Data / Ora
Date(s) - 18/05/2023
6:00 pm - 8:00 pm
Luogo
Ticinese Art Gallery
Categorie
Il progetto “Facoltà plastiche” vuole essere un tributo a due dei massimi movimenti nazionali, ma di rilevanza internazionale, del novecento, l’Arte Povera e la Pittura Analitica, attraverso le ricerche artistiche di Piero Gilardi e Pino Pinelli. La percezione e la risultanza, quale binomio tra l’aspetto plastico, a volte scultoreo, e l’aspetto estetico, interagiscono nelle ricerche del figurativo Gilardi e dell’aniconico Pinelli. Un omaggio a due grandi rappresentanti del percepito, che, grazie alla loro ricerca, sono riusciti a determinare, influenzando e contaminando, svariate successive ricerche artistiche contemporanee. Com’è esemplificato nel titolo della mostra, Piero Gilardi e Pino Pinelli hanno in comune la volontà di andare al di là della superficie bidimensionale, oltrepassando così la tradizionale illusione ottica per ottenere una “irreale realtà”, cercando e trovando così la vera tridimensionalità. Il secolo scorso, fin dagli albori, è stato caratterizzato da radicali mutamenti, non solo materiali, ma anche e soprattutto nel pensare stesso dell’uomo. Ricordiamo i grandi stravolgimenti nella fisica, nella psicologia e nella filosofia che inevitabilmente hanno contaminato molte delle Avanguardie nell’Arte. La pittura, tecnica che fino ad allora si misurava su una superficie piana, bidimensionale, ha potuto finalmente iniziare a servirsi di una nuova concezione di spazio. Attraverso le Avanguardie, l’artista, che nel passato, per superare i limiti della bidimensionalità, aveva inventato la prospettiva, così da avere l’illusione della tridimensionalità, si è rivolto all’illusione, focalizzandosi sul concetto di ricerca basato sulla simultaneità dei piani e sulla superficie, come i Futuristi, i Raggisti e i Cubisti, o sulla matericità aggettante e concettuale, come i Dadaisti.
“… Nella seconda metà del secolo scorso si deve a due artisti italiani la scoperta di ulteriori potenzialità insite nello spazio bidimensionale: sono infatti Fontana e Burri che varcano la superficie, il primo al di là della tela con i buchi e i tagli, il secondo al di qua con l’estroflessione.
Questi due pilastri dell’arte contemporanea, a loro volta, aprono la strada a molti artisti che, proprio a partire dal nuovo concetto di spazialità, possono elaborare le loro poetiche e le loro pratiche originalissime …” ( Oltre la superficie di Giorgio Bonomi ).
Nel 1967, con la prima mostra dedicata all’Arte Povera, presso la galleria La Bertesca di Genova, questo grande movimento si consolida ed inizia a segnare indelebilmente la storia dell’arte. Tra i suoi esponenti troviamo Piero Gilardi, che si confronta con una società in pieno fermento e stravolgimento, utilizzando la sua ricerca artistica quale forma di denuncia silente. Una dimensione artistica che, dal punto di vista semiotico, fornisce una nuova visione in relazione alle caratteristiche dell’arte, quale contenuto relazionale per sondare un terreno basato sulla comunicazione attraverso codici e svariati materiali. Oltrepassata la frontiera dell’utilizzo degli oggetti, si passa finalmente alla sperimentazione dei nuovi materiali d’origine, plasmati ad uso e consumo per l’arte. Da questo contesto nascono i “tappeti-natura”, anticipando le tensioni ecologiche che percorrono la società fin dagli albori dell’era post-industriale e che, coadiuvate da una crescente sovrappopolazione, appartengono oramai alla quotidianità. Questa facoltà plastica, quale simulacro della natura non più reale ma oramai apparente, porta Gilardi all’utilizzo del poliuretano espanso, materiale inorganico derivato dal petrolio, per la rappresentazione degli elementi della natura, immergendo l’astante all’interno di un Museo delle Scienze Naturali come se fosse in una Galleria Archeologica.
Arriviamo a Pino Pinelli. Anche lui ha fortemente sentito e ricercato la lezione di Fontana e, per certi versi, anche da precedenti artisti che operavano già circa dieci anni prima nell’ambito della disseminazione, con una ricerca di frantumazione e dislocazione dell’elemento sulla parete. Dalle prime opere degli anni Settanta in cui si percepisce un’eco minimalista, date le forme geometricamente regolari e il colore monocromo, si passa alle scaglie colorate che assumono forme anche frattali, per quindi ritrovare una certa regolarità volumetrica. Attraverso la ricerca della Pittura Analitica, Pinelli si cimenta in questa individuale analisi della forma, tanto da assumere un aspetto quasi scultoreo e plastico. Nelle sue opere, l’elemento non risulta più contenuto all’interno di uno spazio definito, ma fluttuante, con l’intento di propagarsi e riprodursi, permettendo così alla sua ricerca di impossessarsi dello spazio, non più contenitore, ma vero e proprio mutabile palcoscenico artistico. La matericità, le vibrazioni cromatiche e l’aspetto plastico scultoreo forniscono alla ricerca di Pino Pinelli l’unità di confronto, che, pur non essendo rappresentata in forma figurativa, trova un ulteriore denominatore comune con la ricerca di Piero Gilardi, il tutto tramite volumi che si proiettano verso l’astante.
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