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AA.VV. Quello che vedete non è né cibo, né arte

AA.VV. Quello che vedete non è né cibo, né arte

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Data / Ora
Date(s) - 29/10/2024
6:30 pm - 9:00 pm

Luogo
Galleria Gaburro

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Il 29 ottobre, la Galleria Gaburro di Milano inaugura una mostra collettiva che, a partire dall’aforisma di Daniel Spoerri, rilegge la poetica del Maestro attraverso lo sguardo di una nuova generazione di artisti.
Nella società contemporanea il cibo ha assunto e assume nuove caratteristiche. Riprodottocostantemente da immagini che popolano i media e i social network, è oggi paradigma della
spettacolarizzazione della vita quotidiana.
Seguendo l’aforisma di Daniel Spoerri che dà il titolo alla mostra, l’esposizione vuole costruire undialogo intergenerazionale e intermediale a partire dall’artista romeno, che conserva e preserva scene di vita ordinaria facendo riferimento alle ritualità spettacolari del consumo dei pasti o di qualsiasi azione. Inserendosi in un’ampia riflessione sulla quotidianità, sulla ritualità,
sull’alchimia e sul cibo (“sul cibo, con e senza il cibo, attraverso il cibo e il corpo”), quattro artisti declinano, consapevolmente e in modo sempre differente, un aspetto della poetica di Spoerri.
Quello che vedete non è né cibo, né arte – il titolo del nuovo progetto di Galleria Gaburro nello spazio espositivo di via Cerva 25 a Milano – esplora l’immaginario di Daniel Spoerri con un percorso di 27 opere che, dal 30 Ottobre 2024 al 31 Gennaio 2025, sfidano la percezione dei visitatori intrecciando presenza e assenza, reale, iperreale e surreale.
“Siamo legati a Daniel da circa dieci anni, ci siamo incontrati in Austria durante una festa di Pentecoste di Hermann Nitsch. Parlando con lui, ho colto quel carisma e quella forza che appartengono ad un grande maestro. La sua personalità, ruvida ma incredibilmente acuta e perspicace, mi ha affascinato. Da allora, abbiamo sempre creduto e investito nel suo lavoro. Il nostro rapporto con Iain, invece, è molto più recente: ci ha accolto nella sua casa-studio a Manchester, e noi lo abbiamo ospitato qui in Italia. Tra Milano, Verona e Firenze, gli abbiamo fatto scoprire le meraviglie della storia dell’arte italiana” Giorgio Gaburro, Founder di Galleria Gaburro.
La mostra collettiva – curata da Matteo Scabeni con lavori firmati da Iain Andrews, Leda Bourgogne, Nebojsa Despotovic, Daniel Spoerri e Malte Zenses – interpreta infatti l’alchimia della tavola, dove tutto è una trasformazione costante e ripetuta della realtà.
Daniel Spoerri ha segnato una svolta nella storia dell’arte preservando scene di vita quotidiana, come i rituali legati al consumo dei pasti. La sua pratica, in linea con il Nouveau Réalisme, consiste nel repêchage di oggetti consunti, de-contestualizzandoli per renderli altro. Nei suoi tableau-piège (quadri trappola), ricostruisce le architetture delle tavole imbandite, intrecciando simbolismi e
suggestioni intime e biografiche.

Le opere di Iain Andrews ibridano episodi biblici e testi come Paradise Lost, creando vortici di colore dove forme dettagliate si mescolano a elementi appena accennati per coinvolgere stimoli psicologici e stratificazioni fisiche di colore e significato. Andrews cattura un’atmosfera surreale e un dolore esistenziale, liberando l’arte attraverso la leggerezza del gesto pittorico. La stessa leggerezza degli oggetti appesi alle pareti, intrappolati nella rappresentazione, di Spoerri.
Indagando le pratiche di controllo del corpo, luogo di volontà, Leda Bourgogne esplora il tema dell’auto-difesa e dell’auto-controllo. Le sue opere, contrapposte per materiali, riflettono un andamento tra stress e distress, rappresentando un percorso di liberazione e riappropriazione dell’identità attraverso contrazione, concentrazione e catarsi.

Nebojsa Despotovic si appropria degli anfratti misteriosi della memoria per celebrare la pittura come narrazione intima e personale. Le sue opere, caratterizzate da atmosfere espressionistiche,
esplorano la quotidianità degli oggetti di Spoerri, creando un nesso tra realtà e soggetto in cui le figure si collocano sul fragile confine tra ciò che è vero e la deformazione estetica del ricordo.
Le opere di Malte Zenses ampliano il vocabolario della pittura astratta e del nuovo realismo, integrando ricordi e luoghi in codici astratti. Le sue immagini creano un’armonia tra personale e
impersonale, accompagnando lo spettatore in un percorso di riflessione. La sua poetica esplora memoria e oblio, offrendo un’educazione al ricordo e alle sensazioni che ci ancorano alla realtà e
alla vita.

Sul segno del gesto artistico di Spoerri, che consisteva nell’attingere da ciò che è reale per agire nella sua rielaborazione estetica trasformando inevitabilmente l’oggetto in altro, la narrazione della mostra è infatti costruita attraverso una tensione reciproca tra due dimensioni: l’immanente, il reale – quel luogo in cui la trasformazione avviene – e l’alchemico, l’oltrereale – quel luogo fisico e
metaforico che si crea dopo l’alterazione della materia. Le differenti visioni poetiche degli artisti si intrecciano creando un dialogo su questa tensione impossibile tra la realtà e la sua trasformazione e trasfigurazione, tuttavia pur sempre e inevitabilmente legata alla realtà.
Lo spazio della mostra è dunque uno spazio senza limiti e confini definiti (se non quelli, naturali, delle opere) in cui questa indagine sul cibo si intreccia alla sua memoria e al suo processo di
trasformazione. Dunque, “quello che vedete non è né cibo, né arte”.

Galleria Gaburro, via Cerva 25 Milano
Dal 30 Ottobre 2024 al 31 Gennaio 2025
Inaugurazione e cocktail martedì 29 Ottobre, ore 18.30
Apertura mostra 30 Ottobre 2024
Orari di apertura dal martedì al sabato
Dalle ore 11.00 alle 13.00 dalle 14.00 alle 19.00
Galleria Gaburro
Via Cerva 25,
20122 Milano
info@galleriagaburro.com

galleriagaburro.com/eventi/75/Quello-che-vedete-non–n-cibo,-n-arte

Tel. +39 02 99262529

Galleria Gaburro è stata fondata nel 1995 da Giorgio Gaburro, collezionista e mercante d’arte. Con due sedi, Milano e Verona, dal 2020 è co-diretta dalla figlia Cecilia.
La Galleria ha all’attivo produzioni, eventi, progetti espositivi e editoriali con artisti italiani e internazionali come Daniel Spoerri, Hermann Nitsch, Emilio Isgrò, Marco Cingolani, Danilo Bucchi,
Jan Fabre e Liu Bolin. Tra le istituzioni con cui ha collaborato, il MART di Rovereto, la Galleria Nazionale d’Arte Moderna di Roma, la Biennale di Venezia, Palazzo Ducale a Mantova, l’Università Bocconi di Milano, il MUDEC Museo delle Culture di Milano, la Galleria Borghese di Roma, la Reggia di Caserta, la Galleria d’Arte Moderna Achille Forti di Verona, il Complesso del Vittoriano di Roma, la Galleria degli Uffizi e il Palazzo Vecchio di Firenze. Linea guida dell’attività è il concetto di Project Gallery: ogni progetto nasce dall’interscambio tra l’artista, il curatore e la galleria, ed è concepito ad hoc per gli spazi espositivi, privati o istituzionali, sempre coerenti con il messaggio e l’intervento dell’artista

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Quello che vedete non è né cibo, né arte. Cercare, con gli occhi, nel mondo
Di Matteo Scabeni

–  Quanto l’estetica del cibo abbia assunto una dimensione estremamente pervasiva nella nostra quotidianità può essere facilmente testimoniato dall’immensa diffusione delle immagini all’interno dei mezzi di comunicazione: sui social network i nostri pasti vengono immortalati da immagini che, scadute 24 ore, spariranno oppure in pietre miliari che rimarranno per sempre visibili ad altri utenti; immagini più o meno di repertorio attraversano i telegiornali e la carta stampata attraverso riviste più o meno specializzate o come circondario di un’identificazione estetica del gusto in cui siamo completamente immersi. Inevitabilmente, questa suggestione culturale e sociale influenza, con una prospettiva marcatamente precisa, l’arte più o meno contemporanea. Spesso, bisognerebbe fondamentalmente interrogarci su cosa sia, effettivamente, il contorno di questa ossessione bulimica per le forme del cibo 1.

Piatti realizzati da trattorie, fine dining, ristoranti gourmet, tristellati Michelin o rosticcerie si rispecchiano a vicenda nella comunanza atipica di alcune pratiche. Un rituale di condivisione senza tempo che manifesta la sua importanza con la sua diffusione capillare nello spazio e nel tempo, una dinamica di repressivo controllo sul corpo e sulla mente, un’ossessione marcatamente erotica. Ma anche, ed è qui l’importanza paradigmatica della sua presenza, una trasformazione costante, ripetuta e alchemica, della realtà. Una ricetta viene a configurarsi come uno spaccato di un processo in cui ingredienti grezzi vengono a trasformarsi in nuove forme e queste forme possono essere riproposte in infinite configurazioni in piatti più o meno elaborati. Una ricetta non è più soltanto una ricetta ma si trasforma in un’esperienza sui fenomeni che regolano le dinamiche della realtà. Fondamentalmente, tanatoprassi: il cibo regola la vita, il sostentamento, opponendosi all’ineluttabile presenza della morte 2. È interessante osservarne lo sviluppo dell’estetica nei pochi decenni appena trascorsi, senza citare le stupende scenografie architettate dalle civiltà greche, etrusche e romane, attorno e nel cibo.

Se, nella società del consumo, il bisogno di nutrirsi veniva assimilato come paradigma della progressiva necessità di sopravvivenza, ossessiva negazione della morte e della malattia, nella società dello spettacolo il piatto ha assunto le caratteristiche che oggi possiamo riconoscere come la gradevolezza estetica, la ricercatezza del gusto, l’esclusività dell’accesso a certi luoghi considerati reali templi del nutrirsi. Il cibarsi è progressivamente mutato da necessità quotidiana a spettacolarizzazione della sua quotidianità. Giungendo nella società della sorveglianza capitalistica digitale si tratta pur sempre della celebrazione estetica della quotidianità con il bisogno, impellente, di consumare immagini, contenuti 3 e non più nutrirsi per sopravvivere.

Un taglio netto all’interno della storia dell’arte: Daniel Spoerri. L’artista romeno ha dichiarato, in un’intervista del 2015 al Museo Novecento di Firenze, che il suo gesto artistico consisteva nell’attingere da ciò che è reale – l’oggetto, in quanto oggetto – per agire nella sua rielaborazione estetica, trasformando l’oggetto inevitabilmente in altro. Spoerri conserva e preserva scene di vita quotidiana4 facendo riferimento alle ritualità spettacolari del consumo dei pasti o di qualsiasi azione quotidiana. Nella stessa intervista, Spoerri ha smosso un concetto fondamentale (che si può ritrovare sia nella mostra Dyllaby del 1962 allo Stedelijk Museum di Amsterdam sia nella vasta retrospettiva a lui dedicata nel 2021 al MAMAC di Nizza The Theatre of Objects): la tavola è quel luogo di trasformazione e metamorfosi della materia che sarà nuovamente trasformata una volta ingerita.   È   un   chiaro   parallelismo,   secondo   l’artista,   al   gesto   di Re Mida: la trasformazione alchemica, un processo esoterico in cui non si modifica solo la sostanza degli oggetti, ma anche il loro significato ontologico.

A partire dall’aforisma di Spoerri, che dà il titolo alla mostra, Quello che vedete non è né cibo, né arte, all’interno degli spazi della Galleria Gaburro di Milano, costruisce un percorso attorno all’atto del mangiare. Sul cibo, con e senza il cibo, attraverso il cibo e il corpo, l’esposizione intreccia reale, iperreale e surreale nella poetica di cinque artisti: Iain Andrews, Leda Bourgogne, Nebojša Despotović, Daniel Spoerri, Malte Zenses.

La narrazione è costruita attraverso una tensione reciproca tra due dimensioni: l’immanente, il reale – quel luogo in cui la trasformazione avviene -, e l’alchemico, l’oltrereale – quel luogo fisico e metaforico che si crea dopo l’alterazione della materia. Nella sua parzialità, la mostra vuole indagare questo processo di trasformazione della materia. Le differenti visioni poetiche degli artisti si intrecciano e costruiscono un dialogo su questa tensione impossibile tra la realtà e la sua trasformazione e trasfigurazione – tuttavia, pur sempre, inevitabilmente, legata alla realtà.

Ciascun artista declina, consapevolmente, un aspetto della poetica di Spoerri in maniera molteplice, costruendo un intero percorso attraverso queste assonanze e consonanze incostanti e non sempre coerenti. Lo spazio della mostra è uno spazio senza limiti e confini definiti (se non quelli, naturali, delle opere) in cui questo contorno sul cibo si intreccia alla sua memoria, al suo processo di trasformazione, al sogno, al conflitto e alla sua risoluzione, alle prospettive di controllo che lascia irrisolte, alla libertà, celebrando e omaggiando la poetica del grande artista romeno.

Daniel Spoerri concepisce la propria pratica, in linea con gli esperimenti del Nouveau Realisme, come un repechage di oggetti consunti, in cui le tracce della realtà sono immediatamente percepibili. Agisce come un rigattiere de-contestualizzando gli oggetti prelevati per renderli altro 5. Nei suoi tableau piège (letteralmente quadri trappola), ricostruisce le architetture delle tavole imbandite intrecciando simbolismi, narrazioni e suggestioni intime e biografiche.

Allo stesso modo, Nebojša Despotović  si appropria di quelle dimensioni più o meno lontane della memoria per celebrare la pittura in quanto narrazione intima e profondamente personale. Episodi al limite con il folkloristico, scene trasognate “nell’ombra del presente” 6, atmosfere espressionistiche in cui la prospettiva del suo sguardo costruisce il nesso inscindibile tra la realtà ed il soggetto. È qui che la quotidianità degli oggetti di Spoerri attraversa il tempo per farsi memoria intimamente biografica. Attraverso tracce e ricordi, Despotović osserva il mondo e lo riproduce nella sua ambiguità: le figure sono sul confine sottile e fragile tra ciò che è vero e ciò che è soltanto la deformazione estetica del ricordo.

In questa quotidianità armonica, emergono visioni psicotrope e surreali.

La poetica di Iain Andrews vede coinvolti stimoli psicologici e stratificazioni fisiche (di colore) e di significato differenti. L’artista ibrida episodi biblici o ripresi da testi come Paradise Lost (di John Milton) costruendo inebrianti vortici di colore in cui le forme appaiono, nella stessa rappresentazione, incredibilmente dettagliate o appena accennate. Nell’intero processo, il paradosso costituisce una prospettiva esistenziale: episodi provenienti da storie – reali – drammatiche si mescolano come i colori – infiniti – della sua tavolozza. Andrews si appropria di quell’atmosfera trasognata, vagamente surreale, del dolore esistenziale: una leggerezza perturbante in cui si inserisce quel dolore che l’arte libera e purifica. La stessa leggerezza materica degli oggetti, appesi a parete, intrappolati nella rappresentazione di Spoerri.

Nel discorso liminale tra il controllo del corpo, la dieta, e l’esasperazione, si inserisce la narrazione di Leda Bourgogne. Le sue opere indagano quelle pratiche di controllo del corpo che lo configurano come luogo di volontà assumendo le istanze proprie dell’auto-difesa e dell’auto-controllo. La scelta, profondamente personale, di costruire contrasti materici tra le opere della propria produzione risponde a questo continuo andamento altalenante tra lo stress e il distress: una progressiva liberazione e riappropriazione dell’identità che passa attraverso la contrazione, la concentrazione, e la catarsi.

Le opere di Malte Zenses ampliano il vocabolario della pittura astratta e del nuovo realismo integrando, in modo mirato, un ricordo, un luogo o una fotografia in cui i riferimenti personali sono mascherati da un insieme di codici astratti, composti da simboli, segni e brevi aforismi. Immagini asciutte che creano un’armonia intrinseca tra il personale e l’impersonale. Si tratta, dopotutto, di una rappresentazione intimamente esistenziale: l’artista si pone in ascolto di quelle forze sotterranee cercando di farle emergere in queste tele appena accennate. Memoria e oblio, trascendenze interrotte dal peso dell’immanenza, atmosfere indistinte accompagnano lo spettatore in un percorso di pura riflessione personale ed estetica. Si tratta di un’educazione al ricordo e a quelle sensazioni più o meno lontane che ci ancorano profondamente alla realtà e alla vita.

Un’antologia del reale, un reale così reale da essere uberreal 7, nell’accezione di Thomas Palzer. Non iperreale, ma oltrereale: una dimensione allo stesso tempo superiore e intellegibile, articolata attorno alla compenetrazione tra immanenza e trascendenza, simboleggiata da un certo approccio dicotomico tra digitale e virtuale. Per Palzer, nell’epoca dell’ipertrofia comunicativa e mediale, l’uso spasmodico delle immagini ha costruito una dimensione, l’oltrerealtà, in cui gli oggetti sono “come sono fotografati” 8. Il confine tra immagine e oggetto si è assottigliato fino ad evaporare nella rappresentazione artistica. L’estetica dell’occhio deformato della nostra contemporaneità non solo influenza la produzione degli oggetti, ma anche la stessa funzionalità – estetica e concettuale – dell’oggetto in sé.

Per sopperire a questo gap estetico e sociale tra ciò che è rappresentato e ciò che è reale, l’esposizione tenta di ricostruire questa oltrerealtà (Uber Realitat). Uno spazio intimo in cui presenze strane ed inquietanti, forme più o meno aliene, immagini più o meno distorte dialogano nella disarmonia dovuta al contrasto tra le varie rappresentazioni eterogenee. Un equilibrio parossistico tra ciò che è, ciò che permane, e la sua, paradossale, natura effimera. Fuori dal tempo, fuori dallo spazio, collocate secondo accostamenti non regolari, le opere ci intimano a perseguire i nostri ricordi, i nostri sogni, le nostre vane vacuità: lo spettatore è invitato a percepire questa malinconia visiva per riappropriarsi, innanzitutto, dei propri ricordi immedesimandosi nella rappresentazione.

In questo difficile equilibrio tra significato e percezione, emerge il rapporto tra verità e finzione che sta alla base concettuale della riflessione. Quale è il ruolo che questi oggetti – le opere d’arte – ricoprono? Le forme hanno un significato o sono solo ciò che sono? E che cosa sono, di per sé, queste forme? Quale è la loro reale funzione estetica? La mostra indaga questa prospettiva tanto complessa quanto visibile nelle lunghe, ma immediate, narrazioni che ciascuna opera vuole far emergere e costruire.

E se, per riprendere Nicolas Bourriaud, “l’opera d’arte attuale non gode di alcuna autonomia rispetto alla produzione ordinaria di oggetti” 9, questo percorso non reclama alcuna autonomia estetica ma semplicemente segue la forza della libertà. Quella libertà innata, atavica e ancestrale, che permette all’artista di ampliare lo sguardo oltre una prospettiva anatomicamente analitica di una realtà costellata dalle infinite sfaccettature multiformi. Quella bellezza stonata, malinconica, della sfumatura, così falsamente oggettiva, del ricordo. Quella dolcezza, così commovente, di un perfetto istante di spensieratezza: seduti, ad un tavolo – con una, due, dieci persone, o con nessuno -, in un’epoca che ci appare così distante nel tempo, a consumare quel piatto che, ancora oggi, ci riporta alla nostra infanzia.

Dunque – per dieci minuti, per un’ora, o per sempre – siate nuovamente bambini: stupiti di fronte alla bellezza che supera un’immagine per farsi un sogno figlio di un sonno senza sogni. Non lo ricorderete, ma sarete pervasi dalla sua dolcezza.

Matteo Scabeni

***

WHAT YOU SEE IS NEITHER FOOD, NOR ART
On October 29th, Galleria Gaburro will inaugurate in Milan a group exhibition inspired by Daniel Spoerri’s aphorism. This exhibition reinterprets the poetics of the Master through the
lens of a new generation of artists.
In our contemporary society, food has taken on new characteristics. Constantly reproduced through images that populate media and social networks, it has become a paradigm of the spectacle of
everyday life. Following Spoerri’s aphorism, which serves as the title of the exhibition, the show seeks to build an intergenerational and intermedial dialogue, starting with the Romanian artist, who preserves and immortalizes scenes of daily life by referencing the ritualistic spectacle of meal consumption or any other action. Engaging with broader reflections on everyday life, ritual, alchemy, and food (“about food, with and without food, through food and the body”), four artists consciously and distinctively interpret an aspect of Spoerri’s poetic.
The exhibit, titled What You See Is Neither Food Nor Art—a new project by Galleria Gaburro at their Via Cerva 25 exhibition space in Milan—explores the imagery of Daniel Spoerri through a collection of 27 works that, from October 30, 2024, to January 31, 2025, challenge visitors’ perceptions by intertwining presence and absence, reality, hyperreality, and surrealism.
“We have been related to Daniel for about ten years, having first met him in Austria during the Pentecost celebrations of Hermann Nitsch. Through our conversations, I was captivated by the charisma and strength that only a great master possesses. His personality, though rough, is incredibly sharp and insightful, which fascinated me. Since then, we have believed and invested in his work. Our relationship with Iain, on the other hand, is much more recent; we were welcomed into his home-studio in Manchester, and we’ve hosted him here in Italy. Between Milan, Verona, and Florence, we have introduced him to the marvels of Italian art history.” – Giorgio Gaburro, Founder of Galleria Gaburro.

Curated by Matteo Scabeni, featuring works by Iain Andrews, Leda Bourgogne, Nebojsa Despotovic, Daniel Spoerri, and Malte Zenses, the group exhibition delves into the alchemy of the table, where everything is a constant and repeated transformation of reality.
Daniel Spoerri made a turning point in art history by preserving scenes of daily life, such as rituals tied to the consumption of meals. His practice, in line with Nouveau Réalisme, involves the retrieval of worn-out objects, decontextualizing them to transform them into something else. In his tableau-piège (snare pictures), he reconstructs the architecture of laid tables, intertwining symbolic, intimate, and biographical suggestions.
Iain Andrews’ works hybridize biblical episodes and texts like Paradise Lost, creating vortices of colour where detailed forms blend with barely hinted elements, stimulating psychological responses and layered physicality of colour and meaning. Andrews captures a surreal atmosphere and existential pain, freeing art through the lightness of the painterly gesture—similar to the lightness of objects hanging on walls, trapped in representation, in Spoerri’s work.
Leda Bourgogne investigates practices of bodily control, focusing on themes of self-defense and self-control. Her works, contrasting in materials, reflect a tension between stress and distress, representing a path toward liberation and reclaiming identity through contraction, concentration, and catharsis.
Nebojsa Despotovic delves into the mysterious recesses of memory to celebrate painting as an intimate and personal narrative. His artworks, characterized by expressionistic atmospheres, explore the everyday objects of Spoerri, creating a connection between reality and subject where figures are placed on the fragile boundary between what is real and the aesthetic distortion of memory.
Malte Zenses’ works expand the vocabulary of abstract painting and new realism, integrating memories and places into abstract codes. His images create a harmony between personal and impersonal, guiding the viewer on a path of reflection. His poetics explore memory and oblivion, offering an education in memory and in the sensations that anchor us to reality and life.
Following the artistic gesture of Spoerri, which consisted of drawing from the real to act in its aesthetic reworking, inevitably transforming the object into something else, the narrative of the exhibition is built on a mutual tension between two dimensions: the immanent, the real—where transformation takes place—and the alchemical, the beyond-real—both a physical and metaphorical space created after the alteration of matter. The different poetic visions of the artists intertwine, creating a dialogue about this impossible tension between reality and its transformation and transfiguration, always and inevitably tied to reality.
The exhibition space is, therefore, a space without limits and defined boundaries (except for the natural ones of the works themselves), where this exploration of food intertwines with its memory and process of transformation. Thus, “what you see is neither food, nor art.”

Galleria Gaburro was founded in 1995 by Giorgio Gaburro, a collector and art dealer. With two locations, in Milan and Verona, since 2020, it has been co-directed together with his daughter Cecilia. The gallery has produced exhibitions, events, and editorial projects featuring both Italian and international artists, including Daniel Spoerri, Hermann Nitsch, Emilio Isgrò, Marco Cingolani, Danilo Bucchi, Jan Fabre, and Liu Bolin.

Among the institutions it has collaborated with are the MART Museum in Rovereto, the Galleria Nazionale d’Arte Moderna in Rome, the Venice Biennale, Palazzo Ducale in Mantua, Bocconi University of Milan, the MUDEC Museum in Milan, the Galleria Borghese of Rome, the Royal Palace of Caserta, the Galleria d’Arte Moderna Achille Forti in Verona, the Complesso del Vittoriano of Rome, The Uffizi Gallery and Palazzo Vecchio of Florence. Guideline of the gallery is the concept of project gallery: each project is realised thanks to the interchange between the artist, the curator and the gallery, and it is conceived ad hoc for the exhibition spaces of Galleria Gaburro -in the heart of Verona and in the center of Milan- or for institutional exhibits in venues consistent with the artist’s message and intervention.

nella foto :  Daniel Spoerri

Senza Titolo (Faux Tableau-Piège/Falso Quadro-Trappola) (2010)
assemblaggio
97 x 102,5 x 50 cm   – Coutesy Galleria Gaburro, Milano – Verona
 Comunicato inserito da Francesco Bonazzi Bonazeta Vr –

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