Data / Ora
Date(s) - 08/06/2022 - 18/06/2022
3:00 pm - 7:00 pm
Luogo
Galleria Vittoria
Categorie
Galleria Vittoria presenta mercoledì 08 Giugno Renata Solimini con la mostra dal titolo Energon, a cura di Tiziano M. Todi e visitabile fino al 18 giugno 2022.
Il titolo della mostra “Energon” dal greco energheia che significa forza, vigore, vuole valorizzare la scrittura asemica (asemic writing) che spesso permea le opere di Renata Solimini, in una narrazione che non si interrompe mai, quasi come delle formule che evocano un valore estetico ricco di energia e che tuttavia comunicano messaggi.
Solimini vuole sottolineare come l’arte, con il proprio linguaggio artistico, scaturisca da una improvvisa attivazione di sinapsi neuronali, una scintilla che genera l’intuizione, fonte di idee, esperimenti e creazioni artistiche. Un processo solo apparentemente razionale ma che ha in sé qualcosa di magico e misterioso non sempre spiegabile. Rappresentate e realizzate con tecniche miste quali acrilico, olio, collage, inchiostro e talvolta argilla.La più recente sperimentazione con l’argilla, una maschera apotropaica propedeutica a favorire un ritorno di tempi più sereni, idealmente basati sulla cultura e il rispetto degli individui e della natura. Le opere di Renata Solimini sono un intreccio di donne, creature magiche e sciamaniche, situazioni fiabesche e del mondo della moda.
La mostra è frutto della ricerca artistica che l’artista ha condotto negli ultimi 2 anni, gli stessi caratterizzati dalla pandemia da Covid-19: alcune opere, infatti, richiamano quel periodo complesso non ancora definitivamente chiuso, che attraverso le opere esposte diventa racconto di vita.
Scrive di Renata Solimini, Arianna Agudo:
Disegna le stelle, con le stelle e nelle stelle Renata Solimini: costruisce-inventa-sogna universi pulsanti, cinetici e vorticosi dove vengono accostati spazi e tempi diversi, come dei pluriversi in cui le cose esistono, coesistono e accadono simultaneamente. Una cosmografia di-segni la cui forza sembra trasferirsi direttamente dal cosmo alla mano dell’artista, in quel ductus (o tratto) che, come scrive Roland Barthes nel saggio dedicato a Cy Twombly, «rinvia sempre a una forza, a una direzione: è un energon, un lavoro, che invita a leggere la traccia della sua pulsione», del suo desiderio. Ed è un desiderio paradossale quello di Renata Solimini, un desiderio che nega il suo stesso etimo (laddove de-sidera significa letteralmente “assenza-mancanza di stelle”) e, anzi, lo inverte, lo sovverte, lo rivoluziona sovrapponendo così il duplice significato di quest’ultimo termine che, come ci ricorda Hannah Arendt nel celebre saggio del 1963 – Sulla rivoluzione– solo nell’epoca moderna ha assunto il significato di “movimento sovversivo”, ma nella significazione primigenia indicava invece il moto circolare, perpetuo degli astri.
I pluriversi di Renata Solimini sono abitati da costellazioni di segni di diversa gradazione o densità semantica: accanto ai simboli iper-codificati e iper-riconoscibili e la presenza della scrittura alfabetica, le opere sono costantemente attraversate dalla cosiddetta scrittura asemica. Quest’ultima, che da sempre ha esercitato sulla sottoscritta un enorme fascino dato dalla convergenza di letteratura, arte e musica (manganellianamente intesa come linguaggio libero dal “fardello del significato”), e che nella tradizione artistica occidentale conta su antecedenti illustri quali il surrealista Andrè Masson (la cui semigrafia interseca la tecnica della cosiddetta scrittura “automatica” alle suggestioni provenienti dal calligrafismo orientale), fino al grafismo “allusivo” di Cy Twombly dove, come scrive ancora Roland Barthes, il gesto incarna (ossia si fa letteralmente “corpo”) «la somma indeterminata e inesauribile delle ragioni, delle pulsioni, delle inoperosità che circondano l’atto di un’atmosfera (nella sua accezione astronomica)». Tutti assunti che potrebbe essere ascritti anche all’elaborazione asemica di Solimini e la sua creazione di “spazi” inter-testuali, dove convivono, uno a fianco all’altro, diverse tipologie di testo che ci consentono di «viaggiare uno spazio culturale che è aperto, senza limiti, senza compartimenti»– come scrive il semiologo francese a proposito del succitato Masson– precipitandoci in un “territorio magico” in cui ogni segno (o Lettera, secondo Barthes), «è il punto di inizio di una imagerie vasta come una cosmografia».
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