Data / Ora
Date(s) - 16/02/2021 - 22/02/2021
5:00 pm - 8:00 pm
Luogo
il laboratorio
Categorie
Katarzyna Bak, in occasione della mostra che inaugura il 16 febbraio presso la galleria “Il Laboratorio”, presenta il suo nuovo progetto, una serie di opere che l’artista ha realizzato riflettendo sul concetto di “Identità”.
Tematica complessa, la questione identitaria è da sempre al centro di affascinanti ragionamenti di natura sociologica, artistica, letteraria, filosofica, etnologica, psicologica, che nei secoli hanno tentato di rispondere alla più dirompente quanto enigmatica delle domande: “chi sei tu?”.
La questione identitaria porta con sé il seme del suo contrario (cosa non sei?), dei limiti che fissiamo nella nostra mente e nella nostra quotidianità nel tentativo di definirci e renderci in qualche modo riconoscibili, e della sua messa in discussione, perché quasi mai l’immagine che abbiamo di noi stessi corrisponde con quella che gli altri hanno di noi.
A rendere ancor più complesso l’argomento è la varietà dei modi in cui si declina l’identità: accanto a un’identità individuale (chi sono io) è sempre presente un’identità collettiva, che riguarda i ruoli in cui, di volta in volta, a seconda del contesto, ci identifichiamo (identità di genere, anagrafica, politica, lavorativa, etnica, sociale) e in quale dei tanti possibili territori identitari veniamo collocati e, quindi, identificati, da chi ci guarda.
Siamo così i “Centomila” pirandelliani, o gli uomini-matrioska di cui parla Maurice Merleau-Ponty nel suo saggio del 1948 Senso e non senso: “se si potesse aprirne uno, vi si troverebbero tutti gli altri come nelle bambole russe, o piuttosto non così ben ordinati, in uno stato di indivisione”.
Katarzyna Bak si confronta con il tema riportando nelle sue opere il continuo tentativo, e quindi il perenne mutamento, di definizione dell’essere umano. L’artista riprende i concetti di “riprogrammazione” e di Tabula Rasa – le tavolette di cera che nell’antica Roma potevano essere cancellate dalle scritte precedenti, per potervi scrivere nuovamente- come metafora dei cambiamenti interiori e delle possibilità che ciascuno di noi possiede di riscrivere il proprio destino, la propria storia personale e identitaria.
Questa metafora appare evidente nelle opere presenti in mostra. Nella serie dal titolo “Verbo”, sullo spazio bianco della tela, l’artista traccia delle scritte in varie lingue di colore nero: lo spazio vuoto inizia ad accogliere qualcosa che lo definisce, lo riempie e lo contraddistingue.
I segni neri in alcune parti della tela appaiono più fermi e nitidi, mentre in altri il colore bianco tende a opacizzarli, come fossero sul punto di svanire, per poterne accogliere degli altri. I tratti tuttavia restano visibili, come delle correzioni di percorso che “segnano” la nostra identità e ci permettono di ricordarli, come degli errori da cui possiamo imparare, senza azzerarli.
Analogamente le opere in cui sono riconoscibili delle sagome di figure umane, realizzate su carta con tecnica mista, alludono a un mutamento interiore che progressivamente prende forma all’esterno, e si manifesta tramite tre colori, giallo, blu e nero, da cui deriva una forma ancora non definita. I colori che accomunano le sagome evocano quello che secondo i greci è il Daimon individuale, la nostra anima pura, la vocazione che ciascuno di noi porta con sé sin dalla nascita e che nel corso della vita, durante la nostra definizione, a seconda della fedeltà che stiamo dimostrando nei confronti del nostro disegno personale, si manifesta ai nostri occhi sotto forma di casualità, imprevisti, colpi di fortuna o cambi di rotta.
Sono appunto i “sentieri interrotti”, traumi ed “errori di codici” interiori, che l’artista indaga nella serie di opere dal titolo “Interruzione”, anche queste realizzate su carta con tecnica mista. Al centro dello spazio, in ciascuna opera, è presente una prima traccia di colore blu, la cui purezza è però contaminata da altri segni che si sovrappongono in un secondo momento: alcuni sembrano integrarsi armoniosamente con lo sfondo, altri invece appaiono discontinui, discordanti, eccessivi: sta a noi, ancora una volta, tentare di decifrare e dare un senso ai segni che tracciamo affinché la trama trovi, come i toni alti e bassi che compongono una melodia, il suo peculiare equilibrio.
- Testo critico di Giorgia Fileni
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