Uccidi l’unicorno di Gabriele Sassone (insegna Critical Writing alla Naba a Milano) è un libro che consigliamo di leggere a tutti quelli che si occupano di arte contemporanea ma anche a tutti gli altri perché parla del mondo, della vita, di noi. L’intreccio tra il personale e il politico, il pubblico e il privato, la storia dell’arte e la storia personale di chi la racconta, è risolto dall’autore con un geniale espediente narrativo. Il protagonista deve preparare per l’indomani mattina un intervento a un convegno su L’arte nell’epoca dei social media.
Ha una notte a disposizione durante la quale i suoi ricordi, gli affari personali, i suoi drammi, pensieri, convinzioni si risvegliano e prendono il sopravvento a ogni slide che pensa di inserire nel suo discorso. A cominciare dalla giovinezza: il titolo Uccidi l’unicorno è preso dalla canzone Gutter Ballet dei Savatage “una delle più raffinate metal band di sempre”. Il nostro vuole uccidere l’unicorno afferrandogli il corno a mani nude. “L’unicorno è la giovinezza tornata per uccidermi… E io mi pento di non essere mai stato giovane: avevo sempre un obbiettivo”.
E noi passiamo la notte accanto a lui seguendolo nel suo viaggio, all’interno dei suoi studi sulla storia dell’arte, delle sue letture, della casa, dei rapporti con la famiglia, del suo vissuto, dei libri letti, dei film visti, di persone incontrate, di osservazioni fatte, di pensieri sull’oggi e sul domani, nel presente e nel futuro, nei rapporti con la politica, con le figure degli artisti, nel suo muoversi nel mondo dell’arte milanese e internazionale.
Lo seguiamo nel suo costruire l’intervento muovendosi tra la grotta di Lascaux, il Grande Vetro di Duchamp, la Cia, le poesie di Di Ruscio che scrive e lavora da operaio, il testo di Volponi in cui si animano gli oggetti di un ufficio, Van Gogh e la sua stanza, Federigo Tozzi, Cesare Brandi, Jules Verne, Paul Preciado, Giuseppe Berto, John Dewey. Lo seguiamo mentre parla del mercato dell’arte, delle sue esperienze come aiuto in galleria, di venditore, del discorso come inizio e fine dell’arte contemporanea, così come della moglie, del figlio che si sveglia, delle sue avventure giovanili e di quelle più recenti, le frequentazioni di galleristi, l’amico aspirante pittore, la violenza giovanile, gli studio visit.
Lo seguiamo in questa riflessione disincantata sul sistema dell’arte che tutti possiamo sottoscrivere per via di questo intruglio che è la nostra vita indissolubilmente legata all’arte che frequentiamo, per cui lavoriamo, scriviamo e da cui non potremmo staccarci. Ma sempre con un pensiero che ci assilla: dovremo dare ragione a Johann Karl Friedrich Rosenkranz dal cui Estetica del brutto, 1853, l’autore cita: “il sistema dell’arte non solo è grottesco ma è anche grossolano, lascivo, rozzo, lubrico, buffonesco, osceno, ripugnante, goffo, orrido, e nauseante. e aggiunge: è spettrale, demoniaco, stregonesco e satanico?”
Finalmente spuntano le luci dell’alba, il libro sta finendo e andiamo al convegno con lui e noi possiamo cominciare a fare la nostra “notte”, ricordando quella rete di collegamenti che stimola ognuno di noi a comporne una analoga, la nostra rete.
Info:
Gabriele Sassone. Uccidi l’unicorno
Epoca del lavoro culturale interiore
Il Saggiatore
Emanuele Magri insegna Storia dell’Arte a Milano. Dal 2007 scrive dall’estero per Juliet art Magazine. Dagli anni settanta si occupa di scrittura e arti visive. Ha creato mondi tassonomicamente definiti, nei quali sperimenta l’autoreferenzialità del linguaggio, come “La Setta delle S’arte” nella quale i vestiti rituali sono fatti partendo da parole con più significati, il “Trattato di artologia genetica” in cui si configura una serie di piante ottenute da innesti di organi umani, di occhi, mani, bocche, ecc, e il progetto “Fandonia” una città in cui tutto è doppio e ibrido.
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