Data / Ora
Date(s) - 01/12/2023 - 24/02/2024
6:30 pm - 9:00 pm
Luogo
Spazio Field di Palazzo Brancaccio
Categorie
SPAZIO FIELD Venerdì 1° dicembre 2023 alle ore 18.30, Via Merulana 248, apre le porte del piano nobile di Palazzo Brancaccio per presentare due progetti artistici distinti, che dialogano nelle sale del prestigioso museo attraverso la creazione di opere sovradimensionali, stilisticamente distanti ma unite da una forte attenzione alla materia, sfidando i limiti della possibilità creativa e spingendo l’immaginazione del visitatore verso nuovi orizzonti.
La mostra sarà aperta al pubblico dal 2 dicembre 2023 al 23 febbraio 2024, dal martedì al sabato dalle ore 17.00 alle ore 23.00 e dal martedì al venerdì in orari diurni su appuntamento scrivendo a info@spaziofield.com.
GLI OCCHI DELLA TERRA
Opere di Franco Farina
Mostra curata da Craving Art di Alessia Dei
L’artista ostunense che, con un’immaginazione straordinaria, assembla lamiere, vecchi oggetti e altri scarti destinati alle discariche e agli inceneritori, conferendo una nuova vita a questi materiali abbandonati. Dalle pareti della grande sala si affacciano 18 opere che raffigurano personaggi comuni e santi, i cui grandi occhi sono rivolti verso la scena centrale, dove due sculture a grandezza naturale, realizzate con gli scarti delle attività frenetiche dell’uomo, sono in dialogo tra di loro.
Al centro di questa piazza immaginaria ci sono, Francesco, il santo del Cantico delle Creature, che guardava alla terra come alla madre che nutre e che si prende cura degli uomini, e, di fronte a lui, Persefone, la Dea del sottosuolo, visibilmente furente, che vorrebbe salvare il mondo dalla distruzione che l’uomo sta attuando. Entrambi hanno le braccia aperte, Francesco per esprimere compassione, invitandoci alla custodia amorevole della nostra casa comune. Persefone, invece, con le sue mani artigliate, sprigiona una furia disperata, un grido di aiuto, un richiamo alla responsabilità. Assistono alla scena anche la Donna blu, dalla finestra del suo chiosco, i Coniugi dal loro letto, le Braccia di mare, mentre annaspano, lottando per sopravvivere, la Ragazza e la Watussa, altissime, e così la schiera dei Santi. I loro grandi occhi spalancati sono gli stessi che dal fondo della sala scrutano gli astanti, in richiesta muta di aiuto e di partecipazione. Sono gli occhi della terra stessa. Questa mostra è un atto di contestazione, un grido di protesta in faccia all’indifferenza che affligge il nostro mondo. Ma è principalmente una mostra di speranza, un invito a vedere, comprendere e agire. E, allo stesso tempo è un riflesso della nostra responsabilità verso la Madre Terra, al fine di proteggere e valorizzare ogni sfumatura della vita che condividiamo con essa.
DORMIENTI
Opere di Andrea Capanna
Mostra curata da Marco Dionisi Carducci
“Rielaborare la realtà attraverso la pittura. Riesumare volti e paesaggi osservati in un passato non troppo remoto tramite una tecnica sperimentale che si contraddistingue dalla tradizionale pratica pittorica. Elaborazione che nasce dalla volontà di far emergere nel presente memorie stratificate nel tempo. Ricordi e rappresentazioni che riaffiorano grazie ad un’espressione artistica ove pittura e scultura si fondono col fine di dar luogo ad un qualcosa di inconsueto, di inaspettato. Se la tecnica pittorica tradizionale è un “mettere” materia (strati di pennellate) sulla tela, Andrea Capanna sottrae, scarnifica lo strato d’intonaco dando luogo ad un processo invertito che richiama in parte l’arte scultorea ed in parte la Street Art.” dal testo critico di Maila Buglioni
Andrea Capanna segue la sua ispirazione naturale, spontanea, che da irrazionale si fa via via ragionata attraverso un’intensa fase di documentazione. Sceglie e viene scelto da un tema, su cui poi costruisce il proprio sapere e, di conseguenza, la propria arte. Immobili, in uno stato di calma soltanto apparente, i Dormienti hanno fornito all’artista non soltanto la suggestione iniziale, ma una narrazione su cui è riuscito a concepire una serie di lavori in un perfetto processo di osmosi tra espressione e materia, tra cosa si vuole trasmettere e come lo si intende fare. È questo il cardine della sua ultima produzione, per la prima volta fuori dalla sua bottega e proposta al pubblico.
I suoi lavori riportano all’interno di un’armatura lignea i processi dell’intonaco. È qui che in un primo momento conserva, quasi imprigiona la memoria. È poi il processo di sottrazione, mediante la lacerazione della materia, a eliminare gli strati superficiali, scoprendone il passato. Questa rappresentazione del muro e del suo tempo non è soltanto intima metafora umana, ma anche necessità di scoperta in termini più ampi: da un muro scrostato può emergere il nostro passato artistico, come il recupero di un affresco che nel tempo abbiamo cercato di nascondere sovrapponendo materia. Attraverso il processo tecnico della scarnificazione della materia, la figura viene immortalata nella sua staticità, ma con la necessità di riaffiorare dagli elementi che la imprigionano. La tecnica è perfettamente coerente con il concetto: gli strati policromi sono la memoria di ognuno, la storia da riscoprire, la conoscenza. È il monito dell’artista, in contrasto con la passività intellettuale dell’uomo contemporaneo: destarsi, documentarsi, approfondire, non restare in superficie. Non essere superficiali. La produzione di Capanna nasce dal disegno della forma e denota l’ottima estrazione di pittore figurativo cresciuto nell’Accademia. Un’impronta classica che ha permesso negli anni di controllare la sperimentazione, allontanandosi dall’immediatezza dell’immagine e sviluppando nel tempo un linguaggio proprio. Questo primo studio, esposto nella seconda sezione della mostra, lo ha portato all’unione tra pittura e fotografia. Una rivisitazione dello smudge painting, la fotografia digitale sviluppata in camera oscura e applicata sullo strato parietale.
Attraverso la lastra fotografica, l’artista ha raggiunto una puntuale rappresentazione della forma.
Anche qui la figura, ferma e delimitata, stratificata nell’intonaco, prende vita attraverso le pennellate che plasmano i lavori, in un prefetto processo di sintesi tra presente e memoria.
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