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Date(s) - 23/04/2022 - 25/09/2022
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CHIESA SAN SAMUELE
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JULIEN FRIEDLER. È FINITA LA COMMEDIA
23.04.2022 – 25.09.2022
CHIESA SAN SAMUELE
Campo San Samuele, 30124 Venezia (VE)
In contemporanea della 59. Esposizione Internazionale d’Arte Biennale di Venezia
Curatrice: Dominique Stella.
Produzione e organizzazione: Carlo Silvestrin, CD Studio d’Arte.
Orari: ore 10.00 – 18.00 (martedì – domenica). Ingresso libero.
Chiuso: lunedì.
Julien Friedler, da sempre curioso esploratore delle infinite sfaccettature e profondità dell’animo umano, in È finita la commedia indaga tre diverse esperienze fondamentali della vita: il Dolore, la Malinconia e la Speranza.
L’artista dedica a ciascun tema una specifica installazione, sviluppando una meditazione spirituale che si dipana all’interno degli spazi offerti dalla pianta basilicale della Chiesa di San Samuele a Venezia.
Nella navata laterale destra Friedler mette in scena il mistero del dolore umano con Les Innocents (2000), una delle sue installazioni più note; la navata laterale sinistra è occupata, invece, da un lavoro molto recente, Les Pierrots (2019), dove spicca una moltitudine di maschere dall’espressione corrucciata e malinconica; nella navata centrale trovano spazio, infine, le colonne che compongono La Forêt des Âmes (2009), installazione itinerante che invita alla speranza nel porre ai quattro angoli del globo domande universali.
Non è un caso, dunque, che questo progetto sia presentato proprio nel contesto della Chiesa di San Samuele. La chiesa è luogo di meditazione, preghiera, d’incontro, di celebrazione e di mistero, è anche luogo di ricerca interiore, che ci conduce sulla via di interrogazioni spirituali. L’intento dell’artista è offrire spunti di riflessione universali, invitandoci a scoprire noi stessi, e anche a prendere coscienza dell’altro.
Non vi è alcuna leggerezza in queste opere di Friedler, il titolo della mostra lo indica: È finita la commedia. Il fulcro del suo lavoro, come sottolinea l’artista, resta per sempre «la vita interiore e il suo rapporto con un’espressione del sacro; il suo rapporto con l’enigmatico Creatore dai molteplici volti, sorge sin dall’alba dei tempi, e il suo pensiero nell’uomo resta onnipresente, malgrado i cambiamenti di forma».
Dolore, malinconia, speranza. Ognuna delle tre tematiche è complementare alle altre, e l’insieme delle opere, arricchite da alcune tele e fotografie, propone un tempo di sospensione meditativa sul senso della vita, della morte e di una possibile redenzione.
Innanzitutto la violenza, messa in scena nell’installazione Les Innocents, che illustra il dolore dell’innocenza violata, ma anche la reclusione, l’isolamento e la ribellione. L’installazione ricorda la dignità incomparabile di ogni bambino, mentre ogni giorno si rinnova il massacro degli Innocenti. La loro sofferenza colpisce la nostra coscienza insensibile, se non anestetizzata. Non si tratta di compiangerli ma di rimettersi in causa con un atteggiamento di conversione di mentalità e di impegno. L’artista suggerisce la lacerazione, la tortura, la fragilità, la morte, sotto una forma simbolica di un’intensità sconfortante, che malgrado la sua radicalità vuole essere fonte di sollievo e di vita. L’installazione coniuga memoria individuale (quella dell’artista e dei suoi ricordi d’infanzia) e memoria collettiva, invitando a una riflessione approfondita sulla nostra cultura, le sue illusioni, i suoi disincanti ma anche la possibilità di sopravvivenza.
La Malinconia de Le Pierrots risponde all’innocenza dell’infanzia. Figura ingenua e sognante, Friedler la evoca sotto l’aspetto triste e nostalgico del Pierrot di Verlaine:
Non è più il sognatore lunare della vecchia aria
che rideva agli avi da sopra gli stipiti:
la sua allegria, come la sua candela, ahimè! è morta,
e oggi il suo spettro ci ossessiona, sottile e chiaro.
Il poeta e l’artista fanno entrambi rivivere il personaggio, un tempo allegro e stravagante, sotto una forma spettrale. Questa figura della commedia, con il suo costume tradizionale, il suo viso lunare che ci incantava, grandi e piccini, ha ormai un triste aspetto. Friedler ci offre l’immagine di un essere scarno, un redivivo che si è disumanizzato sotto forma di uno scheletro robotizzato. A questo corpo senza vita, non resta che un piccolo barlume triste e disincantato negli occhi, che esprime come un rimpianto dei tempi passati, un sogno di felicità perduto. Questa evocazione agghiacciante della nostra epoca suggerisce la mutazione che si opera nella nostra società, influenzando la nostra visione del mondo e del nostro corpo, che l’artista illustra attraverso l’erranza di queste anime incorporee, vaganti ai margini del regno di Ade, come ombre in cerca della salvezza. Sono una moltitudine, tutte simili, una riduzione dell’umano allo stato di massa controllata e intorpidita. Queste sculture ci rimandano all’opera Efficiency Men di Thomas Schütte.
La Forêt des Âmes è un’opera ascensionale che evoca l’elevazione dello spirito. L’artista vi trasmette un messaggio di speranza e di rinnovamento. Evocazione di anime luminose che non incarna il Divino, ma una Coscienza energetica positiva che invita ognuno di noi a un momento di raccoglimento e di riflessione, quest’opera contribuisce a trasmettere ciò che l’artista chiama «Un supplemento d’anima», un momento di condivisione e di oblio di sé, per unirsi a un processo collettivo. Friedler definisce questa installazione «di ispirazione cristiana», poiché essa veicola i principi di «universalità, egualitarismo e attenzione al prossimo». Il suo obiettivo è di andare al di là dei dati materiali e visivi per trarne le connessioni più sottili e invisibili, raggiungendo così un’interrogazione di natura psichica, filosofica e anche religiosa.
Nota critica di Dominique Stella sul lavoro dell’artista
Julien Friedler (Bruxelles,1950) è una figura singolare nel panorama dell’arte contemporanea. Il passato letterario, la formazione come psicanalista – è stato fervente allievo di Lacan – l’amore per la filosofia e la scrittura di diverse opere erudite, nonché il suo gusto per i viaggi e per l’incontro con realtà diverse e spesso lontane hanno edificato la base di un pensiero labirintico che vede nelle arti visive un’emblematica ipotesi realizzativa. Da sempre Julien Friedler interroga l’anima e ne scruta i meandri per tentare di comprendere i meccanismi del pensiero, di percepire gli stati di coscienza e di vigilanza, cercando di decifrare l’impenetrabile enigma della vita.
Dipinti, sculture, installazioni sono i portavoce di un immaginario ricolmo, e costituiscono i segni visibili di una verità mitica che l’artista sviluppa attraverso tematiche dal taglio molto personale.
L’artista belga si fa portatore di una visione umanista, delineata tramite le opere ma anche con un’attività di condivisione che porta avanti attraverso Spirit of Boz, associazione nata per instaurare – praticando l’espressione orale, letteraria, pittorica e creativa in generale – scambi e legami, costituendo così una comunità di pensieri e testimonianze su realtà individuali e collettive, provenienti da svariati luoghi del mondo. Tale realtà esprime l’urgenza di riconciliare azione e contemplazione, nell’intento di promuovere un pensiero umanista e catartico. Il suo universo, in evoluzione permanente, comporta sfaccettature contrapposte, le une d’ispirazione collettiva, le altre di meditazione individuale. È a quest’ultimo aspetto che appartengono la produzione pittorica e le installazioni. L’arte di Friedler mette in moto sensazioni, relazioni, analisi, ed è concepita come azione inclusiva di tutte le espressioni vitali, derivino esse dalla propria esperienza o da quella altrui. La sua azione, di conseguenza, riveste molteplici aspetti e abbraccia vari campi, dalla letteratura alla filosofia, dall’analisi sociologica alle arti plastiche (pittura, scultura). Il suo linguaggio comporta una produzione pittorica generata dalla necessità creatrice, dal desiderio di trasmissione spontanea e viscerale, derivante dal «tentativo di scoprire ciò che costituisce l’essenza passionale delle persone». Friedler procede secondo modalità quasi ipnotiche, senza vincolo di soggetti, di materiali messi in opera, definendo così un ritmo, un modo d’espressione informale. La sua energia in espansione deriva dalla capacità di dissociazione e introspezione che applica a se stesso prima di interessarsi agli altri, scoprendo nell’altro le motivazioni più intime. Un viaggio per esplorare l’animo umano nella sua complessità atavica e universale.
Friedler scrive: «A cosa mirano i nostri dipinti, le nostre sculture e le nostre installazioni? Se non a quello: una combinazione di opposti, una scrittura paradossale, un inserimento dei flussi che attraversano Spirit of Boz. Qui, come per Be Boz o Livre du Boz, l’universo si espanderà fino a raggiungere un punto di interruzione: una pura sincronia, nascosta sotto la massa delle creazioni, in cui si confondono tutti i mezzi. Perché, fondamentalmente, ogni opera disgiunta, separata, visibile da tutti e da ciascuno, non sarà che un dettaglio, un’immagine, la manifestazione isolata di un fenomeno globale: un solo e unico quadro, visto da diverse angolazioni. Un quadro in grado di ricomporsi nella mente di tutti coloro che vi si dedicheranno. Non vi è differenza di natura tra il microcosmo soggettivo e il macrocosmo universale.»
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