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Fare i conti con il rurale: la collettiva che indaga la conflittualità del concetto di Natura

Da un lato eretto dal sentire comune a simbolo di grettezza culturale e sociale (la provincia), dall’altro, emblema di purezza, quando e se presentato sul mercato del turismo slow, il rurale è – da etimologia – il territorio lavorato, non una natura edenica e sacrale, ma la campagna informata dall’aratro e dall’antropizzazione contadina. Fare i conti con questo rurale significa scontrarsi con uno spazio narrativo controverso, con tutte quelle finzioni con cui l’uomo ha presentato nel tempo l’alterità naturale, tra etimologie incomprese e cronache monodirezionali. La collettiva “Fare i conti con il rurale” curata da Arnold Braho e ospitata negli spazi dell’Arsenale del Lago d’Iseo, guarda all’intrinseca conflittualità del discorso sulla Natura. Ricostruisce il rurale come uno spazio di stratificazioni tra soggettività antagoniste e spinte plurilaterali: un luogo non indirizzabile, la cui essenza non può essere istantaneamente ridotta e commerciata.

A.A.V.V., Fare i conti con il rurale, a cura di Arnold Braho, Fondazione l’Arsenale di Iseo, Iseo, 29 aprile – 11 giugno 2023, installation view, photo Giacomo Alberico, courtesy Fondazione l’Arsenale di Iseo

Per Oliviero Fiorenzi (Osimo, 1992) il cielo è il paesaggio da costruire, lo spazio di proiezione, come per Klein, di una certa sensibilità pittorica. Al contrario dell’artista francese, Fiorenzi non ne reclama, però, il possesso. Nel cielo dell’artista marchigiano vige, infatti, l’oligarchia del gioco e le mitologie si costruiscono non a partire dall’artista, ma seguendo lo stupore e la casualità delle relazioni tra il sé e l’ambiente. Otto aquiloni hanno nuotato come girini tra gli agenti atmosferici, superato condense nuvolose e sono, prima, atterrati da The Address (BS) in occasione della personale Otto Cieli (2022). Poi, Fare i conti con il rurale ne restituisce una stampa fotografica (Lo stupore. Il cavallo, 2022) e un aquilone verticalizzato (La paura. La fame d’aria, 2022). Il Fuoco, il Cavallo, la Bocca, le Mani intrecciate: questi stendardi degli stati d’animo riportano immagini che si rifanno all’ inconscio collettivo, a un apparato iconografico costruito sull’infanzia. Come per gli archetipi dei tarocchi o le figure di filo nel gioco della matassa[1], seppur la storia e la provenienza sono oscure, è la tradizione che permette di leggere e interpretare gli aquiloni di Fiorenzi, sentirli vicini, sentire che parlano dei nostri cespugli, dei nostri cerchi, dei nostri casotti. L’attenzione dell’artista è sempre rivolta a spazi espositivi imprevedibili, ed è il caso anche delle boe di Segnali (2019). Il cielo e il mare sono, qui, due sconosciuti, di cui ancora non siamo riusciti a capire desideri, linguaggi e gerarchie cannibali. Il vento è l’agente dell’imprevedibilità, la spinta performativa, mostruosa e giocosa dell’Altra Natura che rende tutte le opere antropiche su di lei innestate non immediatamente instradabili.

Oliviero Fiorenzi, La ricerca. Le mani, 2022, mixed media. Opera presentata in occasione di Otto Cieli (29.09-12.11.2022), mostra personale presso galleria The Address, Brescia. Courtesy l’artista

Anche in Viandante IV (2021) di Giorgio Mattia (Frosinone, 1997) c’è un cielo, dove luci di bombe e aerei riuscirebbero a far ritrovare anche un ago a terra[2]. È l’11 settembre 1943 e il centro storico di Frosinone, nel basso Lazio, è stato ridotto in rovina dai bombardamenti degli alleati. Palazzi di cartone e cieli di paglia vengono restituiti, nella serie Viandanti, con piccoli disegni a grafite, sorretti da braccia dritte e dogmatiche, emblemi di vulnerabilità, come gli aghi da cucito da ritrovare mentre la città va a fuoco, che ora sono gli unici appigli dei tiranti di spago che sorreggono l’installazione. Mattia guarda ai bombardamenti e vede la stratificazione delle macerie, l’improvvisazione che può sempre avvenire con e sulle stesse, l’impossibilità di condensare il paesaggio in una strutturazione univoca. E così, incursioni e modificazioni, umane e non-umane, nel lavoro dell’artista frusinate, non sono mai arcadiche e nefaste in senso assoluto, ma sempre in un’ottica soggettiva. I Viandanti si scontrano con una certa irreversibilità del passato: la rielaborazione con il disegno manifesta le possibilità generative della nostalgia e Mattia abita la rovina con l’immaginazione. Il recupero archivistico della Frosinone bombardata non si inchina alla linearità della storia, ma desidera generarla. L’artista sembra, infatti, non essere innamorato tanto del referente – la città natale – quanto più dell’esercizio speculativo dato dall’allontanamento, dal mancato ritorno a casa, dall’impossibilità di poter vivere retrospettivamente un certo tempo storico.

Giorgio Mattia, Viandante I, 2021, grafite su carta, legno, ferro, 8 x 25 x 1,5 cm. Courtesy l’artista

La spazializzazione della guerra, lo scontro per schemi antagonisti ci invitano a ripensare la propaganda narrativa che avviene ogni qual volta si tracciano dicotomie a priori: natura e umanità, specie compagne e specie infestanti, collaborazioni interspecie e scontri intraspecie. Insomma, di fronte a un diffusissimo neo-romanticismo ecologico che proietta sulla Natura di nuovo fantasie di possesso, camuffate da necessità di preservazione, le critiche ecologiche di Fare i conti con il rurale sembrano guardare con serenità alle perturbazioni date dall’incontro tra correnti binarie e alla ricostituzione che può avvenire a partire dalle stesse. Da qui, Edoardo Caimi (Milano, 1989) prosegue immaginando strumenti di sopravvivenza sulle rovine periferiche di un pianeta infetto. La sloganistica della fine del mondo viene esorcizzata con strutture “survivaliste”, che ibridano la psichedelia tecnologica con la ricerca di una coscienza primordiale perduta. Caduto dai grattacieli del sogno del Capitalocene, l’ultimo sopravvissuto si camuffa ora da animale, da argilla, da incantatrice di droni.  In Strega (2023) e Trapcloack (2021) l’ecologia è finalmente violenta, è il legno bruciato del rogo della strega, l’ultima detentrice dei legami comunitari, è lo scudo accelerazionista dell’acrobata che si protegge dalle altre specie. Nella ricerca di Caimi la catastrofe ambientale, così come la nascita stessa del rurale, non sono mai slegate dall’oppressione sociale, dall’espropriazione dei commons alle agricoltrici poi mandate sul rogo, dalla violenza di cui i rapporti con la terra non possono, in ultimo, essere spogliati.

Edoardo Caimi, Strega, 2023, legno bruciato, pelle, vernice spray, dimensioni variabili. Photo Giacomo Alberico, Courtesy l’artista

Se le narrazioni sulla Natura vivono spesso, nelle produzioni artistiche contemporanee, di una dimensione estremamente stereotipata dove il fulcro è la collaborazione arcadica tra le due sfere e il logocentrismo del linguaggio e dei desideri dell’umano, Fare i conti con il rurale denuncia una certa crisi di rappresentazione del non-umano, con opere e ricerche che ridefiniscono i rapporti di forza e i piedistalli di enunciazione. Il rurale è, qui, una natura materialista, poco edulcorata e tantomeno sanificata, che fa riferimento a fatti ed ecosistemi reali, ai discorsi sul mondo e sulle strade, dove le persone abitano. L’intimità e il contatto con il rurale, prima di essere una proposizione animistica, vanno visti, infatti, come una proposta politica, per riconsiderare l’universalità della tanto citata fine del mondo quanto quella dell’impatto ambientale.

Alessia Baranello

[1] In Chthulucene. Sopravvivere su un pianeta infetto (2019) Donna Haraway racconta come nel tardo Ottocento-primo Novecento, gli etnologi europei ed euroamericani, che studiavano il gioco della matassa, rimasero sorpresi quando mostrarono le figure di filo che avevano imparato da bambini ai loro ospiti in altri paesi, i quali ne avevano già familiarità. Le figure di filo erano al contempo diverse e le stesse ovunque, e questo vale per altri giochi, come quello della campana o le ombre cinesi. Situati, da un lato, nei rituali e nei costumi della società in cui vengono prodotti, I giochi per bambini, allo stesso tempo, però, hanno qualità transculturali, di rottura spaziale e temporale.

[2] “La città e la campagna furono illuminate a giorno dai bengala, tanto che si sarebbe potuto raccogliere un ago a terra”. “Su Veroli passò un ricognitore che accese razzi luminosi sulla villa Campanari, sede del locale comando tedesco, sottostante al muro di cinta del monastero”. Le testimonianze arrivano dal sito del comune di Frosinone: https://www.comune.frosinone.it/pagina200_11-settembre-1943-il-grande-bombardamento.html

Info:

Edoardo Caimi, Marina Cavadini, Lucia Cristiani, Alice Faloretti, Oliviero Fiorenzi, Manuel Gardina, Nicola Ghirardelli, Edoardo Manzoni, Giorgio Mattia: Fare i conti con il rurale
29.04-11.06.2023
A cura di Arnold Braho
In collaborazione con Camilla Remondina
e con il patrocinio di Comune di Iseo e della galleria The Address
Fondazione L’Arsenale
Vicolo Malinconia 2, 25049, Iseo (BS)
www.fondazionearsenale.it


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