Da più di quarant’anni Franco Vaccari (Modena, 1936) è uno dei pilastri dello scenario artistico contemporaneo italiano, sia per il suo rivoluzionario approccio al medium fotografico sia per la lucidità e la chiaroveggenza della sua riflessione critica. Con lui la fotografia, prima esclusa dagli spazi deputati all’arte, s’inserisce a pieno titolo tra le espressioni creative “istituzionali” e le sue intrinseche specificità diventano nuovi parametri concettuali ed estetici. L’automatismo dello scatto stravolge il rapporto gerarchico tra autore e strumento, mentre la sua istantaneità suggerisce l’idea di un’inedita compresenza e collaborazione tra artista e pubblico. Nella performance Maschere (1969), la prima delle sue “Esposizioni in tempo reale”, Vaccari punta l’obiettivo fotografico su singoli spettatori riuniti in una stanza buia dopo averli illuminati, lasciando loro la possibilità di nascondere il volto dietro a una maschera. Quella che propone è un’esperienza artistica completamente nuova, in cui il pubblico diviene parte e soggetto di un’azione e viene invitato a instaurare un rapporto istintivo con ciò che accade in sua presenza.
Queste riflessioni costituiscono le premesse della celebre Esposizione in tempo reale N.4 installata alla 36ª Biennale di Venezia nel 1972 (dedicata non a caso al tema “Opera o comportamento”) in cui Vaccari predispone nella sala a lui dedicata una cabina automatica per fototessere e affigge alle pareti, assieme alla propria photostrip, un invito in quattro lingue: “Lascia una traccia fotografica del tuo passaggio”. La proposta viene accolta con entusiasmo da migliaia di visitatori, che diventano a questo modo protagonisti dell’azione innescata dall’artista. La novità – scrive Vaccari – è che “per un momento chi accettava il gioco aveva uno spazio da gestire in modo autonomo, uno spazio privato immerso nello spazio pubblico, in cui era possibile dare libero sfogo al desiderio e al sogno”. Il fatto che, grazie all’apporto dei visitatori, l’opera fosse stata in grado di autoalimentarsi come un organismo sensibile alle contingenze del momento e di sfuggire al controllo dell’autore per relazionarsi in presa diretta con il contesto e il pubblico conferma l’autonomia creativa della macchina e la sua capacità di cogliere “un inconscio collettivo” che trapela dalle tracce di accadimenti apparentemente anonimi.
La fascinazione di Vaccari per la dimensione subliminale della coscienza in quanto fonte di esperienze estetiche, da cui deriva anche il concetto di inconscio tecnologico in riferimento alle informazioni involontarie veicolate dalla fotografia, sfocia nella sua ricerca sul tema del sogno. Per l’Esposizione in tempo reale N.9: i sogni l’artista nella notte del 25 febbraio 1975 invita alcune persone a dormire nella galleria di Piero Cavellini a Brescia e il giorno successivo chiede agli astanti di raccontare i propri sogni per poi esporre le loro testimonianze assieme alla documentazione Polaroid delle fasi che hanno preceduto il sonno. Anche l’attività onirica, come la fotografia, neutralizza la volontà del soggetto per dare spazio a messaggi frammentari che scaturiscono da una rielaborazione spesso disordinata di ciò che ci accade da svegli. A Vaccari, che a partire dai primi anni ’80 inizia a registrare le sue visioni notturne in un libro dei sogni in cui parole e immagini sostituiscono l’impressione fotografica, non interessa quindi l’aspetto surreale del sogno, ma l’incontrollata esposizione di sé che esso implica e le sue imprevedibili intersezioni con la realtà.
Parte da queste premesse la mostra Migrazione del reale, prima personale dell’artista modenese alla galleria P420 di Bologna, incentrata su una serie di stampe fotografiche su tela che ritraggono alcune pagine di quei taccuini dei sogni. La galleria è immersa nella penombra e una luce illumina ciascun quadro solo quando il visitatore vi si accosta, come se in uno stato liminare della coscienza si addentrasse con circospezione in un sogno altrui per abitarlo con i propri desideri e fantasie notturne. Ancora una volta, anche se con modalità apparentemente più fredde rispetto alle sue celebri performances, l’artista chiede al pubblico di partecipare all’ideazione dell’opera, che acquisisce spessore evocativo proprio grazie al suo contributo immaginifico. «Il sogno – spiega Vaccari – funziona da attivatore di realtà, cioè da pretesto per dirottare una situazione apparentemente definita verso esiti imprevisti, verso il reale inaspettato».
I suoi diari, la cui decifrazione procura un piacere intrigante e quasi voyeuristico, accennano a situazioni di carattere ordinario che la rimasticazione onirica rende sconclusionate ma misteriosamente rivelatrici. Tra mostre immaginarie, abbozzi di scene familiari rese kafkiane da improvvisi nonsense, deltaplani trainati da aerei, sacerdoti russi, figlie che si trasformano in api e aquile con il berretto, il mondo reale sembra svuotarsi di concretezza mentre gli elementi illogici del sogno assumono un’inquietante necessità. La scrittura a mano è accompagnata da disegni espressivi e cromaticamente violenti in stile transavanguardia in cui pochi tratti essenziali a pastello rileggono sgrammaticati residui di quotidianità (la routine colta di Vaccari, però, di cui fanno parte Majakowskij, i pittogrammi di Capogrossi e le latrine di un cinema di New York) facendo sprofondare l’osservatore in un dedalo di mondi paralleli.
Queste fantasie verbali e pittoriche non perdono il carattere di inventariazione imparziale delle Esposizioni in tempo reale: alla datazione del taccuino, presumibilmente prossima all’esperienza onirica, si affianca quella talvolta un po’ differita del disegno e poi quella della realizzazione della tela fotografica, successiva di qualche decennio. Lo sfasamento temporale tra l’esperienza inziale, la sua prima registrazione manuale e la sua catalogazione tramite l’obiettivo fotografico sembra dilatare a dismisura i corto circuiti video in cui Vaccari all’inizio della sua carriera si confrontava con la propria immagine, scoprendosi il primo spettatore di sé stesso, e stimolava il pubblico a sperimentare un analogo ritorno delle proprie azioni. Un eclatante e visionario cambiamento di scala, sia spaziale che temporale, conclude platealmente la mostra nel video Oumuamua (messaggero che arriva per primo da lontano) che documenta, con una sequenza presa in prestito a un osservatorio astronomico californiano, la traiettoria dell’asteroide interstellare che nel 2017 (lo stesso anno in cui Vaccari realizza le fotografie della mostra) si avvicinò pericolosamente alla Terra. Il masso celeste, che tra 120 miliardi di galassie, ciascuna popolata da milioni di stelle distanti tra loro miliardi di anni luce, attraversa il campo gravitazionale terrestre per poi sparire nel nulla è l’ingombrante sogno di un telescopio spaziale con l’obiettivo spalancato sull’infinito.
Info:
Franco Vaccari. Migrazione del reale
25 gennaio – 21 marzo 2020
P420
Via Azzo Gardino 9 Bologna
Franco Vaccari, Migrazione del reale, 2020, installation view, P420, Bologna ph. Carlo Favero
Franco Vaccari, Sogno del 2/6/1983, 2017, mixed media and photo print on canvas, cm 80 x 60 ph. Carlo Favero
Franco Vaccari, Sogno del 16/11/1984, 2017, mixed media and photo print on canvas, cm 80 x 60 ph. Carlo Favero
Franco Vaccari, Sogno del 25/9/88, 2017, mixed media and photo print on canvas, diptych, cm 70 x 100 ph. Carlo Favero
Franco Vaccari, Migrazione del reale, 2020, installation view, P420, Bologna ph. Carlo Favero
Laureata in storia dell’arte al DAMS di Bologna, città dove ha continuato a vivere e lavorare, si specializza a Siena con Enrico Crispolti. Curiosa e attenta al divenire della contemporaneità, crede nel potere dell’arte di rendere più interessante la vita e ama esplorarne le ultime tendenze attraverso il dialogo con artisti, curatori e galleristi. Considera la scrittura una forma di ragionamento e analisi che ricostruisce il collegamento tra il percorso creativo dell’artista e il contesto che lo circonda.
NO COMMENT