A Bologna (ogni tanto) qualcosa si muove e ci ricorda che la produzione artistica emergente può essere non solo la prima tappa di un percorso imprenditorialmente finalizzato a un auspicabile inserimento nel sistema dell’arte ufficiale, ma anche un laboratorio di idee e riflessioni, forse non ancora perfettamente “confezionate” e divulgate come avviene nel primo caso, ma proprio per questo estremamente vive nella loro cruda attinenza con le problematiche affrontate e con l’approccio sperimentale alla ricerca (che dovrebbe essere) tipico di ogni artista ancora non identificato da una precisa cifra espressiva.
Si muove in questi territori, per loro natura nomadi e liminari, la pratica del collettivo TIST – This Is So Temporary, che dal 2021 gestisce un virtuoso artist-run space a Rastignano, diretto dalla curatrice Yulia Tikhomirova e dall’artista Michele Liparesi. Lo spazio che, situato in una zona industriale in provincia di Bologna a prima vista si mimetizza tra gli altri capannoni ad uso produttivo e logistico, si propone come cantiere multimediale della contemporaneità ospitando residenze artistiche e progetti concepiti come “esperienze” in cui il pubblico è invitato a praticare forme di conoscenza trasversali, all’incrocio tra arte contemporanea e vita sociale. È precisamente in quest’alveo tematico che si colloca il progetto FARò. Pratiche Estetiche Politiche, prima edizione di una rassegna espositiva e performativa annuale immaginata come ricognizione sui processi espressivi contemporanei che militano nell’intersezione tra i campi dell’estetica e della politica.
L’evento inaugurale, tenutosi all’inizio dell’art week bolognese poco prima di Arte Fiera, ha riunito nella sede del collettivo nove artisti (Giorgina Della Porta, Michele Di Pirro, Massiel Leza, Michele Liparesi, MANINUDE, Matteo Montani, Enrico Vassallo, Uriel Schmid-Tellez e Laura Zizzi) che hanno offerto i loro diversi punti di vista sul futuro, restituendolo come trasformazione capace di opporsi alla temporaneità e alla precarietà che sembra oggi, a più livelli, paralizzare il presente. A rimarcare il collegamento tra arte, politica e società, per l’occasione è stato presentato anche il primo numero di un giornale di approfondimento tematico (con il formato di un quotidiano cartaceo) dove i contributi di Enrico Chinellato + Or Haklai (QUIZEPO Collective), Davide Ghelli Santuliana, Serendippo, Dario Sanna (collettivo Transhumanza), Mia da Schio Suppiej e Yulia Tikhomirova (collettivo TIST) sottolineano le potenzialità aggregative e trasformative di pratiche artistiche radicate nel territorio inteso come campo di indagine di nuovi modelli inclusivi e sostenibili di convivenza. A distanza di qualche settimana dall’opening, siamo andati a indagare ciò che ne resta, scoprendo un ambiente di lavoro collettivo costellato di opere, forse ancora più affascinante della mostra ufficiale, che rimarrà aperto al pubblico, su appuntamento, fino al 25 febbraio.
All’esterno della struttura siamo accolti da Faro, installazione site-specific del collettivo TIST, una vera e propria torre di avvistamento con luce fendinebbia, realizzata tramite l’assemblaggio di elettrodomestici di recupero e alimentata da pannelli solari, che d’ora in poi la sera segnalerà la presenza dell’artist-run space rimarcando la sua eccezionalità nel panorama circostante. La costruzione, sulla quale campeggia la scritta “fabbrica dell’arte resistente organizzata” indica metaforicamente ai passanti la strada verso il luogo utopico di un’arte che si vuole svincolata dalle dinamiche del mercato e del potere costituito ed è attivamente praticabile da parte dei visitatori, invitati a salire per osservare il paesaggio alla luce delle suggestioni simboliche ed estetiche che ne scaturiscono.
Si prosegue nella sala destinata alle mostre temporanee con la collettiva Languishing curata da Maria Chiara Wang, che riunisce tre giovani artisti chiamati a interpretare con media diversi la condizione di estenuazione evocata dal titolo. Giorgina Della Porta manifesta questa dolorosa stagnazione con un’inquietante grafica popolata da esseri onirici pronti a invadere qualsiasi superficie, Michele Di Pirro con una scultura in cui le riprese video di un cielo blu intenso attraversato da nuvole sono rese minacciose da occasionali interferenze nella trasmissione e dall’essere collocate sul rovescio di una tettoia di lamiere, mentre Massiel Leza identifica questa sensazione con l’ossessiva ripetizione di un mantra grammaticale (a tratti pervertito dalla voce artificiale che lo recita) e con la dissoluzione acquerellata di un grande volto alieno suddiviso in moduli rettangolari.
Da qui si passa nell’officina di progettazione del designer MANINUDE (aka Alessandro Boselli) che avvalendosi di software open source, di materiali riciclati e di altre componenti da lui espressamente progettate e costruite, ha realizzato una stampante ambientale in 3D governabile tramite joystick, che il giorno di apertura della mostra è stata sperimentalmente azionata per incidere un ceppo di legno. Le potenzialità performative e funzionali di questa sofisticata apparecchiatura semi-artigianale, tutt’ora in fase di sviluppo, ripensano in un’ottica paritaria e collaborativa il convergere di azione umana, standardizzazione meccanica e programmazione digitale.
La visita prosegue con lo studio-allestimento di Matteo Montani, protagonista assieme ad Enrico Vassallo di una performance in cui i dipinti del primo, realizzati con un particolare composto di cementite, solo bagnandosi rivelavano l’immagine di fondo, altrimenti destinata a rimanere latente. Esposti troviamo alcuni dei suoi caratteristici paesaggi mentali che, concepiti come attesa iridescente di un’apparizione generata dagli assestamenti della materia sollecitati dal suo intervento, ancorano la visione a una mutevole dimensione spirituale, che si manifesta per nascondimenti e allusioni.
Riflette sulla precarietà anche l’installazione Instabilità geologica di Michele Liparesi, che immagina un prossimo futuro (già distopico) in cui la scarsità di risorse naturali rende contingentata e difficoltosa la loro distribuzione. L’allestimento ricrea lo hub logistico di un’immaginaria (ma non troppo irrealistica) “Agenzia di smistamento di beni primari per l’essere umano” in cui ferrei protocolli tentano inutilmente di arginare l’emergenza con il linguaggio ufficiale delle burocrazie. A controbilanciare queste sinistre premonizioni troviamo gli Anti-monumenti dello stesso artista (non inclusi nella mostra ma perfettamente attinenti al tema), utopici moduli abitativi ricavati da piedistalli vuoti, che celebrano il diritto individuale alla casa nell’ottica di una riappropriazione e condivisione dello spazio pubblico.
La visita si conclude nello studio di Uriel Schmid-Tellez, che nell’installazione ambientale Solid works assembla in chiave Pop stereotipi formali e visivi tratti da architetture classiche, moderne e industriali. Le relazioni tra elementi bidimensionali (provenienti dalla segnaletica stradale) trasformati in scultura e tra frammenti di arredo urbani sintetizzati in immagine creano un’ambientazione spiazzante in cui l’istintivo appagamento sensoriale che si prova è immediatamente contraddetto dall’intuizione che tutti i costrutti rappresentati si siano definitivamente emancipati dalla scala umana alla quale in origine erano commisurati.
Info:
A.A.V.V. Farò: Pratiche Estetiche Politiche
TIST – This Is So Temporary
28.01-25.02.2023
via Vincenzo Bellini 1-3 Rastignano (Bologna)
www.instagram.com/tist.situations
Laureata in storia dell’arte al DAMS di Bologna, città dove ha continuato a vivere e lavorare, si specializza a Siena con Enrico Crispolti. Curiosa e attenta al divenire della contemporaneità, crede nel potere dell’arte di rendere più interessante la vita e ama esplorarne le ultime tendenze attraverso il dialogo con artisti, curatori e galleristi. Considera la scrittura una forma di ragionamento e analisi che ricostruisce il collegamento tra il percorso creativo dell’artista e il contesto che lo circonda.
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