Dopo aver fatto tappa a Berlino, Aruba e Amsterdam il duo artistico Felix & Mumford (alias Claire Fons, Rotterdam e Gamal Fouad, Alessandria d’Egitto) prosegue a Bologna la serie di mappature di luoghi trasformati da processi di gentrificazione iniziata nel 2012. Invitati da Gallleriapiù, che inaugura con loro la sua prima residenza artistica, si sono focalizzati sul distretto culturale Manifattura delle Arti, ex zona industriale degradata, recentemente convertita in polo culturale dopo una radicale ristrutturazione. L’area, analizzata in un articolo accademico di Giorgia Aiello che sottolinea l’arbitrarietà di un processo di riqualificazione imposto dall’alto, appare un luogo privo d’identità precisa, dove la programmatica inclusione della diversità e della produzione creativa non riesce a integrarsi nel tessuto urbano della città. Se fino agli anni ’90 la zona era associata a tutti i possibili rischi dell’abbandono, oggi la concentrazione d’istituzioni di cultura alta, come il MAMbo o la Cineteca, e di spazi frequentati da un pubblico di nicchia, come il circolo Arcigay Il Cassero o alcune gallerie private (tra cui Gallleriapiù), la rende interessante e vivace. Ciononostante un’indefinibile impressione di vuoto aleggia tra i palazzi rimessi a nuovo e i moderni edifici costruiti secondo standard europei e quest’intercapedine di non-detto esprime il disorientamento dei cittadini non adeguatamente coinvolti nello stravolgimento del loro quartiere e la percezione di segregazione spaziale dei gruppi sociali che vi sono stati trasferiti.
La ricerca antropologica e concettuale di Felix & Mumford vuole far emergere la sfuggente intersezione tra i segni di riqualificazione che compongono l’immagine ufficiale del quartiere (come la trama delle pavimentazioni, delle facciate e degli elementi architettonici decorativi) e gli angoli “sporchi” che sono stati trascurati dal rinnovamento urbano o riscritti sulle nuove superfici. Gli artisti hanno sistematicamente raccolto, classificato e selezionato i graffiti e le tag incontrati durante le loro ricognizioni del quartiere, registrandone l’esatta posizione in una mappa-catalogo che ne permette la rintracciabilità e suggerisce un percorso d’indizi che, liberamente collegati tra loro, danno vita a imprevedibili e arbitrarie narrazioni. Se i più attuali piani regolatori delle città tendono a omologare l’aspetto di certe tipologie urbane trascurando le peculiarità locali per adeguarsi ad astratti standard precostituiti, spesso l’ultima frontiera di resistenza contro la spersonalizzazione è rappresentata proprio dalla casuale stratificazione di note, commenti e interiezioni come estrema modalità partecipativa alla res publica. I valori evocativi o simbolici veicolati dalla strada riescono a catturare la memoria pubblica istantanea di un singolo o di un gruppo sociale che lasciando traccia del proprio passaggio in un luogo, contribuisce a definirlo. Queste parole trovate, frammenti casuali di auto-coscienza e auto-rappresentazione, formano nel loro insieme lo specifico compendio geolocalizzato del dissenso e dell’imprevisto a cui il duo attinge per creare la serie di dipinti presentati in galleria. Riproducendo manualmente su tela i segni anonimi che compaiono sui muri combinati con frasi e parole chiave del testo di Giorgia Aiello su stesure di colore che richiamano i materiali caratteristici del quartiere, come terracotta, alluminio e plexiglass, gli artisti restituiscono la loro analisi visiva come paesaggio semantico. La raffinata eleganza del risultato riesce a coniugare e ricomporre con inaspettato equilibrio estetico i codici visivi del piano urbanistico ufficiale e quelli di una variegata controcultura che oscilla tra street art e vandalismo.
L’essenziale rarefazione di segni propria del linguaggio concettuale e l’estrazione dal flusso del reale degli elementi strettamente inerenti al tema d’indagine materializzano in un’immagine unitaria ed efficace il complesso intreccio di suggestioni che si scontrano in questo luogo, suggerendo un possibile punto di accordo per precisare la sua latitante identità. Affascinati dalla tradizione accademica di Bologna e ispirandosi alla scuola di glossatori che tra XII e XIII secolo riscoprirono e reinterpretarono i classici del diritto romano, Felix & Mumford completano le opere in galleria e il percorso urbano individuato dalla mappa con glosse multimediali che attraverso l’utilizzo dei QR code arricchiscono ogni lavoro di ulteriori informazioni e narrazioni. L’espansione spaziale del loro lavoro, che coinvolge senza soluzione di continuità interno, esterno e virtuale, invoca un terreno comune di riflessione e di appartenenza che la ristretta e privilegiata élite dell’arte dovrebbe condividere con un pubblico più vasto per una percezione veramente obiettiva del mondo che ci circonda.
Felix & Mumford. CodeX
26 settembre-21 novembre
Gallleriapiù, Via del Porto 48 a/b, Bologna
Felix and Mumford. CodeX, Installation View, Galleriapiù, 2015
Felix and Mumford. CodeX, Installation View, Galleriapiù, 2015
Felix and Mumford. CodeX, Installation View, Galleriapiù, 2015
Laureata in storia dell’arte al DAMS di Bologna, città dove ha continuato a vivere e lavorare, si specializza a Siena con Enrico Crispolti. Curiosa e attenta al divenire della contemporaneità, crede nel potere dell’arte di rendere più interessante la vita e ama esplorarne le ultime tendenze attraverso il dialogo con artisti, curatori e galleristi. Considera la scrittura una forma di ragionamento e analisi che ricostruisce il collegamento tra il percorso creativo dell’artista e il contesto che lo circonda.
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