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Hidetoshi Nagasawa (1969-2018) alla Casa degli Art...

Hidetoshi Nagasawa (1969-2018) alla Casa degli Artisti

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Data / Ora
Date(s) - 08/05/2024
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Hidetoshi Nagasawa (1969-2018) alla Casa degli Artisti.

La Casa degli Artisti è impegnata a promuovere progetti di approfondimento dell’opera di artisti che hanno rappresentato con il loro lavoro un momento significativo della storia della Casa, ai quali intitolare gli atelier che oggi ospitano nuove generazioni di artisti. L’intitolazione a Nagasawa di quello che fu il suo studio coincide con l’importante retrospettiva a cura di Giorgio Verzotti che BUILDING dedica all’artista giapponese e, grazie alla collaborazione con Casa degli Artisti, trova ospitalità anche qui, nell’atelier al primo piano la terza sede della mostra oltre a quella alla Galleria Moshe Tabibnia, proponendo una piccola raccolta di opere che intendono restituire la dimensione più progettuale del lavoro quotidiano dell’artista. L’8 maggio insieme ad una rappresentanza della Casa degli Artisti, erano presenti alla cerimonia di intitolazione dell’atelier Tommaso Sacchi, Assessore alla Cultura de Comune di Milano e Alessia del Corona Borgia, Vicepresidente e Assessora alla Cultura diffusa del Municipio 1. Tra i lavori presenti in mostra, un’importate scultura, Compasso di Archimede (1991), ben illustra la poetica di Nagasawa, tesa allo svelamento di rapporti di tensione ed equilibrio nel corpo stesso della scultura. A quest’opera si aggiunge una selezione di disegni, maquettes e calchi preparatori – come quelli per Albero (1983), che è diventato un monumento realizzato in Giappone, col drappo che avvolge l’albero, Lampo (1989) e Casa del Poeta (1999) , che rendono l’idea del processo ideativo e creativo dell’artista e che per la maggior parte sono presentati al pubblico per la prima volta. Disegni mai esposti prima, come i disegni preparatori della Libellula ma anche di Nastro, un disegno quasi tecnico della scultura Archimede, i bozzetti come quello di Barca.

Dal 1978, dando nuovo slancio all’attività della Casa, Hidetoshi Nagasawa, Luciano Fabro, Jole De Sanna ed altri artisti, come Paola Brusati e Giuseppe Spagnulo, occuparono la palazzina – a quel tempo abbandonata – e la restituirono all’originaria funzione di centro cittadino di promozione dell’arte contemporanea, così come l’avevano concepita nel 1909 i Fratelli Bogani. Con questo obiettivo, nel corso degli anni si sono susseguite mostre di giovani artisti di fama internazionale, così come momenti di dibattito di teoria dell’arte, che hanno reso la Casa degli Artisti un punto di riferimento irrinunciabile sulla scena artistica dell’epoca – basti pensare all’importante iniziativa di restauro dei Bagni Misteriosi di Giorgio De Chirico (1994), oggi visibili nel giardino del Palazzo della Triennale di Milano.

La mostra presso Casa degli Artisti si inserisce così nel più ampio progetto espositivo Hidetoshi Nagasawa 1969-2018 promosso da BUILDING, dove una selezione di 33 opere, documenta in sintesi l’intero arco dell’attività dell’artista: dai video che testimoniano le sue performances degli inizi (per certi versi affini alle operazioni delle coeve Land e Body Art), passando per le prime sculture, dove il gesto è sempre implicato come prima matrice, fino ad approdare alle sculture di grandi dimensioni spesso giocate su equilibri arditi – che sono state la cifra più tipica di Nagasawa. Hidetoshi Nagasawa (1940-2018), giapponese di origine benché nato in Manciuria (Repubblica Popolare Cinese) ma italiano d’adozione, visse nel nostro Paese per più di cinquant’anni, arrivando a Milano nel 1967. Entrò in contatto con artisti quali Enrico Castellani, Antonio Trotta, Mario Nigro e soprattutto Luciano Fabro, con cui fondò a Milano la Casa degli Artisti.

In quei primi anni partecipò alle ricerche più radicali dell’epoca, per poi dedicarsi al linguaggio specificamente scultoreo, ma sempre con un intento innovativo. Il maggior contributo di Nagasawa ai linguaggi dell’arte occidentale è stato il tentativo di fusione fra la nostra cultura e quella orientale, tentativo assolutamente riuscito e produttivo di opere di grande valore formale.

Le opere presentate da BUILDING sono state concepite e realizzate dall’artista in base al principio del “Ma”, un concetto che appartiene alla filosofia Zen e che si può identificare col nostro concetto di intervallo o di vuoto – un vuoto non inerte, bensì generativo di energia e di forma. È il caso di Colonna (1972), opera in marmo sviluppata a pavimento e costituita da segmenti di colore diverso, provenienti da luoghi diversi, inframmezzati da minimi ma visibili spazi vuoti. “In quel piccolo spazio” – ha scritto l’artista – “si chiude la distanza dei loro viaggi e la loro storia”. Proprio in relazione al tema del viaggio, centrale nella poetica e nella vicenda biografica di Nagasawa – basti pensare che l’artista è arrivato nel nostro paese dal Giappone in bicicletta –, in BUILDING è proposta l’opera Barca (1980-1981), marmo, terra, albero), composta da una base monolitica in marmo bianco che accoglie al suo interno una pianta. L’opera affonda le sue radici nella tradizione shintoista secondo cui ogni elemento naturale, dalle pietre alle piante, possiede una dimensione sacra ed è tramite di preghiera agli dei. Inoltre, l’esposizione comprende anche una scelta fra i numerosi lavori su carta dell’artista e due sculture inedite in marmo, esposte al pubblico per la prima volta in assoluto: Cubo e Nastro, entrambe datate 2012. Attraverso questa selezione di opere, l’esposizione intende sottolineare in particolare due caratteristiche distintive di Nagasawa: la sua attenzione verso i rapporti fra l’opera e l’architettura e la sua visione quasi utopistica di una scultura apparentemente priva di peso, al punto da stare sospesa nello spazio e sembrare leggera anche quando raggiunge dimensioni monumentali.

Infine, Galleria Moshe Tabibnia, dal 4 aprile al 25 maggio 2024, ospita l’opera Barca (1983-1985, ottone e carta), costituita da un sottile tubo di ottone rivestito di carta giapponese che, in accordo con il luogo che di volta in volta la accoglie, sfrutta nuove dimensioni spaziali, salendo sui muri, sui soffitti o adagiandosi al suolo. Il profilo dell’imbarcazione, con una linea bianca e sottile, rivela una struttura immateriale e aperta che naviga con leggerezza nello spazio. La barca diventa così una metafora del viaggio vissuto e sognato, mitico e spirituale; così come nel mondo tessile, per le culture antiche e nell’immaginario, il tappeto diventa per eccellenza un veicolo in grado di trasportare in un’atmosfera sacra che esprime elevazione, purezza e unicità. L’opera trova dunque la sua naturale collocazione nella Sala Brera al piano terra di Galleria Moshe Tabibnia, dedicata allo straordinario allestimento di cinque tappeti Ushak a piccolo medaglione del XVI secolo, noti come “Tintoretto”, che deposti a terra per ospitare il fedele in preghiera, fungono da raccordo figurativo tra mondo sensibile e sovrasensibile.


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