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Eterna permanenza oscura: Domenico Russo firma per Silvana Editoriale un ritratto dello street artist 108

Che la street art (o, meglio, il muralismo urbano se si vuole evitare una definizione ormai troppo legata ai suoi esordi rigorosamente illegali e ribelli) sia entrata a pieno titolo nel dibattito e nel sistema dell’arte contemporanea è ormai un dato assodato. Sono sorte in tutto il mondo gallerie specializzate nella rappresentanza di artisti che devono la loro notorietà a quest’ambito e pullulano le commissioni pubbliche, di regola associate a un ambiguo intento di “riqualificazione estetica” di zone urbane degradate, e quelle private, nella maggior parte dei casi espressione di precise strategie comunicative di brand che si vogliono anticonformisti e dirompenti. Difficile orientarsi in questo panorama osmotico e di sicuro sarebbe anacronistico abbracciare le posizioni ultra-conservatrici di chi stigmatizza l’intromissione del mercato come irrimediabile snaturamento della costitutiva ragion d’essere di questa modalità espressiva, che al pari delle altre per rimanere vitale deve cambiare in sintonia con l’epoca di cui è manifestazione.

Guido Bisagni e Domenico Russo presso VLNV, Piemonte (Italia), photo Matteo Castigliano CT

Anche decidendo di sospendere il giudizio sulle innegabili contraddizioni insite nelle questioni fin qui accennate, l’impressione è che qualcosa di importante sfugga soprattutto dal punto di vista della trattazione storico-critica di questa nuova fase trasversale dell’arte urbana, rispetto alla quale risultano altrettanto inefficaci gli approcci più usuali, ovvero quello già datato dell’aneddotica controculturale e quello più recente che valuta il curriculum degli artisti con agli stessi parametri utilizzati per sistematizzare le carriere creative più tradizionali. Rispetto a questo tema si pone in un’interessante posizione seminale l’ultimo libro di Domenico Russo a cura di Silvana Editoriale, che ripercorre la vicenda del writer Guido Bisagni (Alessandria, 1978), noto a livello internazionale con lo pseudonimo di 108. La pubblicazione evidenzia l’evoluzione e le specificità della poetica dell’artista attraverso un ricco apparato iconografico che sottolinea il costante parallelismo tra opere murali spontanee e lavori su carta e tela destinati al circuito commerciale, la cui lettura è affidata a un’ampia introduzione inedita del curatore e a un’appendice di testi usciti nel corso degli anni su riviste di settore che testimonia l’intensificarsi del loro rapporto intellettuale. Volendo lasciare ai lettori il piacere di immergersi nell’affascinante mondo di 108 attraverso le parole di Russo, lo abbiamo interpellato senza riassumerne i contenuti per approfondire le ragioni di questo libro e del particolare registro critico che ne costituisce l’anima.

Guido Bisagni, “La Fisica”, 2016, tecnica mista su tela, installation view at Forze della Natura show, Ca’ Dei Ricchi, Treviso, courtesy of the artist

Emanuela Zanon: Come nasce il tuo interesse per 108? Quali sono gli aspetti della sua pittura che ti intrigano maggiormente?
Domenico Russo: Ho conosciuto Guido Bisagni e il suo lavoro nel 2012, ma è stato nel 2016 che vidi “Le 43 Forme del Caos”, lungo la stazione degli autobus a Bologna. Un’opera che mi colpì profondamente, per audacia e cupa forza espressiva. Trovai coraggioso e sfrontato questo artista che disseminò quel lungo perimetro di macchie nere su sfondo bianco, senza la volontà d’essere accattivante, né d’instillare motivi narrativi nella visione urbana. L’aura era quasi mortifera, e allo stesso tempo era densa di vitalità. Guardavo quel nero e mi veniva in mente Franz Kline. Sapevo poco su 108 ma da lì a breve avrei avuto modo di conoscerlo. Il nero impenetrabile e allo stesso tempo profondo, elemento ricorrente di ogni lavoro di Bisagni, è imperfetto e fallace, umano e reverenziale. Dentro la flatness radicale (per riprendere un termine di Greenberg) della sua pittura, possiamo percepire il mondo che non scompare, ma resiste in maniera assoluta e spirituale.

Guido Bisagni, wall painting, 2016, Trollhattan (Svezia), courtesy of the artist

Ti conosco come un critico esperto di pittura emergente, a proposito della quale hai ipotizzato, in una raccolta di saggi uscita lo scorso anno per la stessa casa editrice, l’insorgere di una nuova tendenza figurativa da te chiamata L’Altra Individualità. Come si relaziona l’opera di 108 in relazione a essa e, più in generale, al panorama della pittura contemporanea?
Mi fa piacere che tu mi abbia posto questa domanda, perché concentra il discorso sull’attuale. L’Altra Individualità inquadra un gruppo di pittori con un linguaggio, quello figurativo, evidenziando premesse e caratteristiche comuni. Il modo in cui essi reagiscono alla liquidità della nostra società prevede gli appigli sicuri della figura, paragonabili a una costa lontana, avvistata da una scialuppa da troppo tempo in mare. Su questa scialuppa ci siamo tutti. Guido Bisagni, anche lui nelle stesse acque, naviga seguendo un’altra rotta, ha una storia diversa: nasce come writer alla fine degli anni ‘90 e si afferma con una pittura astratta, mai fredda, né iper-estetizzata, neanche nelle esecuzioni più recenti, dove emergono elementi derivati dalla composizione musicale – quali delay, riverberi, distorsioni, che danno movimento e trasmettono un’idea di maggiore razionalizzazione dello spazio. La sua pittura riesce a essere sempre viva e autentica, nel senso heideggeriano del termine. Nel nero cosmico, suo colore simbolo, Bisagni ha assunto in sé la coscienza della morte quale orizzonte costante che stimola e rivitalizza l’esistenza. È l’altra faccia della medaglia, rispetto all’Altra Individualità: se qui gli artisti reagiscono alle insicurezze della nostra epoca creando un luogo simbolico, dove fare emergere nel soggetto le proprie pulsioni e fantasie, insieme alle insipienze dell’oggi, 108 pesca le sue forme al di là della propria configurazione più prossima, direttamente dal confine labile tra l’uomo e il mondo. Vira lontano, verso lidi ignoti, seguendo il senso di un’arte spirituale, a tratti tragica, connessa alla irrimediabilmente alla sacralità dell’esistenza. 108 è uno dei più grandi pittori astratti del nostro tempo, che capta la relazione del mondo col nascere e morire, i riflessi dell’invisibile su visibile.

Guido Bisagni, “Viaggio nella dimensione dei giorni”, 2020, tecnica mista su mdf, courtesy Galerie SLIKA, Lione

Uno degli aspetti che ho più apprezzato nella tua analisi di 108 è il fatto di non cadere né nella rigidità di una forzata applicazione di categorie critiche avulse dal contesto né nell’indeterminatezza di considerare le reminiscenze della storia dell’arte presenti nell’opera dell’artista come incidentali rispetto alla sua essenza “di strada”. Quali accortezze deve, a tuo avviso, avere un critico che si confronta con una forma d’arte per sua natura così fluida e obliqua rispetto a differenti ambiti culturali?
Penso che la critica debba sempre mettere in rapporto gli artisti con il loro contesto, ed eviscerare i rapporti di forza che li determinano come persone e come artisti. Il critico deve interrogarsi sul presente, per farsi divulgatore delle sensazioni che solamente un grande artista è in grado di esprimere. Spesso, quello che viene fuori dalla grande arte è la messa in discussione dello status quo, le difficoltà del mondo con tutte le sue anacronie e diacronie che ci pongono di fronte a posizioni scomode, che il critico non può fare a meno di assumere. Nelle opere di 108, possiamo leggere le svolte del nostro tempo, e anche pericolose anticipazioni. Pensiamo al modo in cui unisce l’orfismo o la divinazione celtica alla musica noise o a quella ambient, per sfociare nello spirituale dell’arte. Come fa? Quali sono i passaggi che gli consentono d’unire sfere così distanti, riuscendo a essere infine elegante e oscuro? L’arte trasforma la realtà negativa della vita quotidiana, dando forma all’energia dell’esistenza, e 108 usa la pittura per far affiorare alla coscienza collettiva il dramma dello stare al mondo. In particolare, la sua “produzione nera” va a incidersi nel tessuto psico-sociale. Questo aspetto è maggiormente esaltato dai suoi lavori in esterno: nei ruderi abbandonati di stabilimenti industriali, negli scheletri di strutture nate per scopi mercantili deteriorate o mai concluse. Luoghi fatiscenti, fantasmi architettonici, dove 108 agisce liberamente, ai margini della vita urbana. Dentro queste macerie del sistema produttivo, le sue macchie sembrano sorgere direttamente da quelle pareti, come se le avesse tirate fuori con le pinze da una ferita dimenticata. Esse sono il sintomo di qualcosa. Come critico, nel libro cerco di interrogarmi anche su questo aspetto.

Guido Bisagni, wall painting, 2023, edificio abbandonato presso VLNV, Piemonte (Italia)

Ci sono all’orizzonte altri progetti di collaborazione che vi vedranno entrambi coinvolti?
Adesso sono imminenti due presentazioni del libro: il 6 ottobre ad Alessandria presso Visioni 47, e l’11 ottobre a Reggio Emilia presso lo Spazio C21.

Info:

https://www.silvanaeditoriale.it/libro/9788836658275


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