Sulle orme dell’artista tedesca Eva Hesse e, più in generale, sulla scia del post-minimalismo degli anni ’60, si muove l’artista Esther Kläs. Tedesca di origine, ma artisticamente stabilitasi a Barcellona, Kläs è la protagonista della mostra Maybe it can be Different, curata da Adrienne Drake, inaugurata il 13 febbraio alla Fondazione Giuliani a Roma.
Tra sculture, disegni a olio, film e arazzi in lana, il corpus di opere, pensate appositamente per lo spazio della fondazione, ci trasmette il senso estetico dell’artista in tutta la sua pienezza, spaziando tra sperimentazione, emotività, strutture elementari e gestualità. La mostra, esordio a Roma dell’artista, ci catapulta fin da subito all’interno di quello che potremmo definire un rituale, il rituale artistico di creazione, che si concretizza nella presentazione di elementi totemici, pilastri centrali di uno spazio di confronto e riflessione.
Kläs ci trasporta nel momento esatto della genesi creativa, una genesi che diventa il fondamento dell’atto artistico che si completa in piena autonomia. Come ci dice l’artista in un’intervista rilasciata alla curatrice: “Io inizio e poi lui va, continua lui.” Non c’è premeditazione, ma solo ed esclusivamente la libertà dell’artista di creare o solamente di pensare.
La fisicità dell’opera non ha lo scopo di presentarci un’opera finita, ma quello di alimentare un processo di meditazione e di scambio, che sia esso emotivo o critico, con lo spettatore, con l’elemento umano con cui entra in collisione. Lo spazio diventa, quindi, un momento di condivisione tra il gesto dell’artista, ben presente sull’opera con le impronte delle mani, e lo sguardo altro, quello dello spettatore. Kläs enfatizza questa relazione proponendo allo spettatore il suo stesso punto di vista al momento dell’atto creativo, ponendo le opere alla stessa altezza a cui sono state lavorate.
Troviamo quindi opere, come le sculture in resina, innalzate su dei piedistalli o quelle in allumino appese al soffitto; in continua relazione con l’estetica di Eva Hesse (ricordiamo una delle sue opere più famose Hang Up) anche Esther Kläs riflette accuratamente sul posizionamento dell’opera, sperimentando forme di linguaggi emotivi, di scambio sensoriale, ricreando uno spazio di incertezza e provvisorietà, ma sempre nella piena libertà espressiva ed estetica.
Ancora nell’intervista con Adrienne Drake, Kläs ci spiega cosa cerca con la sua arte: “La prima risposta è la libertà, ma anche la conclusione dopo una lunga risposta sarebbe sempre la libertà. Non c’è una ricerca definitiva di qualcosa di particolare, è un percorso nel quale mi ci trovo.”
Oltre alle sculture l’artista ci presenta anche alcuni disegni a olio che, come le sculture, funzionano quasi da imprinting, sono il farsi fisico di un gesto che, però, deve ancora compiersi definitivamente; solo attraverso la mediazione dello spettatore diventerà qualcosa di nuovo, un elemento che individualmente assumerà espressioni diverse. Tutto il complesso espositivo è pervaso da questa stretta interrelazione con lo spettatore che è invitato a seguire un percorso che si dipana tra le varie opere e a diventare egli stesso parte integrante di questo rituale.
Stefano Pane
Info:
Esther Kläs. Maybe it can be different
14 febbraio – 18 aprile 2020
a cura di Adrienne Drake
Fondazione Giuliani
Via Gustavo Bianchi, 1 – Roma
For all the images: Esther Kläs. Maybe It Can Be Different. Installation view at Fondazione Giuliani, Roma 2020. Photo Giorgio Benni
is a contemporary art magazine since 1980
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