Data / Ora
Date(s) - 16/03/2024 - 17/03/2024
6:00 pm - 8:00 pm
Luogo
Le strenghe
Categorie
Il 16 Marzo alle 18 in Via XX Settembre n°23 a Ferentino, nella storica sede del laboratorio teatrale dell’Ass.ne Le strenghe, viene inaugurata con l’organizzazione dell’Ass.ne Materia Creativa e il patrocinio di Provincia Creativa, Il 16 Marzo alle 18 in Via XX Settembre n°23 a Ferentino, nella storica sede del laboratorio teatrale dell’Ass.ne Le strenghe, viene inaugurata con l’organizzazione dell’Ass.ne Materia Creativa e il patrocinio di Provincia Creativa, Canti Elettrici, “sesto canto” del progetto Arca, un esperimento di “microbiologia poetica dell’anarchia intercellulare” a cura di Danilo Paris.
La mostra resterà poi aperta fino a Domenica 17 Marzo, dalle ore 15 alle ore 20.
Canti Elettrici è il canto VI del ciclo delle Arche, lo spazio-Arca VI, che dispone l’installazione “Fragili soglie” di Francesca Cicia.
Arca è un progetto ideato tra fine 2022 e inizio 2023 da Danilo Paris, Giampaolo Parrilla e Matteo Gobbo, come macchina di incubazione per nascite possibili e dispositivo nomade di accoglienza e curatela degli immaginari in esilio, un “presepe di corpi fragili”.
Il progetto ARCA punta ad attirare l’attenzione su tematiche distanti, iper-oggetti, come scrive Thimothy Morton, e allo stesso tempo a riqualificare o forse squalificare, rendere stranieri, alcuni luoghi storicamente importanti, ma marginalizzati.
Una tecnologia dello spossessamento del nostro sé dalla nostra specie, per sdebitarci, per s-nobilitarci e affidare le nostre radici all’altrove. Più che un’epica del presente sepolto e del locale da cui poi si diramano i passati, i futuri e gli assenti, è un trasloco dell’epicentro poetico.
ARCA è una mostra organica, in divenire, che trattiene la memoria degli avvenimenti in essa occorsi come tracce.
Si sviluppa in corrispondenza al “ciclo delle arche”, poema in 9 canti di Danilo Paris, secondo ciclo della raccolta “Filogrammi della segnatura”, ogni canto dei quali si configura come relazione endosimbiotica con le opere artistiche e gli spazi in cui hanno luogo: spazi di cura site-specific per fantasmi site-specific. Attraverso uno sprofondamento nella storia di esodi, sfollamenti, confini insanguinati e identità negate degli ultimi due anni, si racconta la storia dei Mhyr, latenze di nascite che sfuggirono alla vita, consegnandosi ad una dimensione liminare e possibile, una generazione futura che inventa una genesi rovesciata, una visione dell’origine che precede la sua venuta, in un’ottica di figura-profezia/adempimento retroattivo, in cui la luce viene ritrovata solamente attraverso una genesi retroattiva, che dai figli si riflette all’indietro verso i precedenti.
Proprio in questo inframince, in questo limbo infra-sottile si collocano le Fragili Soglie, l’ambiente memoriale dell’opera di Cicia, un serie di otto acetati dislocati nello spazio di una stanza nel centro storico di Ferentino, cittadina ciociara, luogo marginalizzato, quasi desertico, luogo di rovine e di memorie stratificate.
Canti Elettrici è l’incontro di due forme.
L’installazione ambientale “Fragili soglie” creata dall’artista Francesca Romana Cicia, uno spazio-soglia, luogo del rimosso e primordiale abisso.
La lettura del sesto canto del poema “Filogrammi della segnatura di Danilo Paris in interferenza simbiotica con un coro di voci eterogenee: i giovani Henry Fiorini, Luciano Valle, Antonella Pischedda, l’artista audio-visuale Germana De Vincenzi e il contributo di tre note poetesse, Irene Sabetta, autrice con Convivio editore del recente Errore Cronologico; Elisa Longo, creatrice del podcast Vocale e Giulia Bocchio, direttrice della rivista Poetarum Silva e scrittrice( trai suoi libri La febbre dell’Io, con l’editore Il ponte vecchio).
Un coro di voci che fanno dell’Io un Ambiente rapsodico vivente, uno spazio in cui “divenire-ambiente”.
Canti elettrici nasce dal lavoro di simbiosi tra le “Fragili soglie” di Francesca Cicia, il Canto VI di Danilo Paris e le scritture del coro; l’evento inscena una trasformazione, un divenire-elettricità, un divenire astratto, oltre l’apparenza delle immagini, attraversare i fondali della memoria, strato per strato, e risalire nel cristallo dei tempi che si condensano in uno spazio unico, spazio aleph in cui tutti i luoghi sembrano coesistere.
Fragili soglie, mappa di una città sconosciuta, mappa di un inconscio architettonico, mappa dei residui dimenticati dell’io diviso lacaniano, l’Io che emergerebbe nello stadio dello specchio attraverso l’edificazione architettonica di una chiusura fortificata per proteggersi contro una divisione tra interno e esterno. Lo spazio profondo e illocalizzabile della città in bottiglia è un luogo segreto non mappabile, ‹‹il colore della televisione sintonizzata su un canale morto›› di Gibson o anche il suo ‹‹cielo sopra Burbank, [..] completamento vacuo, come uno schizzo di vernice blu presentato all’imprenditore dell’universo››
Un cristallo blu che si rifarebbe architettonicamente ad un’indiscernibilità tra il suo sotto-passato e il suo sopra venuto alla luce. La mappa di un territorio come questo, ‹‹sospesa tra un abisso di significati nascosti ed un cicaleccio di segni››, sarebbe quella che Vidler chiama ‹‹trasparenza sepolta››, un’architettura delle superfici da cui traspaiono rifrangendosi in uno specchio polveroso, le regole strutturali di ‹‹un’esistenza sotterranea››, in cui ciò che si attualizza nella casa in un momento è virtuale secondo l’esistenza proiettata contemporaneamente nello specchio.
In questa quiete degli abissi marini evocata dall’opera di Cicia, questi luoghi privati di località ricordano le architetture sepolte dei Passagenwek di Benjamin, ‹‹architetture dove si vive ancora una volta come in un sogno la vita dei nostri genitori e dei nostri nonni, come l’embrione nell’utero ripete la filogenesi. L’esistenza scorre in questi luoghi senza particolari accenti, come negli episodi dei sogni. La pigrizia dà il suo ritmo alla sonnolenza. La sonnolenza è il ritmo che scandendo territorializza.››
«Canto il corpo elettrico / le schiere di quelli che amo mi abbracciano e io li abbraccio / non mi lasceranno sinché non andrà con loro, non risponderà loro / e li purificherà, li caricherà in pieno con il carico dell’anima».( Walt Whitman, Io canto il corpo elettrico)
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