La Kunsthalle di Basilea ospita “Everything no one ever wanted”, una nuova personale dell’artista svizzero Tobias Spichtig curata da Elena Filipovic. L’artista vive e lavora tra Zurigo e Berlino, partecipando alla scena creativa di entrambe le città e traendo gran parte della sua ispirazione dalla musica, dalla moda e dalla fotografia. Spichtig utilizza pittura, scultura, fotografia e installazioni, e non esita a combinarle insieme negli spazi espositivi che gli si offrono. La mostra di Basilea si concentra in modo particolare sui suoi dipinti su tela, includendo comunque una selezione di sculture e installazioni.
“Everything no one ever wanted” occupa gli spazi superiori della Kunsthalle: entrando nella prima sala ci si ritrova immediatamente circondati dalla maggior parte dei dipinti, che si possono osservare da vicino camminando su un grande palco allestito per l’esposizione. Sulla struttura sono esposte anche alcune sculture della serie “Gheist”: si tratta di abiti vuoti, privi di un corpo che li indossi, irrigiditi da una resina speciale utilizzata nella produzione degli aerei. Il cappuccio a punta delle felpe conferisce loro un aspetto da monaci contemporanei che, privati del loro corpo e della loro religione, agiscono come presenze, entità intermedie fra vita e morte. Per l’inaugurazione di Basilea, l’artista ha invitato a esibirsi sul palco il musicista Ocrilim (Mick Barr). La musica proveniente dalla sua chitarra Steinberger spazia da suoni lenti e profondi a melodie frenetiche. Man mano che le sue dita iniziano a suonare più velocemente, cresce anche la suspense. Le melodie riecheggiano contemporaneamente sinfonie orchestrali e dissonanze metalliche, creando una sorta di energia tragica. L’atmosfera che si crea è quella di un monastero contemporaneo, non solo dunque una colonna sonora per la mostra.
La seconda sala sembra una sorta di passaggio verso l’ultima: credenze e armadi ammucchiati in mezzo alla stanza costringono il visitatore a camminarvi intorno. Per il resto, ci sono solo uno specchio e un ritratto, raffigurante Tom (Heyes), musicista e performer noto come Blackhaine, che di recente ha collaborato con il rapper Playboi Carti per le sue esibizioni dal vivo. Il percorso termina con tre lapidi metalliche installate su un pavimento rosso, una delle quali recita “All I never wanted”. Le sculture, gli oggetti e i dipinti di Spichtig coesistono in questo spazio, dialogando tra loro. Pennellate imprecise, colate di colore e la predominanza del nero definiscono i dipinti di Spichtig, i cui spazi incerti sono popolati da creature pallide e spigolose. Il colore affiora dall’oscurità prendendo il sopravvento in primo piano o servendo da sfondo per i ritratti. In opere come “Sorat” e “Please stop haunting” le pennellate diventano più sottili e faticano a imprimere la tela, ricordando disegni fatti con il gesso su una lavagna. Sembra quasi di poter udire il rumore stridente che accompagna il gesto. L’arte di Spichtig è stata spesso paragonata all’esperienza di “Die Brücke” e all’Espressionismo, poiché i suoi dipinti ricordano innegabilmente l’opera di Ernst Ludwig Kirchner e le atmosfere dei film di Robert Wiene e Friedrich Murnau. Tuttavia, Spichtig non li cita necessariamente come dirette influenze, come si può leggere nell’intervista che riportiamo qui di seguito.
I soggetti dei ritratti di Spichtig sono molteplici, dal celebre designer Rick Owens alla cantante Eartheater e all’artista visiva e regista Michella Bredhal. Talvolta gli sfondi a blocco di colore suggeriscono uno spazio senza tempo, in altre occasioni vi è un rimando al contemporaneo, come nel caso di “Martina” (Tiefenthaler), chief creative officer di Balenciaga, con uno sfondo rosso che richiama chiaramente il red carpet della collezione Primavera 2022 della Maison. Spichtig ha collaborato con il marchio in diverse occasioni, lavorando come fotografo per le campagne e come modello in passerella per la visionaria sfilata Inverno 2020. Le sue sculture della serie “Gheist” sono state anche installate nei negozi Balenciaga di tutto il mondo. La fascinazione dell’artista per la moda non è recente, ed emerge chiaramente nel suo lavoro attraverso un interesse specifico per le silhouettes e le proporzioni del corpo, oltre che nell’uso dei capi di vestiario nelle sue sculture, dove gli abiti diventano indipendenti da chi lo indossa, come attitudini cristallizzate. Le identità oggi vengono messe sotto etichette, categorie e hashtag, codici che gli algoritmi cercano di comprendere. In un mondo ossessionato dai beni di consumo e dagli oggetti, stiamo diventando tutti cloni? Oppure ci nascondiamo dietro alle stesse uniformi? Spichtig dice che questo è assurdo, e che gli algoritmi non potranno mai sostituire l’autodeterminazione e comprendere a pieno la nostra complessità. Come con i vestiti, una cosa sta bene a qualcuno e male a qualcun altro, e questa è la varietà della vita.
Enrico Boschi: Per cominciare, cos’è la cosa che nessuno ha mai desiderato?
Tobias Spichtig: Il titolo che ho scelto per la mostra deriva da quelle lapidi laggiù. Ho una sorta di legame con le pietre tombali, ha a che fare anche con la Vanitas. Una di esse recita: “All I never wanted”. Ecco cos’è che nessuno vuole mai: morire, e poi succede lo stesso. La cosa riguarda innanzi tutto me, poi si estende a “Everything”. C’è anche un’altra idea da considerare… ci sono cose che non vuoi che accadano ma che poi accadono ugualmente… ebbene, certe volte è giusto così, c’è un risvolto positivo. Le opere d’arte sono “non-credenti”, portano avanti una lotta per evitare di morire. Di fatto non vuoi morire, ma in fondo un po’ ti piace.
Trovo la tua arte affascinante e inquietante allo stesso tempo. Di recente ho mostrato le tue opere a un amico che non frequenta la scena dell’arte contemporanea, e ne è rimasto disturbato. Cosa ne pensi?
Ah davvero? È positivo che abbia provato qualcosa.
Passiamo ora ai soggetti dei tuoi ritratti. Di solito dipingi dal vivo o preferisci lavorare con fotografie?
Non dipingo dal vivo. Nessuno ha tempo di posare per me perché sono molto lento. Lavoro a partire da diverse foto o da disegni dal vero, ma affronto la tela in un momento successivo. Credo che la pittura dal vivo sia più un’esperienza del Rinascimento, che non riguarda la nostra epoca.
I soggetti delle tue opere sono… per così dire… rilassati oppure tendi a coglierli in uno stato di disagio?
Dipende dall’umore del momento. Ogni volta è diverso.
Su quale livello del soggetto si concentra la tua attenzione? La prima cosa che colpisce, per quanto mi riguarda, sono gli occhi neri… Sono vuoti come le tue sculture, o c’è qualcos’altro?
È una strana sensazione: certe volte le cose colpiscono per ciò che manca, per ciò che è assente, ma allo stesso tempo sono lì: voglio dire, i miei ritratti hanno gli occhi, ti guardano.
Mi sembra che tu nutra uno spiccato interesse per i fantasmi, ma non credo tu sia tormentato dagli spettri del passato. Volevo comunque chiederti quali sono gli artisti che ti hanno ispirato o che semplicemente ti piacciono.
Mi piacciono Andy Warhol, Jackson Pollock, Louise Bourgeois, Mark Morrisroe, Piacabia (specialmente i suoi ultimi lavori e i ritratti). Ammiro poi moltissimo la pittura italiana del primo Rinascimento. Basti pensare alla “Resurrezione della carne” di Luca Signorelli. E poi mi piace il disegnatore e pittore svizzero Urs Graf. E anche Richard Prince, Sigmar Polke e David Hockney, anche se ho una strana relazione con la sua opera.
Per quanto riguarda invece le tue installazioni, sembra che gli oggetti che tu utilizzi si possano trovare in strada pronti per andare in discarica… Sono scartati fisicamente ma sono anche abbandonati?
Penso che gli oggetti vengano sempre un po’ abbandonati non appena non li usi più. Gli oggetti hanno vite proprie e una loro autonomia, racchiudono storie. Hanno molte anime. I diversi materiali presentano qualità diverse. Sono materiali complessi, densi di significato, che si fanno carico dei ricordi della loro vita passata. È come se fossero parte di una sorta di minimalismo psicologico.
Cosa significano per te i mobili nell’altra sala?
Sono armadi vuoti, oggetti che provengono da camminate notturne in giro per casa, dovute all’insonnia. Avevo problemi di sonno. Mi alzavo, andavo in cucina e mi sedevo al tavolo o andavo alla scrivania, cercavo di disegnare, avevo fame, andavo al frigorifero, poi tornavo a dormire. Di nuovo, tornavo sul divano o mi sedevo per terra E poi ho acceso la luce e ho visto tutti questi oggetti.
Le sculture sono collegate a questo tipo di situazione?
No, provengono un po’ da un altro posto. Voglio dire, ora è divertente che siano insieme perché potrebbe sembrare che i vestiti siano usciti dagli armadi nell’altra stanza.
Info:
Everything No One Ever Wanted, a Cura di Elena Filipovic
19/01/24 – 28/04/24
Kunsthalle Basel
Steinenberg 7
CH-4051 Basel
https://www.kunsthallebasel.ch/
Originario di Bologna, studia design della moda e arti multimediali allo IUAV di Venezia. Crede nella possibilità di sconfinamento tra le discipline e che l’arte possa avere un ruolo attivo nell’abbattere le disuguaglianze e unire le persone creando comunità.
NO COMMENT