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SERIE DI RIPARTENZE: LA SERIE COME CAMMINO DETERMINATO E INCESSANTE Gianni Berengo Gardin, Aurelio Bulzatti, Arduino Cantafora Elvio Chiricozzi, Marilù Eustachio / Renato Mambor, Dario Passi

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Data / Ora
Date(s) - 10/06/2024
3:00 pm - 7:00 pm

Luogo
FFMAAM | FONDO FRANCESCO MOSCHINI A.A.M. ARCHITETTURA ARTE MODERNA ARCHIVIO DEL MODERNO E  DEL CONTEMPORANEO

Categorie


“ATTRAVERSAMENTI”
DI SERIE IN SERIE: ANNI DI MOLTEPLICI LUNE
(QUARTO ATTO)

“SERIE DI RIPARTENZE: LA SERIE COME CAMMINO DETERMINATO E INCESSANTE”
Gianni Berengo Gardin, Aurelio Bulzatti, Arduino Cantafora, Elvio Chiricozzi, Marilù Eustachio / Renato Mambor, Dario Passi

La mostra si apre con una serie di fotografie vintage, in bianco e nero, di Gianni Berengo Gardin, autore sempre attento culturalmente agli aspetti antropologici della propria ricerca e che ha sempre avuto come obbiettivo del suo lavoro la documentazione sociale, così come la intendevano i grandi fotografi della Farm Security Administration. Il suo percorso artistico, sia quando indaga gli interni dell’abitare, che quando, allargandosi, si concentra sull’architettura, sulla città e sul paesaggio non pare concentrarsi sulla loro forma o sulla loro struttura, ma ritrarli come scenario in cui l’uomo svolge la propria vita, il proprio lavoro, in cui lascia continuamente un segno del proprio passaggio, in cui si manifesta il proprio dramma, la propria solitudine. Secondo l’ammissione dello stesso fotografo, G.Berengo Gardin non ha mai inteso il suo ruolo come quello dell’interprete di luoghi o architetture come icone gelide e astratte con una resa tecnica super ricercata per far percepire invece la struttura della grana della pellicola stessa allo scopo di umanizzare ogni luogo e ogni ambiente. Tutto ciò per suscitare emozioni ed evidenziare situazioni su cui riflettere: la sua non è mai stata un’operazione pertanto estetica, fine a se stessa, dettata unicamente da leggi compositive, grafiche o chiaroscurali. Ed è questo pertanto il motivo per cui l’autore ha sempre cercato di inserire nelle sue inquadrature la presenza dell’uomo, la sua traccia, il suo segno.

Ad analoghi temi e scenari sembra rivolgersi lo sguardo di Aurelio Bulzatti che si sofferma sugli spazi urbani, visti come improbabili luccicanti “non luoghi”, comunque protesi a riscattare quei pochi frequentatori dispersi in quegli eccessi di vuoto, proprio nella loro sottolineata dignità umana, spirituale ed etica che li rende eroi di un mondo comunque avvertito, pur nella sua siderale distanza, come “alterità”. Il lavoro dell’artista è il mezzo per indagare la realtà, per arrivare all’essenza delle cose, alla verità e alla sorgente dei sentimenti, proprio per la sua attenzione al mondo reale, alle situazioni quotidiane, ai moti dell’anima e giungere così ad una comunicazione più profonda e vera. L’insieme delle opere di A.Bulzatti costituisce una conferma del valore per lui della pittura come linguaggio pittorico ma, soprattutto, come mezzo per comunicare all’esterno il mondo intellettuale e poetico dell’artista. Questa serie di opere, sia quelle in cui sono rappresentate figure umane, sia quelle con ambienti urbani o più privati, se non intimi, conserva comunque, come sempre nel suo lavoro, un misticismo che è il sintomo della ricerca del senso delle cose. In tal modo, le sue rappresentazioni si propongono come immagini di grande poesia che trascende la dimensione temporale e si colloca su un livello superiore.

Anche il percorso artistico di Arduino Cantafora si é sempre rivolto all’indagine sulla città e sugli spazi domestici,  indagando sia il rapporto ambiguo tra interni ed esterni, sia rappresentando le contraddizioni che sovente emergono dalle diversificate compresenze storiche. Nell’attonita spazialità delle sue opere, si rilegge il senso delle stratificazioni delle stesse e, insieme, la discontinuità, la pausa e la separazione tra il tempo e le figure della storia, anche nelle deformazioni che essa subisce nella memoria, e il tempo e le figure del moderno nell’astratta razionalità delle sue configurazioni. Proprio per questo, nelle sue indefinite e illimitate “aperture”, sembrano affiorare i segni del tempo, di chronos, nel suo muto e impotente scandire una spazialità ideale. Sempre silenziosi appaiono i suoi spazi chiusi, circoscritti, pervasi da una “pietas” religiosa, nella quale ogni “frammento”, ogni elemento presente si trasforma in reliquia. Ed è l’atteggiamento di fronte alla sconfortante dimensione del reale che porta A.Cantafora a sospendere ogni cosa sul filo di un’attesa carica di aspettative. Certo senza speranze salvifiche, ma pronto ad accettare, come condizione ineliminabile, l’indifferenza nei confronti del reale stesso, su una linea di leopardiana rassegnazione.

L’itinerario artistico di Elvio Chiricozzi pare restituire ad ogni tappa del suo evolversi il senso di una costruzione di veri e propri luoghi della memoria, attraverso il carattere puntuale, preciso e scientifico nella scelta delle figure da lui coinvolte, in cui le più diversificate compresenze, più che in movimento, sembrano continuamente fluttuare nel vuoto, e rivelano una concezione del mondo, da parte dell’artista, come “brulichìo” di cui ascoltare anche i più impercettibili sussulti. Il suo frequente ricorso, anche nella stessa presentazione del proprio lavoro in diverse occasioni espositive, pur nelle tesissime e calibratissime impaginazioni, al “tumulto nell’insieme” è suggerito dalla predilezione da parte dell’artista per gli eccessi di pienezza visiva ma soprattutto dal molteplice stratificarsi e sedimentarsi delle successive rielaborazioni sulla stessa opera. Tutto ciò provoca una continua vertigine, uno sbilanciamento, infine uno smarrimento, a stento trattenuto da alcuni elementi individuabili come punti fermi, come vere e proprie stelle fisse nel firmamento espositivo, quasi a privilegiare un particolare percorso di lettura, a far ritrovare una imprevista geometria che dà ordine al tutto, proprio nel loro segnalarsi e distinguersi per la capacità di far sprofondare la visione nella loro magmatica matericità, trasformandosi così in momenti di fermo immagine, di catturante e coinvolgente complicità.

Le opere a quattro mani di Marilù Eustachio e Renato Mambor, all’insegna della “Corrispondenza” tra i due artisti, restituiscono un intenso incontro avviato in un’estate di inizio del nuovo Millennio, in un luogo in cui entrambi andavano da molti anni senza essersi mai accorti di essere così vicini. Una vicinanza che essi stessi hanno scoperto anche nei loro lavori. Si tratta di due artisti della stessa generazione ma di diversa formazione: M.Eustachio ha nel tempo affinato sempre più il valore di una pittura pura attraverso una ricerca del segno e del colore nelle loro valenze più diverse, dal chiaro all’acceso, dal trasparente al forte, con funzioni primarie all’interno dell’opera, mentre R.Mambor è partito da una pittura raffreddata e oggettiva che gli ha sempre permesso continue “invenzioni” linguistiche. Proprio creando e usando la struttura del modulo per i loro interventi hanno potuto interagire con la massima libertà, costruendo un dialogo pittorico che ha fatto della differenza un’occasione di rinnovamento per entrambi, ricorrendo alle tecniche più diverse, dalla pittura a olio, allo smalto, alla graphite, al pastello, all’inchiostro, alla fotografia. I linguaggi usati dai due artisti, tendono a non fondersi e a non confondersi, ognuno è autorialmente riconoscibile per la parte che gli compete, ma pronto a lasciarsi contagiare, in modo che la percezione totale dell’opera e di tutte le opere nel loro insieme, nel loro sviluppo complessivo, sorprendesse gli stessi autori per quella che si é venuta configurando come una straordinaria corrispondenza estetica.

Le opere di Dario Passi selezionate per questa mostra, all’interno del suo impegno sul versante dell’espressione più “libera”, dello specifico artistico, anziché di quello finalizzato ai suoi aurorali e primari interessi architettonici, entrambi da lui praticati per una vita intera, danno testimonianza del suo ostinato lavoro “appartato” nella solitudine meditativa del proprio studio. Ed é evidente come proprio nel suo continuo “corpo a corpo” con l’opera che la sua mano diventa sempre più abile e smaliziata, nel corso del tempo, e conquista, ora dopo ora, l’universo della pittura in quel suo isolarsi nel suo “eremo” sulle cui pareti, si andavano accatastando tele di grandi formati con opere invece di più intima riflessione. Il colore risultava elemento centrale della sua ricerca anche quando si applicava a forme nominate a più riprese, ed enumerate, classificate in tutte le loro più diverse declinazioni. In parallelo la struttura che determinava lo spazio visivo era però il secondo elemento protagonista con le sue recuperate immagini e annotazioni che furono negli anni, sempre e comunque attente e veritiere esplorazioni della conformazione del reale, sia nella geometria della natura sia in quella presente nei manufatti dell’uomo, così come nei segni minuti delle decorazioni o delle scritture rituali. Lo studio maniacale della struttura è un’occasione per vedere e per stabilire una successione di nessi, una rivincita dello spirito creativo in una totale indipendenza e tuttavia per l’autore un metodo di pensiero serrato e continuo.

La mostra, come avveniva nelle precedenti tappe della sequenza espositiva iniziata a partire dall’autunno del 2022 dal titolo “Attraversamenti. Di Serie in Serie: anni di molteplici lune” e come accadrà nelle prossime che si succederanno nel corso del tempo, fino alla conclusione del ciclo, è stata progettata e realizzata per individuare momenti unitari all’interno dell’itinerario poetico degli artisti volta per volta coinvolti. Ogni autore viene presentato pertanto con una selezionata sequenza seriale articolata in più opere tese a formare un ideale “Polittico” composto da molteplici ma autonomi elementi diversi che nell’insieme alludono a una perseguita coralità. Questa ulteriore tappa all’interno dell’intero ciclo di mostre, già prefissato nella sua futura complessa articolazione, vede coinvolti alcuni protagonisti della cultura artistica e architettonica del ‘900 italiano. Con alcuni di loro, A.A.M. Architettura Arte Moderna si è trovata a collaborare non solo nel corso della propria attività espositiva, ma anche sul versante delle occasioni professionali, di cui si è fatta promotrice, affidando loro la realizzazione di opere di ampio respiro per committenze esterne pubbliche e private di cui è stata non solo ideatrice ma anche responsabile e garante della rispondenza e conformità ai presupposti di partenza nella loro concreta esecuzione finale. Anche in questa mostra, come nelle precedenti, sono presenti personalità del mondo dell’arte, di generazioni diverse e di differenti specifici disciplinari con opere e tecniche varie. Come nelle precedenti tappe del ciclo “Di Serie in Serie” anche in questa occasione tutte le opere esposte provengono dall’archivio FFMAAM, e vanno intese pertanto come una sorta di ripercorso della nostra storia espositiva, dei nostri spezzoni di vita condivisi con artisti, architetti, fotografi etc, che ha superato ormai gli oltre quarant’anni, essendo stata avviata alla fine degli anni ’70 del Novecento. Anche per questo lo spazio espositivo è delimitato, all’ingresso, da una selezionata Biblioteca, frammento di quella “Costellazione di Biblioteche” che hanno costituito il primario interesse del suo fondatore F.Moschini, e si chiude con lo spazio dedicato all’archivio cartaceo che custodisce la memoria storica di questa avventura straordinaria.


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