Ancora pochi giorni per visitare alla galleria P420 la personale di Francis Offman (1987), artista di origini ruandesi che, dopo aver studiato Scienze dell’Amministrazione all’Università degli Studi di Milano, si è poi trasferito a Bologna per frequentare il corso di pittura di Luca Bertolo all’Accademia di Belle Arti, dove si è aggiudicato nel 2018 il premio ArtUp della critica nell’ambito di OpenTour, manifestazione annuale in cui gli studenti incontrano la città mostrando i risultati del lavoro di ricerca e creazione dell’ultimo Anno Accademico. Nel 2020 l’artista è risultato tra i vincitori del progetto Nuovo Forno del Pane, che durante i mesi della pandemia ha trasformato le sale museali del MAMbo da spazi espositivi a luoghi di creazione interdisciplinare ospitando dodici artisti, domiciliati a Bologna e selezionati tramite call, a ciascuno dei quali è stato assegnato uno spazio di produzione nella Sala delle Ciminiere, l’ambiente del museo normalmente dedicato alle mostre temporanee, per un lungo periodo chiuso al pubblico a causa delle restrizioni imposte dalla pandemia. La galleria P420, da sempre in dialogo serrato con le istituzioni cittadine nella sua doppia missione di valorizzare artisti delle generazioni passate non ancora adeguatamente valutati da collezionisti e critica e di sostenere i talenti emergenti del territorio, ha accolto con entusiasmo il pittore nella sua scuderia dimostrando intuito e lungimiranza, dal momento che tutte le opere in mostra (oltre a quelle presentate nello stand di Artissima lo scorso novembre) sono state vendute, tra cui due che confluiranno nella collezione del Castello di Rivoli, che sarà anche la prestigiosa sede della sua prossima mostra.
I quadri di Francis Offman sono tele (non intelaiate) dai contorni irregolari su cui l’artista giustappone campiture cromatiche piatte e omogenee realizzate con varie tecniche e sezioni con inserti a collage di altri materiali trovati o donati, come frammenti di tela o carta, brandelli e materiali di risulta recuperati in Accademia, vecchie lenzuola, la carta velina contenuta nelle scatole degli imballaggi e gli incarti di comuni prodotti di consumo. I risultati di queste manipolazioni, la cui meticolosa laboriosità non è subito intuibile se ci si ferma alla vivace immediatezza dell’insieme, sono potenti composizioni astratte prive di titolo che suggeriscono l’idea di una mappa o di un arazzo tribale, intenzionalmente affidate dall’autore alla libera percezione dello spettatore senza alcuna connotazione descrittiva o concettuale che suggerisca un orientamento. Per addentrarsi nella poetica e nel linguaggio dell’artista è dunque necessario fare riferimento alla sua biografia e alle conseguenti implicazioni estetiche, culturali ed emozionali che hanno determinato la sua percezione del mondo. Anzitutto l’infanzia in Ruanda, e quindi le contraddizioni architettoniche e sociali delle città dove i grattacieli convivono con le baraccopoli, i villaggi senz’acqua né elettricità, la lussureggiante vegetazione, le montagne stagliate contro il cielo e le piantagioni di tè e caffè, gestite in epoca coloniale prima dai tedeschi e poi dai belgi, dalla cui esportazione dipende ancora oggi gran parte della precaria economia del Paese, uno tra i più poveri al mondo. E proprio il caffè quotidianamente recuperato dalla moka e successivamente asciugato e setacciato con un processo di lavorazione artigianale che dura mesi è il pigmento da cui deriva quella particolare tonalità di marrone intenso e variegato che costituisce il leitmotiv di molti suoi lavori e anche il nodo simbolico di intersezione tra la sua appartenenza africana e le sue attuali abitudini in Italia.
In una recente intervista[1] Francis Offman ha raccontato che la maggior parte dei materiali utilizzati nei suoi lavori (tranne la colla con cui li assembla sulla tela) gli vengono donati e devono avere un significato: l’aspetto più interessante di questo approccio – che lo libera da una fin troppo abusata corrispondenza tra il prelievo e il vissuto a cui rimanda come ragione fondante dell’opera – è a mio avviso la capacità dell’artista di sintetizzare in un linguaggio astratto, pienamente fruibile come tale anche da chi non ne conosce l’origine, un complesso coacervo di sollecitazioni ambientali, emotive e politiche senza pretendere di legittimare lo “specifico artistico” con l’incontrovertibilità di un messaggio eticamente condivisibile. È quindi vero che negli strappi e nelle granulosità delle sue composizioni pittoriche vivono le ferite di un popolo diviso in due etnie che ha subito uno dei peggiori massacri della storia, ma anche le lacerazioni interiori di un giovane il cui padre, funzionario Onu competente in materia di emergenze umanitarie, ha dovuto trasferirsi all’estero perché minacciato di morte, fatto che ha determinato l’iniziale scelta dell’artista di studiare Scienze dell’Amministrazione a Milano nella speranza di contribuire allo sviluppo del suo Paese natale. Ma non è tutto qui. Nei molteplici livelli materici e concettuali che sostanziano i lavori di Francis Offman emerge soprattutto un potente discorso sull’arte che, pur nutrendosi dei traumi individuali, delle stratificazioni culturali e delle contraddizioni identitarie che hanno segnato la sua biografia, riesce a generare un corpo-pittura di straordinaria intensità e coerenza, di cui sarà interessante seguire gli sviluppi futuri.
[1] https://zero.eu/it/persone/dal-ruanda-al-pratello-larte-di-francis-offman-e-un-viaggio-epico/
Info:
Francis Offman
9/10/2021 – 8/01/2022
P420
Via Via Azzo Gardino, 9 Bologna
Francis Offman, 2021, installation view, P420, Bologna, ph. Carlo Favero, courtesy P420, Bologna
Francis Offman, Senza titolo, 2021, acrilico, inchiostro, carta, fondi di caffè, gesso di Bologna su lino, 111 x 97 cm, courtesy l’artista & P420, Bologna, photo credit Carlo Favero
Francis Offman, Senza titolo, 2019-2021, acrilico, inchiostro, carta, fondi di caffè, cemento Fondu, gesso di Bologna su lino, 166 x 202 cm, courtesy l’artista & P420, Bologna, photo credit Carlo Favero
Francis Offman, Senza titolo, 2021, acrilico, inchiostro, carta cinese, fondi di caffè, gesso di Bologna su lino, 24 x 40 cm, courtesy l’artista & P420, Bologna, photo credit Carlo Favero
Laureata in storia dell’arte al DAMS di Bologna, città dove ha continuato a vivere e lavorare, si specializza a Siena con Enrico Crispolti. Curiosa e attenta al divenire della contemporaneità, crede nel potere dell’arte di rendere più interessante la vita e ama esplorarne le ultime tendenze attraverso il dialogo con artisti, curatori e galleristi. Considera la scrittura una forma di ragionamento e analisi che ricostruisce il collegamento tra il percorso creativo dell’artista e il contesto che lo circonda.
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