Tre giorni al confino, Alcesti

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Data / Ora
Date(s) - 22/12/2024
3:00 pm - 4:45 pm

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“Tre giorni al confino, Alcesti” è  una lettura e rito scenico dell’”earthbound” Filippo Orecchini, dal suo poema Nemat. Come l’Alcesti, riconnettere alle forze del sottosuolo vegetale lo spazio architettonico del Palazzo ( di Admeto) Giuliani.

“Tre giorni al confino, Alcesti”  è materia viva, instabile, che continuamente cede, sgocciola, stilla, fuoriesce, vortica, la parola non tace, sale dal terreno, crepita, sobbalza, scricchiola come vermi al sole; l’universo bolle in un pentolone, sogno alchemico di trasformazione: “una rana porterà il mio nome”.
Un rito che connette lo spazio del fuori e le forze ctonie del sottosuolo allo spazio interno di Palazzo Giuliani. Di fronte al Palazzo, l’altro edificio in rovina ad esso speculare,  indica il movimento di esumazione che ingloba di nuovo in sé la materia architettonica del Palazzo Giuliani/di Admeto, quasi specchio retrospettivo in figura della sua origine e del suo termine,, spazio dell’oltretomba di cui Alcesti si fa figura e ferecide, La materia fluisce nei canali di scolo e da lì entra nelle condutture, ristabilendo nell’interno la presenza degli estranei batterici, limitando le forze doganali di controllo per gli ingressi e per le uscite. L’invaso entra nell’estimo, il margine approda nell’integro.
Questo rito inaugurale introduce il progetto laboratoriale di Atlabs per una geo-mitologia dello spazio di Labico: il laboratorio che ne seguirà è un invito ai partecipanti a interpretare la “scrittura asemica” delle forme così create, darne un nome o più nomi, un colore, un suono, un abbozzo di storia, una mappa emotiva e condivisa.

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