Marktstudio è un progetto che nasce all’interno dei locali de “Il Perimetro dell’Arte”, un laboratorio e negozio di cornici nel quartiere di Bologna denominato Manifattura delle Arti. Si pone l’obiettivo di indagare i cortocircuiti interni alle tradizionali concezioni di spazio espositivo e di vendita, attraverso il nuovo format MERCE, modalità di fruizione differente che si aggiunge a quella canonica, sulla parete sinistra e nella vetrina del negozio / laboratorio.
Fabio Giorgi Alberti, classe 1980, è stato uno tra i primi artisti a sperimentare questa nuova tipologia di allestimento. L’artista si è avvalso di differenti forme espressive come: il film e il video, la scultura, le parole, la pittura, il disegno. La sua ricerca si pone l’obiettivo di indagare il linguaggio e il rapporto dell’individuo con la realtà attraverso opere connotate da un’ambigua semplicità. Insieme a lui si è parlato della sua ricerca e di come abbia affrontato la scelta dei lavori per il nuovo format di Marktstudio.
Valeria Fortuna: Quale ricerca artistica si cela dietro le tue opere?
Fabio Giorgi Alberti: La mia ricerca tende alla semplicità e all’immediatezza, con una finalità evocativa. Penso che il primo aspetto della realtà che percepiamo e vediamo sia semplice e diretto, anche abbastanza chiaro. Le cose si confondono quando si inizia a pensare a che uso, a che finalità possano avere, a quale utilità, o anche quale danno, possano portare. Tutto diventa complicato quando si proietta una visione futura. I miei lavori vivono nel momento presente.
Quale è stata l’opera nella storia dell’arte, che più ha plasmato la tua ricerca e ti ha avvicinato all’arte contemporanea?
Ho avuto una serie di epifanie con l’idea di arte, che ricordo chiaramente. La prima è stata una visita a Bologna: mia madre mi portò mi portò a vedere il museo di Morandi, sarà stato sul finire degli anni ’80, ero ancora alle elementari… posso pensare che a colpirmi fosse la facilità del soggetto, la meraviglia, ma anche il mistero per ciò che è a portata, raggiungibile, ma anche molto indefinito. Poi a Sansepolcro, davanti alla Resurrezione di Piero della Francesca, avevo circa 13 anni, mi ci portò un ragazzo più grande di cui subivo quella fascinazione preadolescenziale per quelli con più esperienze: rimanemmo davanti all’affresco per ore, in cui il fatto che lui rimanesse a guardare, portava me a contemplare a mia volta e a cercare, cercare, cercare. La terza è stata a Londra, la collezione della Tate, avevo appena iniziato a studiare all’Accademia: un video di Bruce Naumann su due schermi sovrapposti, Double No, in cui ci sono due giullari, uno per schermo, uno in verde l’altro in rosso, che saltano in maniera speculare urlando o mugugnando no no no no, all’infinito. E poi l’orinatoio di Duchamp: non davanti all’opera, ma davanti al pensare a quell’opera.
A cosa si riferisce la simbologia del doppio all’interno delle tue opere e da dove trae origine?
I lavori che ho esposto in mostra sono una concretizzazione del molteplice, più che una simbologia. Vediamo con due occhi, è poi la testa che mette insieme le due immagini in una unica. Da sempre lavoro molto con gli specchi e con l’immagine specchiata. Con una realtà illusoria, forse non più della nostra reale. Un davanti e un dietro che possono essere un dietro e un davanti. Vediamo istanti che si susseguono, lo spazio un momento dopo l’altro; mi fa pensare ai fotogrammi di una pellicola e a quando c’è quell’assestamento della proiezione per cui si vede la stessa immagine sdoppiata.
Come scegli i materiali e quali oggetti prediligi per realizzare le tue opere? Gli oggetti comuni che vengono presi in considerazione hanno un significato preciso?
Spesso mi capita di allestire mostre di altri artisti, di aiutarli nella parte finale della realizzazione di una mostra: si usano scale e prolunghe, alla fine ci si beve un paio di birre in bicchieri di fortuna. Credo che i materiali e i soggetti che un artista usa e rappresenta, abbiano sempre a che fare con la sua vita. La tensione è quella di assolutizzare, di universalizzare; ma è dalla nostra stessa esperienza del mondo che parte il pensiero. In scultura i materiali hanno la possibilità di corrispondere a ciò che viene rappresentato, è una ridondanza tra media e rappresentazione, tra significante e significato. C’è poi anche una vera e propria fascinazione che subisco per alcuni materiali e tecniche: quando uso il ferro, è anche perché mi piace tagliarlo, piegarlo, saldarlo, mi diverte proprio; quando realizzo specchi, è anche perché mi affascina e mi assorbe vedere la reazione chimica; quando dipingo con l’affresco è anche perché penso al pigmento che si fissa senza media.
Quale sensazione vorresti suscitare in chi osserva le tue opere?
Vorrei instillare il dubbio, dubbio sull’esistenza delle cose, sulla reale forma della realtà. La domanda è: dov’è che si ferma il mondo e dove inizia la nostra proiezione su di esso? Voglio che la visione sia semplice e diretta, ma che faccia nascere la voglia, il bisogno di un secondo sguardo, un secondo momento di visione; voglio che si guardino meglio le cose che diamo per scontate.
In relazione alla mostra MERCE, recentemente conclusasi a Bologna, quali opere hai scelto di collocare negli spazi della galleria e come hai deciso di utilizzare la parete sinistra e la vetrina di Marktstudio?
Ho scelto oggetti, o rappresentazioni di oggetti, che possono ben essere presenti in una bottega, o in generale in un luogo di lavoro: una scala e una prolunga che sono stati utilizzati per eseguire un lavoro, una birra e un bicchiere con cui si è bevuto dopo.
Hai immaginato una relazione tra l’opera e la modalità di fruizione della mostra? Hai scelto determinate opere per poter coinvolgere il pubblico e invitarlo ad entrare?
La mostra era incentrata su soggetti che riconosciamo automaticamente, su cui non poniamo particolari domande. Certo, nel caso dei disegni delle bottiglie, capiamo immediatamente che sono dei disegni. Ma la scala, i bicchieri di plastica e la prolunga, con piccole differenze, sono così più o meno in tutte le case, a Bologna come a Shangai. La ripetizione meccanica che ho realizzato mette in risalto una visione automatica che mettiamo spesso in atto, e permette di tornare a guardare cose quotidiane e far caso alle piccole differenze.
Info:
Fabio Giorgi Alberti, bicc., 2021, bicchieri di plastica, legno, ferro 10x13x10 cm, Ph. Carlo Favero, courtesy Marktstudio
Fabio Giorgi Alberti, pr., 2021 cavo elettrico, prese, tondino in ferro e smalto 35×25 cm, Ph. Carlo Favero, courtesy Marktstudio
Fabio Giorgi Alberti, sc., 2021 due scale in alluminio e ferro, nastro adesivo colorato 180x90x50 cm, Ph. Carlo Favero, courtesy Marktstudio
Fabio Giorgi Alberti, bott., 202, inchiostro su carta, cornice a cassetta su legno naturale 25X33 cm cad. (dittico), Ph. Carlo Favero, courtesy Marktstudio
Valeria Fortuna, studentessa in Storia dell’arte e dei beni culturali, si occupa di valorizzare l’arte e avvicinare i giovani ad essa attraverso consigli su mostre da vedere e curiosità sugli artisti. Ama l’arte contemporanea in tutti i suoi aspetti per le emozioni che riesce a trasmettere e per il linguaggio del quale si serve, in continua evoluzione.
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