Il lavoro di Erin Shirreff (Kelowna, Canada, 1975, vive e lavora a New York), presentato per la prima volta in Italia nel Salone Banca di Bologna di Palazzo De’ Toschi a cura di Simone Menegoi, si avvale di materiali e tecniche disparate (video, fotografia e scultura) per indagare le modalità con cui percepiamo gli oggetti in relazione a un tempo e a uno spazio che nella nostra contemporaneità ad alta risoluzione sono sempre più condizionati da filtri mediatici. Formatasi come scultrice, considera questa disciplina il punto di partenza per mettere alla prova le capacità di una forma di inserirsi in uno spazio reale, virtuale o fotografato e per rilevare come il suo significato e la sua struttura si modifichino nella traslazione tra forme espressive differenti. Pertanto, molte delle sculture che l’artista realizza in laboratorio vengono create solo per essere filmate o fotografate, mentre quelle che vengono esposte spesso funzionano più come immagine che come oggetti tridimensionali. Shirreff quindi adotta procedure artigianali e manuali nella costruzione di oggetti dotati di precise proprietà fisiche per materializzare prototipi mentali le cui possibilità di esistenza vengono successivamente scandagliate e moltiplicate attraverso il video e la fotografia.
A Bologna l’artista proietta in anteprima e in scala cinematografica in un sontuoso allestimento site-specific il video Son (2018), lungometraggio di animazione generato dal montaggio senza audio di immagini fisse e in movimento reperite in rete o appositamente ricreate in studio. L’idea iniziale, scaturita da un primo sopralluogo in preparazione della mostra, è la visione di un grande cerchio che fluttua nello spazio, suggerimento visivo che in fase di elaborazione si è fuso con il ricordo dell’eclisse totale di sole avvenuta negli Stati Uniti nell’agosto dello scorso anno. Il video, che dilata all’esasperazione i pochi minuti in cui durante una reale eclissi la luna oscura completamente il sole, inquadra una grande sagoma circolare nera circondata da un’aureola luminosa che nella transizione da un fotogramma all’altro cambia gradualmente identità, passando da un’ambientazione interstellare a un interno domestico.
Il flusso delle immagini scorre lento con brevi e improvvise accelerazioni e immerge lo spettatore in un’esperienza cromatica totalizzante in cui ogni pregresso riferimento spaziale e temporale viene assorbito e annullato dalla monumentale eloquenza del colore e della luce. Il motore immobile dell’azione è il cerchio centrale, che pur mantenendo sempre la medesima collocazione e dimensione in relazione allo schermo, appare alternativamente come una sfera traslucida, un inquietante buco nero, un pianeta inondato da luci sideree, una forma geometrica incorporea, un imperfetto ritaglio di materiali fragili o un obiettivo otturato. La sua presenza, che esplora le diverse gamme di trasparenza del buio fino ad avvicinarsi al nero assoluto, occlude parzialmente la visione di ciò che accade in secondo piano, già difficilmente decifrabile a causa delle sapienti sfocature impostate dall’artista. Non si è mai totalmente sicuri di cosa si stia realmente guardando, se un intangibile piano mentale individuato da pixel digitali, una materia stellare ingrandita da un telescopico o una superficie grezza di cui la luce a tratti radente enfatizza la grana. In alcune inquadrature l’immagine si fonde con il suo contesto, mentre in altri momenti le variazioni di luce e forma che avvengono nella porzione di spazio retrostante sembrano alludere a una dimensione completamente irrelata rispetto alla forma centrale.
Questi continui slittamenti tra piani di realtà diversi che sembrano non trovare mai una definitiva conciliazione esprimono la reale dissonanza tra la scala cosmica a cui si rapporta l’evento astronomico che ha ispirato l’opera e il suo riflesso nella quotidianità fisicamente esperibile e virtualmente rappresentabile. Da un lato quindi Shireff offre all’osservatore la possibilità di sperimentare direttamente un evento che in natura eccede i limiti fisici umani attraverso la sua riproduzione illusionistica, dall’altro enfatizza la difficoltà di relazione che intercorre tra un soggetto senziente e un contesto sempre inevitabilmente mediato evidenziando l’artificialità degli oggetti che mette in scena. Il processo estende quindi in scala cosmica le riflessioni, che da sempre indirizzano il suo percorso creativo, sul diverso grado di realtà che la rappresentazione può veicolare suggerendo come la verità di un oggetto risieda nell’intersezione tra i suoi possibili surrogati analogici. Queste considerazioni speculative nel suo lavoro vengono poi vivificate da una spontanea attrazione per la bellezza della forma e del colore e da una sottile predisposizione al divertissement, che affiora nella consapevole sovrapposizione tra atmosfere ordinarie, sublimi o surreali che la stessa immagine di partenza può generare.
A corollario del video, l’installazione Many Moons (2018) presenta un gruppo di recipienti anneriti (o eclissati) da una patina scura: le sculture, ricavate dal calco in gesso del loro vuoto interno, costituiscono il negativo cromatico e spaziale di una natura morta, mentre il contorno circolare delle luci che le illuminano come se fossero i soggetti di un set fotografico richiama per contrasto il cerchio nero del filmato. La composizione, omaggio forse un po’ troppo didascalico alla metafisica degli oggetti di Giorgio Morandi, permette comunque di approfondire il procedimento operativo dell’artista canadese e di comprendere meglio le fasi creative che precedono la realizzazione dei suoi video.
Info:
ERIN SHIRREFF
a cura di Simone Menegoi
2 febbraio – 4 marzo 2018
Salone Banca di Bologna di Palazzo De’ Toschi
Piazza Minghetti 4/D, Bologna
Erin Shirreff, Son, 2018. Color video, silent, loop © Erin Shirreff
Erin Shirreff, Son, 2018. Color video, silent, loop © Erin Shirreff
Erin Shirreff, Son, 2018. Color video, silent, loop © Erin Shirreff
Erin Shirreff, Many Moons, 2018, Hydrostone, graphite, pigment, newspapers © Erin Shirreff
Erin Shirreff, Many Moons, 2018, installation view at palazzo De’ Toschi, ph. Carlo Favero courtesy the Artist and Sikkema Jenkins & Co. New York
Laureata in storia dell’arte al DAMS di Bologna, città dove ha continuato a vivere e lavorare, si specializza a Siena con Enrico Crispolti. Curiosa e attenta al divenire della contemporaneità, crede nel potere dell’arte di rendere più interessante la vita e ama esplorarne le ultime tendenze attraverso il dialogo con artisti, curatori e galleristi. Considera la scrittura una forma di ragionamento e analisi che ricostruisce il collegamento tra il percorso creativo dell’artista e il contesto che lo circonda.
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