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FRAGILE, maneggiare con cura: Cristina Gilda Artese introduce Pina Inferrera

Pina Inferrera da sempre dedica la propria indagine artistica alla Natura. Partendo da riflessioni sull’impatto della antropizzazione e dell’industrializzazione sull’ambiente e sulle conseguenze a volte disastrose ed irreversibili causate negli ecosistemi dalla diffusione dell’utilizzo delle plastiche in molti comparti industriali, la Inferrera ha voluto con diverse modalità proporre attraverso le sue creazioni degli spunti di riflessione sulla responsabilità collettiva dei danneggiamenti all’ambiente.

Lo ha fatto per esempio con i riusi di scarti industriali, con l’installazione Gocce realizzata con relitti di cabine del telefono e led, con le macro installazioni  dedicate al mondo animale e vegetale, quali le sue Crisalidi artificiali, o con i pomodori giganti di Natura Altera per parlare di ogm. La sua vuole essere una intelligente provocazione visiva che non rinuncia in ogni caso a creare bellezza. Anche trattando temi ostici, l’estetica di Inferrera non cede mai allo strumento di un incontrollato utilizzo del trash per provocare la riflessione ed il dibattito, lo dimostra il fatto che riesca  persino ad utilizzare quelli che sono degli scarti, degli avanzi destinati alla discarica, per creare forme e strutture che sono inni estetici alle bellezze naturali.

La sua ricerca negli anni, ed in particolare da quando ha iniziato a prediligere la fotografia come media espressivo principale, è sfociata in immagini sempre più rarefatte e delicate, raggiungendo in ogni caso efficacia simbolica. Proprio a dimostrazione del fatto di come non vi sia bisogno di gridare per farsi ascoltare. Inferrera racconta nei suoi paesaggi intimistici la comunione degli elementi naturali: dell’aria, della terra, dell’acqua, sui quali regna regista assoluta la luce.

La rarefazione della messa a fuoco, la tecnica della sovraesposizione, il gioco dei riflessi, hanno reso nel tempo le sue opere sempre più delle mappe di codici dell’animo da decifrare, perdendo la connotazione del racconto di un luogo e di un tempo, e casomai rappresentando uno stato emotivo. Sono diventati racconti di uno stato dell’essere, di un sentire individuale,  che come avviene  in letteratura con la migliore poesia, si tramuta in sentimento universale.

Nella recente serie Ramificazioni, dove i rami si intrecciano all’infinito divenendo ragnatele  e reti raccoglitrici di ricordi e di emozioni, lo sguardo si perde alla ricerca di un percorso, di una via d’uscita, come in un avvilupparsi interminabile di pensieri. Nelle sue ultime opere della serie Fragile, maneggiare con cura, Inferrera affronta la tematica della fragilità degli esseri viventi nella dimensione del sublime.

Le prime opere della serie hanno avuto origine nell’autunno del 2019. L’artista è partita da scatti eseguiti in Trentino in un contesto naturalistico affascinante ma austero, con l’incombenza e presenza prepotente delle montagne che imperano. In quel contesto naturalistico per certi versi estremo seppur relativamente vicino ad aree urbane, elementi vegetali delicati e spontanei  sono diventati metafora di una fragilità unica e preziosa.

Rami, parti di piccoli arbusti, minuscoli fiori, si sovrappongono perdendo totalmente la loro direzione spaziale e diventano parte di un’unica placenta sottile e trasparente. Al punto tale che diventa presso che impossibile identificarne la specie o anche solo la categoria. A quel punto l’essere vegetale diventa più genericamente una entità biologica e materia organica ed un totem spirituale. Difficile connotare l’oggetto raffigurato nella categoria delle sole piante in quanto potrebbe essere più genericamente qualificabile come un’unione di cellule, di molecole, di materia.

La materia raffigurata da Inferrera si è trasformata ed aleggia in quello stadio delicato e provvisorio dello stato di passaggio. Dell’essere per non essere. Un vegetale che è spirito e pensiero. Questa la fragilità cui allude l’Inferrera: la delicatezza dell’essere che sta mutando, che è in transizione. Nella mutazione tutti gli esseri viventi vivono un preciso momento di fragilità: abbandonano uno stato per ritrovarsi in un altro. Da lì il “maneggiare con cura”, il rispettare i tempi e la condizione, per non perderne l’intima ed assoluta bellezza.

Tutti gli esseri viventi, sia del mondo vegetale, sia del mondo animale, non sono mai uguali a se stessi: attimo dopo attimo mutano, si trasformano, muoiono e si rigenerano. Sopravvivono e resistono a qualcosa e si lasciano morire dinnanzi a ad una altra forza o energia. Abbandonano uno stato per ritrovarsi in un altro. Una mutazione chimica, biologica, alchemica continua ed incessabile, che è sintomo talvolta di caducità ma in molti altri casi è prova di resistenza adattiva nel tempo.

Ogni opera di Fragile, maneggiare con cura rappresenta una sorta di haiku visivo: evanescente, allusivo ma incisivo. Osservando alcuni di questi lavori, mi sono ricordata di un haiku in particolare, in verità assai famoso, di Fukuda Chiyo-ni che tratta di un fiore noto e citato sia nelle arti figurative (in particolar modo nelle stampe del mondo fluttuante o ukiyo-e), sia nella letteratura giapponese, l’asagoo (il cui significato è “ volto del mattino”).  Si tratta in termini botanici del convolvolo, un fiore a campanula delicato e precario, che dura un giorno solo, ma la cui pianta rampicante  si aggrappa tenacemente tanto da diventare una delle infestanti più temute dai giardinieri, in quanto inestirpabile.

Cristina Gilda Artese

Info:

Pina Inferrera. FRAGILE, maneggiare con cura
5 – 30 settembre
sabato e domenica ore 10/13 – 15/18

Vernissage: domenica 6 settembre ore 18.00
SALA VISCONTEA, ORTO BOTANICO “LORENZO ROTA”, PASSAGGIO TORRE DI ADALBERTO, CITTA’ ALTA, BERGAMO

Pina Inferrera FRAGILE maneggiare con cura 1

Pina Inferrera

Per tutte le immagini: Pina Inferrera, FRAGILE maneggiare con cura, courtesy Gilda Contemporary Art


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