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“Forme Pensiero”, ne parliamo con Arjan Shehaj

“Forme Pensiero”, ne parliamo con Arjan Shehaj

Juliet Art Magazine ha piacere di intervistare Arjan Shehaj, un giovane artista, originario dell’Albania sudoccidentale, che ha studiato Pittura all’Accademia di Belle Arti di Brera, a Milano. Nella sua pittura, l’attenzione per il gesto e una grande economia del segno liberano un’energia che configura un ordine nuovo, un invito a utilizzare l’immaginazione.

Grazia Palumbo: Forme Pensiero, così s’intitola la tua mostra personale svoltasi di recente presso la galleria d’arte Bianchi Zardin di Milano. Com’è nata la vostra collaborazione?
Arjan Shehaj: La collaborazione con la galleria Bianchi Zardin è nata alcuni anni fa, quando quest’ultima si chiamava ancora Carte Scoperte. Ho incontrato il gallerista all’inaugurazione della mostra di un concorso in cui ero stato selezionato, e da quel momento abbiamo iniziato a ragionare insieme. La mia mostra personale, inaugurata il 18 novembre 2021 e aperta fino al 19 febbraio 2022, ha avuto origine dalla necessità di raccogliere in un’unica occasione allestitiva lo sviluppo del mio lavoro, dai pensieri che si manifestano in tanti studi su carta, per poi ampliarli, dove necessario, anche in grandi dimensioni. Cerco sempre un equilibrio tra le varie forme e materiali, nelle opere presenti in mostra, per esempio, si passa dal quadrato al rettangolo, ma anche dal micro al macro. Da Bianchi Zardin pareva che ci fossero tre mostre all’interno di una: nella prima sala erano presenti alcuni lavori su tela di grandi dimensioni; proseguendo nella seconda, vi erano opere tonde in legno, che davano origine a un’installazione che giungeva fino al soffitto, sembrava quasi una galassia, con opere sporgenti dalla parete; infine, l’ultima sala della galleria ospitava una serie di disegni su carta. Così facendo, vi era l’impressione di essere in un percorso museale, anche la durata della mostra, di quattro mesi, richiama il format museale. La consapevolezza che avrei potuto trasformare la mia arte in lavoro è nata quando arrivai in Italia, nel 2004. Recuperando un filo cronologico, all’età di nove anni volevo riprodurre alla perfezione tutto quello che vedevo e immaginavo. In seguito, ho voluto imparare a dipingere in modo professionale, approfondendo le diverse tecniche: iniziai così gli studi d’arte. Dopo il liceo, decisi di iscrivermi all’Accademia di Belle Arti per diventare un artista, termine il cui significato mi era del tutto oscuro. Ora, essere un artista fa parte del mio lavoro e della mia vita quotidiana.

Come nasce la serie Forme Pensiero e che peso ha la progettualità nel tuo lavoro?
Forme pensiero è un titolo e un progetto nato attraverso riflessioni tra me e il critico d’arte Marco Tagliafierro, curatore della mostra, assieme ai galleristi Gaia Bianchi e Andrea Zardin. Penso che il titolo sia azzeccato in quanto, attraverso il pensiero, si generano e nascono forme. In alcune opere questo è più evidente, e in altre meno, grazie alle sovrapposizioni di centinaia e migliaia di linee che creano forme astratte sulle superfici. Per quanto riguarda il mio lavoro la progettualità è molto importante: dipingere e disegnare sistematicamente, e quasi quotidianamente, è una necessità che nasce da un progetto mentale che poi si materializza.

Dietro ai tuoi segni pare esserci il tentativo di estendere la percezione a una dimensione atemporale, immaginifica. Quanto c’è della realtà invece?
Dato il mio modo di lavorare e la tecnica adottata, a volte sembrerebbe che non ci sia un inizio e una fine, e, a dire il vero, tante volte nemmeno io mi rendo conto quando inizio e quando finisco. Le opere non rappresentano luoghi o forme precise, il tutto è stilizzato. Ad esempio, l’idea alla base delle opere dal titolo Mjekrra è di rappresentare delle barbe senza raffigurare il volto, mentre in altri lavori questo viso si manifesta leggermente di più. Mi interessa la presenza e l’assenza, il comparire e lo scomparire. Quasi tutta la mia ricerca artistica è basata sulla realtà quotidiana, rappresentata in modo essenziale, basta osservare i rami degli alberi nei boschi o nei parchi, tutti i loro intrecci, o quelli delle radici… Il colore presente nelle opere, come il blu o l’azzurro, possono ricordare il mare e il cielo, il rosso il fuoco, la realtà è ben presente. Chiudo col dire che tutto quello che mi serve lo trovo, basta osservare ciò che sta intorno.

E il colore che ruolo ha?
Il colore e l’ombra definiscono la forma di qualsiasi oggetto in natura, penso che sia il linguaggio universale dell’umano, immagina se il mondo fosse in bianco e nero: sarebbe una noia mortale. Il bianco e il nero tecnicamente non sono considerati colori, sono tonalità piatte, a differenza di tutte le altre, dove si nota una certa profondità.

Grazia Palumbo

Info:

Arjan Shehaj, Forme Pensiero
18/11/2021 – 19/02/2022
curata da Marco Tagliafierro
Galleria Bianchi Zardin
via Pietro Maroncelli 14, Milano

Arjan Shehaj, ritratto presso Viafarini. Ph. Emanuele Sosio Galante, courtesy l’artista

Arjan Shehaj, Mjekrra, 2020, tecnica mista su tela, cm 80 x 100. Courtesy l’artista e galleria Bianchi Zardin

Arjan Shehaj, Forme Pensiero, exhibition view. Courtesy l’artista e galleria Bianchi Zardin


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