l’arte per Cucchi esiste sostanzialmente per seguire una domanda o altrimenti per crearla e in linea con tale ragionamento vengono incontro i contenuti del volume Il libro delle interrogazioni di Edmond Jabès, consultabile nella biblioteca allestita all’ingresso della sala espositiva in cui al visitatore viene chiesto: «tu sei uguale dalla testa ai piedi?»[4]. La risposta che si riceve marca una convinta negatività poiché negli uomini, come nei quadri, esistono differenti e distinte porzioni: le gambe, gli occhi, i piedi, l’anima, la ragione e lo spirito.

Enzo Cucchi, I Piedi di Caravaggio, 1993, carboncino e resina su carta intelata, 277 x 514 cm, courtesy MAXXI, Roma

Proprio in questo stato di bizzarro capovolgimento si colloca l’intelligente opera I Piedi di Caravaggio, laddove si scopre che l’uomo è uno strano “affare”, con la bocca al posto delle narici e la testa deformata dall’appoggio dei piedi. Ciò induce a ripensare per proprio conto la metronomica fisica e cognitiva e a dubitare del corretto ordine degli organi motori e celebrali. Tale visione deriva verosimilmente dalla consapevolezza secondo cui per la nostra natura è impossibile non poter contare su strumenti che non permettano di vedere gli organi e quindi l’arte può riscrivere la storia, e anche la scienza umana, motivo per cui la testa di Caravaggio si riempie di una materia nera e compatta. Per tale ragione per Cucchi i piedi di Caravaggio si trovano adagiati proprio sulla testa, così ciò che di norma viene usato per la staticità e la fermezza, viene fantasticamente collegato all’intelletto, luogo della creazione dell’immagine e della forma a trasgredire la violabile mente. Proprio qui l’immaginazione dell’artista ci convince che il pensiero non è un atto semplice, chiaro a sé stesso, ma sempre caduco e contrario a ogni classica prerogativa, differenziandosi nettamente dai classici artisti strozzati dalle impossibilità dei loro cervelli, mai o appena violati. Del resto, l’uomo e la storia si scambiano l’ombra e la vita; dunque, per un creativo violato come Cucchi cosa è più naturale se non avere i piedi in testa?

Enzo Cucchi, Il poeta e il mago, installation view, ph. credit Musa, courtesy MAXXI, Roma

[1] Enzo Cucchi, a cura di Ida Giannelli e Giorgio Verzotti, catalogo della mostra presso il Castello di Rivoli, 1 ottobre – 31 dicembre 1993, Edizioni Charta, 1993, p. 14
[2] Alberto Savinio, Scritti sull’arte e sugli artisti, a cura di Elena Pontiggia, Abscondita, 2022, pp. 59-60
[3] Enzo Cucchi, op. cit., p. 12
[4] Edmond Jabès, Il libro delle interrogazioni, a cura di Alberto Folin, Bompiani, 2015, p. 353

Info:

Enzo Cucchi. Il poeta e il mago
A cura di Bartolomeo Pietromarchi e Luigia Lonardelli
17/05/2023 – 24/09/2023
MAXXI, Galleria 4, via Guido Reni, 4A, 00196 Roma
www.maxxi.art


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