Data / Ora
Date(s) - 18/05/2024 - 30/06/2024
5:30 pm - 11:00 pm
Luogo
Centro Universitario Duse
Categorie
Il Centro Universitario Duse – Polo qualificato di orientamento per le Università Pegaso, Mecatorum e San Raffaele e centro di promozione culturale, ospita la mostra “L’incertezza della collina” dell’artista Samuele Pigliapochi.
La mostra presenta la produzione più recente dell’artista: acrilici su carta e tavola.
Testo critico di Fabio Pasquet
Samuele Pigliapochi vanta al suo attivo diverse mostre e partecipazioni in progetti nazionali; è inoltre membro del collettivo torinese IDEM Studio, gruppo artistico nato nel 2015 dalla collaborazione con Ruggero Baragliu e Angelo Spatola.
Samuele Pigliapochi – L’incertezza della collina
Centro Universitario Duse
via san Donato 50/C 10144 Torino
Inaugurazione sabato 18 maggio ore 17.30
Ingresso gratuito
Dal 19 maggio al 30 giugno la mostra sarà visitabile su appuntamento scrivendo a ecp.duse@unipegaso.it
“La via dell’assurdo, è la sola praticabile”
Per Carlo Dossi, sublime narratore per fiacca meschina in larga parte dalla modernità obliato, “il pudore inventò il vestito per maggiormente godere la nudità”.
Samuele Pigliapochi vive di questa nobile dicotomia mettendo a nudo la sua anima tramite la compostezza di un’arte che in quanto tale non antepone diplomatici compromessi all’espressione, dilata e restringe in un meccanismo da corpo sottile immagini in continuo movimento che per garbo e vivezza potrebbero contrappuntare perché no le pagine eccelse e mordaci delle inarrivabili “Note azzurre” dossiane.
Non a caso, se lo si incrociasse a passeggio lungo uno degli aristocratici e austeri viali torinesi, si comprenderebbe che l’opera di Pigliapochi è un tutt’uno con la grazia e l’eleganza dell’artista, perché vivono ancora casi come il suo, per nostra fortuna ed appiglio, nei quali l’epifania si palesa a compimento e l’opera, di rimando, specchia il pittore senza per questo scadervi in peccati di vanità.
Guai a risolvere il tutto in un vizioso circolo ermeneutico però, perché se c’è un senso nella sua opera è proprio in quel non detto che nello specifico delle tele qui esposte spinge a certe abissali interpretazioni private a veleggiare verso certe pagine di Thomas Bernhard, del divino Kafka o dell’onirica “Altra parte” kubiana.
Qui Pigliapochi come il pittore Strauch del “Gelo” bernhardiano affascina e trascina monologando con il visitatore, lasciandolo in bilico fra le possibilità di un abisso schizofrenico d’un altro immaginario pittore come il Johan Borg bergmaniano de “L’ora del lupo”, le fredde follie qui visive anziché olfattive di un Jean Baptiste Grenouille e l’essenziale raffinatezza antitetica di uno Sciascia o un Carver.
Affinché vi è nell’opera di Samuele questa necessaria dicotomica visione di sentimento e stile, senza che nulla possa temere di precipitare nel cimitero pronunciato degli orpelli, peccare d’un barocco di maniera.
La sua opera, semmai, rimanda a un preromanticismo mozartiano di certe sonate che paiono vibrare di nodale sobrietà.
Samuele indaga con il suo sguardo appassionato eppur disincantato gli anfratti della materia, fotografa la realtà con la nitidezza scevra da sovrastrutture di un Bunuel e la colta libertà espressiva di un Berio nei suoi momenti più felici.
Non soffermatevi, soffermatevi, riflettete o non pensate affatto davanti alle sue opere, qualcosa vi rapirà, non preoccupatevi, tormenterà i vostri sonni o li allieterà della liberazione che solo la bellezza di un’arte luminosa sa dare.
Non è contemplata la scelta di puntata o sentimento in queste sue nuove opere a scarnificare ancor più il concetto, a sintetizzare nell’utilizzo cromatico del bianco e del nero che nella tenebra goethiana pur tutto racchiude scelte ancor più vigorose di quando colori mezzani ( pur nella raffinata sobrietà del nostro… ) permeavano le sue tele.
Siamo nello spirituale, nella ricerca, nel tanto bistrattato senso esoterico dell’indagare la forma, nel campo dell’austera origine che indefinitezza e disciplina dualistiche esprimono.
Se è lecito e finanche doveroso lasciarsi trasportare per chi tenda a qualcosa di più del presenziare famelico a un vernissage, qui siamo nel campo vorticoso e misantropo dell’incanto focalizzato alle vertigini stendhaliane, nell’erratico vagare ramingo d’opera in opera affinché l’origine ed il fine come il bianco e il nero racchiudano a compimento un’esperienza mistica o infernale.
“Mesdmames et Monsieur faites vos jeux, s’il vous plait…”
“Siamo in errore quando crediamo di essere nel vero e viceversa. La via dell’assurdo è la sola praticabile”.
Non ci si illuda di un compiersi circolare tanto discostato in germe dall’autore, quanto il dovuto riconoscimento a epigrafe e lemma bernhardiani fronte all’inquietante stupefazione delle tele esposte.
P.s. : si noterà che fra i rimandi alle lettere, alla musica ed alla settima arte mancano indegnamente i parallelismi con la figurativa stessa.
Ebbene, sappiate che è la cosa più banale che si possa fare, di fronte all’unicità di un vero artista ov’è la simmetria fra le arti, a fiammeggiare.
Fabio Pasquet
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