Data / Ora
Date(s) - 25/01/2019 - 23/03/2019
6:00 pm - 8:00 pm
Luogo
Galleria Eduardo Secci
Categorie
TRAVELER 1. MICHELE GABRIELE
“The Missing Link. On every point of a sphere”
a cura di Luca Pozzi (SWAN STATION)
Date| 25 Gennaio – 23 Marzo
Opening| 25 Gennaio ore 18:00
Orari mostra | Lunedì – Sabato / 10:00 – 13:30 & 14:30 – 19:00
La Galleria Eduardo Secci Project è lieta di inaugurare la direzione artistica di Luca Pozzi e della sua piattaforma itinerante SWAN STATION, con la mostra personale di Michele Gabriele dal titolo “The Missing Link. On every point of a sphere”.
Michele Gabriele lavora nel tempo, con il tempo e per il tempo. La sua è una rivoluzione prospettica legata ad una anomala consequenzialità degli eventi, diversa dalla visione darwiniana che ci insegnano a scuola. Osservando il suo lavoro l’evoluzione non sembra procedere linearmente attraverso apprendimento e selezione naturale, il tempo non appare scandito da passato presente e futuro, ma esiste come sospeso in una sfera dove i riferimenti spaziali di alto e basso, destra e sinistra, svaniscono insieme a quelli di prima e dopo. Il titolo del progetto è allusivo infatti della caratteristica dominante della serie stessa: opere che a posteriori diventano la chiave per comprendere il cambiamento nella ricerca di un artista e dove l’intuizione iniziale spesso coincide con l’opera finale e viceversa. Opere che, appunto, ‘collegano’, che attraversano la sfera del tempo in modi del tutto sorprendenti. Penso per esempio all’ever green movie “The Planet of Apes”, dove un primate spedito nello spazio dal genere umano, influenzato dalla distorsione gravitazionale di un pantagruelico buco nero, viaggia in un futuro che assomiglia a un passato modificando un presente che non è mai esistito. Anche nel caso di “The Missing Link” l’anello mancante che accomuna le opere di questa serie è proprio la presenza di teste di uomini-scimmia. Formalmente ispirate allo stereotipo dell’estetica del reperto archeologico museale, le sculture sono realizzate utilizzando materiali che, pur mostrandosi per quello che sono, riescono a conservare una certa ambiguità temporale, alludendo sottilmente ai processi fantascientifici d’ibernazione criogenica e alle spedizioni di colonizzazione interplanetaria. Elementi che razionalmente non hanno scopo ingegneristico, ma che ricordandoci una tecnologia o una macchina, portano inesorabilmente lo spettatore ad assumere un atteggiamento di attesa. Come se il futuro fosse un materiale riconoscibile, già presente o addirittura passato e noi spettatori fossimo pronti a meravigliarci delle infinite possibilità che ci si apriranno prestodavanti. L’immaginario di Michele è dominato da una magmaticità primitiva, generi alimentari di prima sopravvivenza e materiali plastici, premonitori di un immaginario apocalittico prodotto dell’antropocene e dal global warming. Penso al racconto “l’immortale” di Jorge Luis Borges, uno dei massimi geni dell’anacronismo e dell’iper-connettività in letteratura, dove si narra di un uomo che dall’antica Tebe, seguendo il fiume segreto che purifica dalla morte, giunge nella città degli immortali e scopre alti palazzi, labirinti simmetrici e scale assurde di Escheriana memoria: “ Questa città (dice) è così orribile che il suo solo esistere e perdurare, sia pure al centro di un deserto segreto, contamina il passato e il futuro e in qualche modo coinvolge gli astri”. Il viaggiatore lascia la città sconvoltoe incontra una tribù di trogloditi, degli uomini-scimmia allo stato brado che passano le giornate rotolandosi nel fango. Familiarizza con uno di loro e lo soprannomina Argo. Lo osserva, tenta di insegnargli i rudimenti della parola: “Ma ogni sforzo fallì…immobile, lo sguardo inerte, sembrava non percepire i suoni che tentavo d’inculcargli”, finchè un giorno, sotto una pioggia scrosciante, Argo è in estasi e con la testa rivolta verso il cielo inizia a piangere…si volta verso l’uomo ed esclama in greco antico: “Argo, cane di Ulisse…Questo cane gettato nello sterco…Saranno passati mille e cento anni da quando io Omero inventai il linguaggio”. Lo sguardo degli uomini-scimmia di Michele è quello di Omero che, consapevole della grandezza dell’universo regredisce a troglodita per diventare immortale.
Questa la qualità dominante del progetto “The Missing Link. On every point of a sphere”,la sua capacità di spostarsi avanti ed indietro nel tempo, congelandosi e riproponendosi, trasformandosi ciclicamente per posizionarsi in qualche modo nella cronologia della produzione dell’artista come uno snodo precipuo: antenate del lavoro attuale, ma contemporaneamente sua possibile evoluzione: la visione di un futuro anteriore, l’antecedenza di una immagine rispetto ad un futuro giàscritto.
“Il pensiero originario che portò alla realizzazione di The Missing Link, fu la forte determinazione di creare un’opera che si ponesse all’interno della mia ricerca come se fosse centrale. Uno snodo. Che fosse un’opera emblematica di un cambiamento, di una trasformazione. Teste di quasi uomo e quasi scimmia. Progettai delle opereche sarebbero dovute stare “in mezzo”, ma lo feci, in un certo senso, troppo presto; all’inizio della mia produzione, quasi in anticipo. Questo paradosso mi ha obbligato a “congelarle” in attesa della situazione e del momento adatti per terminarle. Per alcuni anni ho poi lavorato a ritroso. Tanto da considerare alcune mie opere successive come progenitrici di queste, nella volontà di costruire il terreno adatto a poterle legittimare un giorno. Funzionali ad accogliere The Missing Link. Nel mio lavoro iltempo è un elemento importante, e in questa serie il tentativo fu quello di utilizzarlo come se fosse un materiale.’’ (MicheleGabriele)
Michele Gabriele,nato nel 1983, a Fondi (LT), è artista visivo. Ha conseguito il Master in Arti visive all’Accademia di Belle Arti di Brera a Milano e all’Universitè 8 di Parigi.
Attraverso l’uso della scultura e della sua documentazione fotografica, la sua ricerca esplora la distanza tra l’osservatore e l’opera d’arte. Il suo lavoro è un gioco costante tra rappresentazione e iper-materialismo post-digitale, tempo e ambiente. Dal 2017 con Monia Ben Hamouda fonda il progetto curatoriale Something Must Break.
Le mostre personali includono: Basic Extinct, Silicone Gallery, Bordeaux (2018); Clumsy and Milky: encoding the last quarter of a pose, WhiteNoise Gallery, Roma (2018); It Won’t Only Kill You, It will Hurt the Whole Time You’re Dying, OJ Art Space, Istanbul (2017); The Missing Link, Fondazione Adolfo Pini, Milano (2016); They are standing there, under the weather, totally waterproof or completely wet, Konstanet Kunstihoone Art All, Tallinn (2015);Denise, Tile Project Space, Milano (2015); TUKATUKA Crac Contemporary Art Research Center, Cremona (2014); Ka hi ki, Lucie Fontaine, Milano (2011).
Le mostre collettive includono: Man Thing vs. Swamp Thing, Et.Al Gallery, San Francisco (2018); Bunt, Ginny Projects, London (2017) Biennale of Future Contemporary Arts, FSC, Copenhagen (2017); The Habit of a Foreign Sky, Future Dome, Milano (2016); Body Holes – New Scenario, Berlin Biennale 9th Berlino (2016); Aujourd’hui je dis oui, Galeria da Boavista, Lisbona (2016), ViaFariniDOCVA, Milano (2014) Protocombo, Contemporary art museum, Lissone (2014); La Biblioteca Fantastica, Art museum Man, Nuoro (2013); Le Associazioni Libere, Dena Foundation for Contemporary Art, Parigi (2012); Artissima Lido art fair, Torino (2011); I Sette Arcobaleni, Careof, Milano (2008).
Ha vinto il Salon Primo prize a Milano (2004); il programma di residenza presso la Fondazione Spinola Banna a Torino (2013); l’Oslo10 Residency Program a Basel (2015); il viafarini DOCVA Residency Program al Museo Carlo Zauli (2014), il Workshop del Museo del Novecento di Peep- Hole a Milano, Menabrea Art Prize di Roma (2015, finalista). Il suo lavoro è stato recensito, tra gli altri, in Exibart, Atp Diary, KubaParis, Daily Lazy, arteeCritica, Vogue, Curating The Contemporary, NERO, Moscow Art, i-D, Artribune, That’s Contemporary.
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