Data / Ora
Date(s) - 23/02/2019 - 06/04/2019
3:00 pm - 7:00 pm
Luogo
VILLACONTEMPORANEA
Categorie
Sulla parete, un parassita, i cui occhi brillano eppure sono accecati, la realtà intorno è un offuscato bianco e nero, osserva il mondo, in realtà senza guardarlo, sopravvive nel buio, su una zanzariera, nelle sue cieche ombre di nostalgia, con lo sguardo rivolto verso le sue paure e verso la tela. Eppure quello sguardo potrebbe cercarvi, in questo momento, proprio mentre la vostra testa è china su questo foglio e i vostri occhi seguono attentamente le parole che state leggendo, qualcuno, oltre a lui, dietro, davanti o intorno a voi, vi sta osservando, attendendo che alziate lo sguardo. E’ un’attesa, lunga e febbrile, ma che soltanto voi potrete soddisfare, le opere che vi circondano bramano uno sguardo, solo uno, è un’unione che potrà concedere a entrambi sollievo, giratevi e forse come in un’ iridescente superficie riflettente, quest’arte sfiorerà in un attimo il vostro inconscio più intimo, la vostra eccezionalità.
Quando sono entrata per la prima volta nello studio di Adi Haxhiaj sono rimasta colpita dal mosaico di opere che mi circondavano, dai colori lievi e cangianti, ma tutte in qualche modo legate l’una all’altra. Dormienti nelle loro cornici, sarcofagi, come una volta li ha definiti l’artista. Esse, nella loro tridimensionalità di oggetti ritrovati in luoghi altri, sono costellate da piccoli e preziosi indizi che l’artista non ama descrivere, preferisce che ognuno di noi ci si perda e si ritrovi da sé. Così io posso solo raccontarvi, o darvi qualche piccolo accenno: l’affresco del tuffatore (lastra funeraria dell’antica Grecia), un capitello, una pitonessa, un ritaglio di un disegno di Adolf Wildt, il tappeto più vecchio del mondo, un riferimento a Moravia, un tatuaggio, un insetto, l’Idra di Lerna, un estrapolato di un disegno di Vincent Van Gogh; potremmo continuare per molto, soffermandoci su queste pitture create inconsapevolmente dalla psiche dell’artista, le cui lacune sono state elaborate su dipinti di Raffaello Sanzio, Antonello da Messina, oltre che su più fantasiose e creative idee. Ma il punto è un altro, questa volta le opere non devono essere spiegate, dovete osservarle, cercarle ed avere la curiosità di introdurvi in esse, perché la loro storia è molto più complessa.
Nate dall’ignoto di una strada o di un immaginario, sono tele divenute luoghi surreali, si aggrappano al mondo, se ci si avvicina si scorgono dettagli che raccontano la loro vita e se si accosta l’orecchio si può persino sentirle respirare, sono opere che riprendono immagini al limite della sparizione, esse vivono un eterno conflitto tra la vita e la morte, dimorano nello sgomento, ma anche nel coraggio, nel coraggio di sopravvivere al limbo del surreale e dell’inconscio, esse vi dirigeranno verso realtà ulteriori, perché perdurano di una vita propria.
Secondo Adi Haxhiaj è il dettaglio che rende viva l’opera, ed è da questo piccolo ma essenziale particolare da cui essa nasce e muore rigenerandosi, in un susseguirsi di metamorfosi che passano attraverso il concetto indefinito di tempo. Il particolare è l’incipit della trama, nel labirintico gioco dell’esistenza. L’immaginario presente su questi lavori conduce in un dedalo che si addentra in uno specchio dalla duplice visione raccontando un doppio viaggio, quello nostro di osservatori e quello dei lavori. Ed ecco che l’artista, sognatore cosciente, (con queste parole Cristina Campo definiva J. L. Borges), apre le porte ad un concetto differente di ciclicità, egli racconta il tempo dei suoi quadri, un tempo onirico, immaginario e reale, un tempo che non vedremo e un tempo inconscio, che non conosciamo, essi sono l’essenza eterna dell’arte che, in quanto tale diviene indefinita.
Frammenti riesumati dai sogni, i nostri sogni, mischiati all’enigma della realtà, trasparenze in cui si manifesta il riverbero dell’essere e dell’onirico, istanti colti all’apice della veglia, talvolta divenuti incubi, essi sono l’intreccio delle virtù primarie dell’esistenza. Particolari che si rigenerano nella memoria dell’artista che crea nel concetto, nella lievità di un’immaginazione che avanza, il divenire di forma e materia. La creatività di Adi Haxhiaj è il segno di un’illusione, di una frattura nata dalla debolezza, dalla fragilità ed è da queste instabili entità che si realizza la concretezza dei suoi segni pittorici; la trasformazione, la metempsicosi dell’oggetto che Adi Haxhiaj rielabora in opera d’arte. Illusioni, invasioni, ossessioni, pezzi di vita che divengono arte.
Ritornanze descrive qualcosa che ritorna, l’oblio che rinasce, la linea sottile che divide la vita dalla morte, il tentativo forse vano, forse no, delle opere di resistere all’esistenza. La loro capacità di sopravvivere, sopravvive a noi, ad ogni singolo nostro respiro, atto, desiderio, a quest’immensa paura che abbiamo dell’esistenza.
Lei, l’opera, è lì che osserva, nella sua solitudine e alienazione.
Questa mostra racconta i lavori di Adi Haxhiaj, per una volta ponendosi dalla loro parte e non dalla nostra, il perché della loro presenza, l’evoluzione, l’aleatorietà nell’osservare l’intricata via che conduce ai Campi Elisi, la loro tentazione di raggiungerli, la capacità vacua di non varcare quel portone. Esiste un amore intenso dietro ad ognuno di loro, nati nell’oscurità della notte, in una coltre di buio, nell’attrazione legata alla follia che essa origina, un legame generato da rituali, sì perché l’oscurità a volte cela il loro essere, i loro desideri, molti irrealizzati, altri compiuti. Essi a volte anelano di arrendersi cedendo all’abbandono, cadendo nel baratro della sparizione, ma in parte, come nell’Io del loro creatore, esiste anche la tenacia dell’ essere oggetti irrazionali, ed è per questa motivazione che non cedono; nella loro essenza vivono nelle loro infinite narrazioni.
Sono ossimori, rimandi, riflessi d’arte, respiri di vita, oggetti tridimensionali che l’artista è riuscito a far rivivere, in cui il gioco dell’immaginazione passa dal bidimensionale al tridimensionale, non è un’illusione nella tela, è sulla tela. Zanzariere, una rappresentazione di un parabrezza, ogni opera deriva da un oggetto reale o immaginato, e dietro di essi si nascondono immagini di pittori immortali, oppure di vita più reale. Esse conservano e creano dialoghi tra diversità, passaggi tortuosi da attraversare, essenze che raccontano di indizi come nelle migliori favole. L’arte di Adi Haxhiaj è soprattutto la vera natura del mito e della favola.
Adi Haxhiaj è come un cantore, inventa fiabe e racconti, lasciando tracce sulla tela di modo che ognuno possa seguire il suo sentiero, attraversando l’incubo della propria fantasia. Nel suo creare e vedere esseri immaginari, tratti dalla sua psiche, nel figurarsi dialoghi tra piccoli frammenti d’arte ed eventi di vita quotidiana, Adi Haxhiaj sconvolge il concetto di importanza, dando credito al vagheggiare e alla fantasia nelle sue differenti eccezioni, considerandoli vita in tutte le sue innumerevoli anomalie, realizzando opere viventi, in cui una realtà immaginaria, diviene tale. Adi Haxhiaj racconta le infinite sfaccettature della verità, creando molteplici storie, l’artista è come un alchimista, mischia rimandi, ricordi, arte ed ecco composto un oggetto pronto a navigare nell’Io, in un gioco di finzioni che altro non è che pura realtà.
Leda Lunghi
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