Fin dalla sua apertura, nel 1988, la Fondation d’entreprise Pernod Ricard ha contribuito allo sviluppo della scena culturale francese a livello nazionale e internazionale, senza puntare a una collezione propria, ma solo grazie a un’attività svolta a 360 gradi, e rivolta non solo agli specialisti del settore ma anche al pubblico più variegato. Inoltre, l’anno successivo fu istituito il Fondation d’entreprise Ricard Prize, come ulteriore sostegno e promozione dei giovani autori della scena artistica francese.
Ora, il prossimo appuntamento è con una mostra tematica che si aprirà il 16 novembre 2021 per poi proseguire fino al 22 gennaio 2022. Il titolo di questa mostra è “Narratives abstractions”, la curatrice è Marjolaine Lévy. Gli autori coinvolti sono: Laëtitia Badaut-Haussmann, Huguette Caland, Isabelle Cornaro, N. Dash, Adélaïde Fériot, Vidya Gastaldon, Mohamed Hamidi, Loie Hollowell, Seulgi Lee, Ad Minoliti, Ulrike Müller, Serge Alain Nitegeka, Rafael Rozendaal, Stéphanie Saadé, Ernesto Sartori, Daniel Steegmann Mangrané.
Il tema dell’astrazione, e il termine che definisce un certo modo di procedere del pensiero artistico moderno, a seguito del primo acquarello astratto di Kandinsky (49,6 x 61,8 cm, realizzato nel 1910, conservato al Centre Pompidou di Parigi, e che viene considerato la dichiarazione della nascita dell’arte astratta) ritorna di continuo negli anni, in mostre, ragionamenti, cataloghi, saggi critici e così via. Ovviamente, per questa mostra, la distanza da Kandinsky è enorme e il nome può essere evocato come quello di un progenitore. Peraltro, la volontà di contrapporre una qualche entità che dovrebbe essere a-figurativa a qualcosa che la lega alla “narrazione” potrebbe suonare come un controsenso, eppure alla fine bisogna convenire che le cose sono più complesse di come appaiono. In realtà, al di là di qualsiasi dichiarazione di principio e delle sue stesse istanze spirituali, lo stesso Kandinsky (e tutta la corrente del Blauer Reiter) ha vissuto questo transito con modalità contraddittorie e cioè con modalità che spesso nelle macchie della pittura e nel contrasto cromatico facevano intravedere la sottrazione che veniva effettuata ovvero la sua origine figurativa, per esempio, nella trasfigurazione di un paesaggio a massa di colore indistinguibile. E non occorre ritornare a percorrere il transito di tutta una generazione, da Malevič a Mondrian, che dal nodo figurativo sono arrivati al grado zero, cioè alla sottrazione massima e radicale, quasi maniacale e teologica. E non è nemmeno necessario soffermarsi sul valore sociale del Bauhaus e su un credo razionalista diffuso (di cui l’antesignano Loos con il suo “Ornamento e delitto” ne è la testimonianza massima), così come non occorre ripensare a Clement Greenberg, alle sue teorie della modernità, al suo transito verso la cultura delle grandi campiture non illusive dei pittori statunitensi (la cosiddetta scuola di New York, da Pollock a Barnett Newman, che in effetti transita nel giro di pochi anni dall’action painting al color field painting, tralasciando il minimalismo, considerato privo di sentimento e di passione, e con un percorso evolutivo quasi esclusivamente riferito alla storia francese e americana) o, infine, alla dicotomia tra istanza politica figurativa e alla possibilità di essere buoni comunisti negli anni Cinquanta dello scorso secolo pur praticando il verbo astratto (si veda ad esempio il caso Emilio Vedova in Italia).
Questa mostra procede, quindi, da altre premesse, e procede lungo quei confini spesso incerti che hanno visto anche figure minori operare in contesti ben distanti da quei pochi grandi centri (per esempio Parigi e New York) che hanno segnato con il crisma dell’unzione la modernità occidentale. Qui non si sta più a parlare dell’origine dell’estetica purista, quanto di altri valori che coniugano il segno primario astratto (dal quadrato al cerchio) con testimonianze ironiche, sociali, ambientali, legate all’istanza del decoro popolare ed esotico (peraltro già esaltato negli esordi delle cosiddette avanguardie storiche) e così via.
Premesse storiche e punti cardine di questo progetto espositivo sono le figure marginali di Mohamed Hamidi e Huguette Caland che fanno nascere il loro linguaggio astratto da chiare allusioni erotiche (simboli, riferimenti, narrazioni, per l’appunto) e quindi di origine figurativa: immagini spurie, e non di certo del tutto sottrattive. Altre opere che con la loro testimonianza sfidano il mito dell’assunto astratto teorizzato da Greenberg sono per esempio le ceramiche dell’attivista LGBT Ulrike Müller, le composizioni tessili geometriche di Seulgi Lee che illustrano i proverbi tradizionali coreani, i dipinti e gli ambienti di Ad Minoliti, connotati da potenti messaggi femministi.
In definitiva questa mostra, nel voler fare tabula rasa dell’assunto di Greenberg, tenta di indicare l’attuale rapporto dell’astrazione con la narrazione, con la storia e con una diversa visione del mondo. Che queste istanze in sottotraccia siano politiche, cosmogoniche, ecologiche o femministe, a modo loro, tutte queste opere qui proposte proclamano la dimensione transitiva e risolutamente contestuale dell’astrazione, proprio ciò che il modernismo di Greenberg aveva avuto la presunzione di voler sopprimere.
Fabio Fabris
Info:
AA.VV. Narratives abstractions
16/11/2021 – 22/01/2022
Fondation Pernod Ricard
1, cours Paul Ricard
75008 Paris
01 70 93 26 00
info@fondation-entreprise-pernod-ricard.com
Loie Hollowell, Birthing Dance, 2018, oil paint, acrylic medium, sawdust and high density foam on linen mounted on panel, 182.9 × 137.2 × 8.9 cm). © Loie Hollowell, courtesy Pace Gallery
Adélaïde Feriot, Insulaire (avant l’orage), 2016-2020. Piece for 1 person 170 cm tall. Velvet, cotton, partition, 520 x 520 cm. © photo Thomas Lannes, courtesy of the artist
Ad Minoliti, King 1-green, 2019, ph courtesy Peres Projects, Berlin
is a contemporary art magazine since 1980
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