Tra Audrey Hepburn e Ava Gardner, Elisabeth Taylor e Veruschka, il celebre fotografo Gian Paolo Barbieri, che è ospitato con sue opere al Victoria & Albert Museum a Londra e in altri musei internazionali, ha percorso nella sua carriera la strada della bellezza, scattando foto memorabili per il mondo fashion e reportage su paesi lontani, culture esotiche e sulla natura. Un nuovo splendido film, presentato di recente al Biografilm Festival di Bologna, ne racconta la vita e gli incontri folgoranti. “Gian Paolo Barbieri. L’uomo e la bellezza”, diretto da Emiliano Scatarzi, che firma la sceneggiatura con Federica Masin, ha meritatamente vinto l’Audience Award Biografilm Art & Music 2022 del pubblico. È affascinante ascoltare i pensieri e i ricordi di Barbieri, ancora attivo nonostante la malattia del Parkison che lo accompagna da anni. Barbieri lavora con inesauribile creatività e stile personalissimo per clienti speciali e campagne pubblicitarie, lucido e critico, sempre curioso rispetto all’arte e alla cultura contemporanea. L’artista, che ha pubblicato svariati libri e lavorato per molti couturiers tra i quali Valentino, Versace, Ferré, Armani e Yves Saint Laurent, è nato a Milano nel 1935 da una famiglia di commercianti di tessuti, quindi fin da piccolo è stato a contatto con il mondo della moda. Iniziò a lavorare per il teatro come scenografo, costumista e attore (era un ragazzo elegante e bellissimo) per poi spostarsi a Parigi come assistente del fotografo di Harpeer’s Bazaar Tom Kublin. Nel 1964 aprì il suo studio a Milano iniziando la sua lunga collaborazione con Vogue Italia e con le riviste internazionali del gruppo Condé Nast. Il suo grande amore per il cinema e per l’arte lo ha sempre ispirato per ricreare immagini dettagliate, citando ad esempio capolavori del Futurismo, o anche fuori dagli schemi, come quando a Port Sudan fece sollevare un cammello con una gru, una fotografia molto iconica. Nel biopic lo vediamo mentre lavora al grande formato con le Polaroid e in momenti importanti nei set o nel suo studio e durante i molti viaggi da lui intrapresi, come quello a Tahiti negli anni ‘90 dove ritrasse bellissimi corpi nudi e tattoos. Abbiamo intervistato il regista Emiliano Scatarzi, classe 1973, che aveva già lavorato per un video con il Maestro e con la Fondazione Gian Paolo Barbieri.
Manuela Teatini: Cosa vorresti raccontarci del tuo incontro con Barbieri ?
Emiliano Scatarzi: L’incontro con Barbieri mi ha cambiato la vita. In quel periodo ero un giovane pubblicitario piuttosto arrogante, abituato a muovermi su set commerciali in un ambiente spesso frequentato da squali. Quando nel 2001 mi hanno proposto di fare un lavoro video di backstage con l’artista sul calendario GQ con Monica Bellucci, non mi aspettavo di essere accolto personalmente con grande semplicità ed eleganza da lui. Poco dopo quell’incontro ho lasciato il mondo pubblicitario e fondato la Onlus “Fotografi senza frontiere” per una decrescita consapevole, anche se difficile, realizzando reportages e laboratori di fotografia in aree critiche del mondo. Adesso, dopo tre anni di lavoro sul film, ho capito che questo processo di cambiamento è iniziato proprio nel 2001 e che Gian Paolo con la sua personalità generosa e sensibile, mi ha reso una persona migliore.
Come avete lavorato sul progetto del film biografico?
Non è stato facile, il percorso è durato tre anni. Il nostro film è una produzione indipendente di Moovie con la Fondazione Gian Paolo Barbieri e la collaborazione di Leica. Il ruolo principale lo ha sostenuto soprattutto Federica Masin, che è co-autrice e produttore: lavorando da tanti anni nell’industry, è stata la nostra figura di esperienza. Senza di lei non avremmo potuto approcciare un film talmente impegnativo in maniera così professionale e avere da subito molte richieste internazionali.
Come è stato immaginato e costruito il film?
È iniziato riguardando nel mio archivio un po’ di riprese che avevo fatto a Gian Paolo durante il backstage per il calendario. Pensavo che avrei dovuto fare un film su di lui. Così ho contattato Emmanuele Randazzo, Presidente e Direttore della Fondazione, e ho scoperto che stavano pensando a me per propormi un documentario. Le cose partono bene quando le stelle sono favorevoli e accadono in modo naturale, tutto si muove senza problemi. Da quel momento io e Federica Masin abbiamo iniziato a girare con la macchina fotografica Leica di Gian Paolo che riprende in 4K. Questa è stata una mia scelta artistica, come per instaurare un legame esoterico con lui. Giravamo quasi tutto macchina a mano per dare libertà ai movimenti e lasciare qualcosa di sporco e naturale, come nelle Polaroid. Tranne le interviste con le “Talking Heads”, fatte rigorosamente con il cavalletto. Soprattutto Martina Corgnati, bravissima critica d’arte che ha sostenuto tutto il film insieme alle testimonianze di Laura Asnaghi, Benedetta Barzini, Marpessa, Monica Bellucci, Dolce & Gabbana, Giuseppe Zanotti, Nicola Erni (importante collezionista delle opere di Barbieri), Nikolaus Velissiotis e altri. Quando finalmente è salito sul nostro carro Moovie, il film ha iniziato a funzionare con una troupe vera e propria. Procedendo nel racconto, abbiamo dovuto fare una selezione molto difficile delle opere di Gian Paolo con un’attenzione religiosa. Sono agnostico ma credo nella sacralità di alcune cose e per me lavorare sull’immenso archivio di Gian Paolo era trattare qualcosa di assolutamente sacro. Ho fatto appello alla mia sensibilità, ma è stato un momento molto sofferto.
La colonna sonora è molto bella ed elegante. Da chi è stata scritta e arrangiata?
La musica originale del film è stata composta da Cesare Picco, molto bravo e lungimirante. Lui è venuto con noi soprattutto perché condivideva la passione per Gian Paolo che animava tutta la troupe e perché ha creduto nel progetto: ora è nostro produttore associato.
Qual è secondo te la parte più commovente ed emotiva del film?
La parte più commovente per me è quando Gian Paolo afferma: “Non ho rimpianti, ma quando giravo con la macchina fotografica per il mondo a trent’anni non mi rendevo conto di essere felice”. Questo è un assioma assoluto che spiega qualcosa in cui tutti si riconoscono e quello, secondo me, è il momento più emozionante ed è anche l’ultimo input del film. Oltretutto quella frase me l’ha detta il primo giorno di riprese dell’intervista per il film. Si parte dall’inizio e si finisce con l’inizio.
Quali sono i tuoi riferimenti fotografici e cinematografici?
I miei riferimenti a livello fotografico sono sicuramente Giacomelli, Mulas e Ghirri. Nel cinema i miei riferimenti sono un classico totale, a partire da Bunuel, Orson Welles, Hitchcock, Fellini, Kubrick, Herzog e, naturalmente, tutta la commedia italiana. E poi tutti quei mostri sacri che erano strepitosi negli anni passati, come il grande regista siciliano Vittorio De Seta che utilizzava un linguaggio sporco: a me piace molto perché sono fermamente convinto che la bellezza stia nell’imperfezione.
Per tutte le immagini: Gian Paolo Barbieri. L’uomo e la bellezza, ph. credits Emiliano Scatarzi, courtesy Moovie
Manuela Teatini, film maker e giornalista, si occupa di arti visive, in particolare di cinema, fotografia e arte contemporanea. Ha scritto come free-lance per anni con VOGUE, Uomo VOGUE, ELLE e altre testate di cinema, arte e nuove tendenze. È autrice e regista dei docufilm “ART BACKSTAGE. La passione e lo sguardo” (2017), “MASSIMO MININI. Story of a Gallerist” (2019), “GIOVANNI BOLDINI. Il Piacere. Story of the Artist” (2021) premiato al Terra di Siena International Film Festival 2021.
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