Data / Ora
Date(s) - 11/10/2022 - 11/11/2022
3:30 pm - 7:30 pm
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L’archivio d’artista è un ente culturale impegnato nella promozione della conoscenza e nella protezione della figura professionale di un artista e della sua opera.
La mostra L’opera d’arte come sintomo inaugura l’attività dell’Archivio dell’artista Reale Franco Frangi, aperto nel gennaio scorso a Bergamo.
Durante una conversazione tra l’artista e Paola Silvia Ubiali, responsabile dell’Archivio, è emerso il desiderio di approfondire l’esplorazione di alcuni aspetti del suo iter creativo attraverso una ricognizione selettiva di testimonianze eterogenee – alcune inedite – tra cui opere, fotografie, progetti, modellini in scala, oggetti di design realizzati dagli anni Sessanta agli anni Duemila.
Un’attenzione particolare è riservata allo studio dei tentativi, intrapresi con successo già negli anni Sessanta, di uscire dal perimetro del supporto quadrato o rettangolare del quadro tradizionale e alla Cellula abitabile, un’installazione luminosa di mt 2,10 x 3,50 x 2,80.
Il concetto di corpo-spazio-ambiente anima l’ideazione di questo progetto realizzato nel 1969 che rappresenta uno dei lavori più significativi dell’artista e sembra anticipare gli spazi-ambiente rigorosi, minimalisti, privi di accessori superflui, modulabili all’infinito di Christophe Ouhayoun e Nicolas Ziesel fondatori nel 1999 di Koz Architects con l’obiettivo di sviluppare un’architettura espressiva e allegra, fondata sulla discussione, sulla sperimentazione e sulla “democrazia creativa”, aperta a qualsiasi situazione che spinga ulteriormente le innovazioni sociali e ambientali.
Sottolinea Paola Silvia Ubiali: «Le numerose testimonianze proposte in mostra scandiscono oltre cinquant’anni dell’intensa e poliedrica attività di Frangi e attraversano fasi anche molto distanti della sua produzione, con incursioni nel realismo esistenziale milanese, nell’informale, nella pop art italiana, nell’optical art per terminare con l’arte concreta geometrica e l’adesione al Movimento Internazionale Madi, sostenuta dall’amicizia con il suo fondatore, Carmelo Arden Quin».
Nel 1990 Frangi è tra i creatori del gruppo italiano in seno al Movimento MADI Internazionale nato a Buenos Aires nel 1946. Il riconoscersi nella filosofia MADI e nel fondamentale enunciato di Carmelo Arden Quin: «L’opera è, non esprime; l’opera è, non rappresenta; l’opera è, non significa» è la logica conseguenza dei tentativi – intrapresi individualmente e spontaneamente già dagli anni Sessanta – di uscire dal poligono regolare del quadro tradizionalmente inteso per ottenere un manufatto artistico nuovo, concreto, tangibile che non sia soltanto una superficie piana coperta di colori e nemmeno lo specchio o il riflesso di qualcos’altro ma rappresenti l’esito più puro della libertà di pensiero dell’autore. Già a partire dagli anni Sessanta e via via con sempre maggior consapevolezza, Frangi inizia infatti ad applicare alle tradizionali tele in commercio, di forma quadrata e rettangolare delle “estensioni”, ovvero delle forme geometriche in legno sagomato che gli permettono la dilatazione dell’oggetto artistico fuori dai confini del poligono regolare.
In questo studio è stato molto utile il contributo in catalogo dello psicoterapeuta Emanuele Amato che ha proposto un punto di vista “altro” rispetto a quello della storica dell’arte e dell’artista, soprattutto nell’evidenziare come alcune strutture possano sopravvivere negli anni nonostante il cambiamento dei presupposti concettuali e delle modalità espressive.
Osservando l’opera di Frangi sembra cogliersi un continuum, un filo rosso che lega la sua produzione artistica nel tempo. Infatti alcune strutture sopravvivono negli anni nonostante il cambiamento dei presupposti concettuali e delle modalità espressive.
Ricorda Emanuele Amato: «Gleon O. Gabbard afferma che “Il passato è il prologo” e ancora “Il bambino è il padre dell’uomo” e ciò fa riferimento alla peculiarità del nostro apparato psichico di utilizzare un particolare tipo di memoria detta procedurale. Ovvero non ricordiamo i contenuti ma ricordiamo i modi di fare, come il saper andare in bici o suonare il pianoforte. Questo comporta la tendenza a ripetere la “forma” delle nostre relazioni con gli oggetti nei rapporti interpersonali e nel rapporto con noi stessi. Si creano modelli di comportamento che tendono a ripetersi anche parecchi anni dopo il loro formarsi.
Il cambiamento è affiancare a una vecchia struttura una nuova struttura, dove la vecchia non si distrugge ma anzi può nuovamente tornare a funzionare in occasione di particolari eventi. Questo è alla base del continuum del nostro fare».
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