Data / Ora
Date(s) - 29/10/2024
4:00 pm - 6:30 pm
Luogo
InGenio Arte Contemporanea
Categorie
Martedì 29 ottobre alle ore 16.00 presso InGenio Arte Contemporanea in C.so San Maurizio 14/E a Torino, si inaugura la mostra “Oggetti Smarriti” degli artisti dell’ Atelier Zampanò: Gerardo Errico, Alessandro Ferrarino, Franco Rovera e Valentina Varesio.
L’esposizione a cura di Isabella Gho e Angelo Spatola presenta una selezione di opere con l’intento di descrivere, attraverso gli oggetti della vita quotidiana, il sottile filo rosso che ci lega ai nostri rituali e a tutte quelle abitudini, che diamo per scontate e che invece nei disabili diventano come degli appigli alla normalità.
A tutti succede di dimenticare qualcosa sull’autobus o sul treno. Portafogli, telefonino, un libro, frammenti delle nostre vite che perdiamo di vista e non andiamo nemmeno a reclamare come mancanti. Se un tempo la vita dell’uomo era costellata dalla presenza stabile e funzionale di oggetti, oggi la tecnologia lo ha spinto verso l’usa e getta che spesso non lascia traccia nella memoria.
L’oggetto smarrito viene dimenticato o diviene obsoleto e inutile.
Questo immaginario ufficio oggetti smarriti è dunque un luogo della mente in cui gli autori scelgono gli oggetti per evocare una consuetudine non sempre scontata.
Un progetto di Atelier Zampanò – arte irregolare
Cooperativa Sociale La Testarda
Inaugurazione martedì 29 ottobre, dalle ore 16.00 alle 18.30
Dal 29 ottobre al 22 novembre 2024
orari: da martedì a venerdì ore 16.00 – 18.00
tel. 011 883157 / info: ingenio@comune.torino.it
Testo critico di Diletta Benedetto
È molto intensa ed accurata la selezione di piccole, significative “cose” che gli autori dell’atelier Zampanò mettono in scena con Oggetti smarriti. Altrettanto intensa e pervasiva, la sensazione di smarrimento in cui l’osservatore inciampa nel risuonare profondo, dentro dì sé, di quei tratti crudi, senza mediazione, dei colori pieni, della ricchezza immaginifica dei particolari.
Quello sguardo altro sulle piccole cose, cose anche nostre – di noi che osserviamo al di qua – ci spalanca davanti una finestra sul mondo interiore, nostro anch’esso. Là dentro, nel regno delle memorie limbiche, dove il linguaggio non possiede sovrastrutture, non conosce convenienze né convenzioni sociali, il senso arriva diretto: ci investe senza chiedere il permesso.
Forse la forza di tale incantesimo risiede nella qualità dell’intenzione, di quell’agency che anima l’oggetto artistico mettendolo in relazione con il sistema di valori più profondo di cui fa parte? Secondo l’antropologo Alfred Gell, infatti, in “Antropologia dell’arte e agency” (1997), l’opera diventa uno strumento di narrazione, racchiudendo in sé tutto l’insieme di relazioni che ne hanno determinato la nascita: l’agency appunto, ovvero il presupposto stesso dell’esistenza della forma espressiva artistica. Nei nostri oggetti smarriti, sembra proprio l’intreccio complesso di relazioni di reciprocità – tra gli artisti e il proprio quotidiano, le implicazioni terapeutiche, le aspettative degli osservatori esterni – a far esplodere il potere dei manufatti, rendendoli protagonisti attivi del contesto sociale dal quale prendono vita.
Gli oggetti assumono così la facoltà di relativizzare il confine tra percezione ed immaginazione. Con la portata penetrante di ogni sguardo divergente sulla realtà, ci mettono in contatto diretto con il nostro immaginario interiore, quello in cui le cose si mescolano alle paure, si illuminano di intuizioni, si caricano di speranze riposte. È forse proprio da tale connessione inconscia e profonda che deriva la forza con cui queste rappresentazioni ci arrivano. Se ci accostiamo a loro senza tentare di proteggerci, possiamo davvero provare a connetterci con quella parte di noi sepolta sotto strati di prosaica, razionale quotidianità. E, in quegli oggetti smarriti, d’un tratto, ritrovarci.
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