Giovanni Chiamenti: Interspecies Kin

Quella di Giovanni Chiamenti (1992) è una ricerca approfondita, un dialogo continuo tra arte e scienza che affronta tematiche estremamente attuali, ponendo l’attenzione su attori troppo spesso ignorati, come batteri, microorganismi ibridi e bioplastiche. Una pratica transdisciplinare che ha dato vita a un bestiario immaginario, descritto nel corso di questa conversazione.

Edoardo Durante: Ho avuto il piacere di visitare il tuo ultimo progetto, sviluppato all’interno del suggestivo ambiente di Spazio Volta, Interspecies Kin: un vero e proprio archivio nel quale sono raccolte decine di specie organiche sviluppatesi sul pianeta Terra in un ipotetico futuro. Sono rimasto colpito dal concetto di ibridazione animale e vegetale…
Giovanni Chiamenti: Il titolo stesso è piuttosto esplicativo: ho preso in prestito il termine kin dal vocabolario di Donna Haraway, dal momento che sono interessato al concetto di parentele, interspecie in particolare. Oggigiorno è evidente come sia fondamentale comprendere la necessità di coesistere e convivere con altre creature, con l’Altro rispetto all’umano, al fine di rispettare tutti gli organismi che contribuiscono allo sviluppo e alla sopravvivenza del nostro pianeta. In particolare, il ciclo di lavori prende ispirazione da Elysia Chlorotica, un gasteropode marino in grado di eseguire la fotosintesi clorofilliana inglobando parte dei cloroplasti contenuti nelle alghe di cui si ciba: è un perfetto esempio di ibrido interspecie, un ibrido animale-vegetale. Uno dei punti centrali della mia ricerca è il tentativo di concettualizzare un nuovo glossario organico, un archivio contenente specie che un giorno potrebbero popolare il pianeta: alle opere realizzate nel 2021, attraverso una sorta di ibridazione linguistica, ho applicato una pseudo-nomenclatura scientifica che prevede anche l’utilizzo di aggettivi immaginari. Le opere presentate all’interno di Interspecies Kin sono state intitolate con una coppia di lettere e le coordinate geografiche che indicano gli ipotetici luoghi dove questi organismi potrebbero trovarsi, trasformando così lo spazio espositivo in una sorta di non-luogo caratterizzato da coordinate provenienti dagli abissi di tutto il globo.

Come nasce l’idea per questo progetto?
Interspecies Kin ha una doppia origine: il progetto parte da una visione fantascientifica che trova un sostegno su dati reali provenienti da ricerche approfondite in ambito microbiologico e geologico. Ad esempio, l’Ideonella sakaiensis è un batterio in grado di assimilare e deteriorare le microplastiche che infestano i nostri mari, o, ancora, la scoperta dei larvacei giganti o Bathochordaeus, i quali sono in grado, attraverso un filtro esterno, di raccogliere gli scarti e le microplastiche ed espellerle attraverso le feci in un secondo momento. Se da una parte osserviamo come il batterio Ideonella sakaiensis possa ridurre in parte il quantitativo di plastiche sparse nell’oceano, i cosiddetti giant larvaceans apportano un ulteriore inquinamento, trasportando microplastiche sul fondo degli oceani.

In che modo ritieni si sia evoluta la tua produzione artistica durante gli anni?
Sicuramente oggi mi rendo conto di affrontare certi argomenti con maggiore consapevolezza. Ho iniziato a trattare il tema della plastica nel 2019 attraverso opere realizzate con le più moderne tecniche di stampa e stereolitografia 3D, ma in maniera non sufficientemente approfondita, rimanendo in superficie. Negli ultimi anni ho cominciato a trattare tematiche legate all’ambiente, facendomi affiancare da professionisti provenienti dal mondo scientifico per poter sviluppare progetti transdisciplinari in grado di avere un ruolo in parte divulgativo o perlomeno catalizzatore di idee. Ancora oggi mi servo della tecnica del raku americano, poiché nel tempo subisce trasformazioni a livello cromatico, dovute all’ossidazione dei metalli, come l’ossido di rame e il nitrato di argento nero, che compongono le tinte di cui sono rivestiti. Ho realizzato così una sorta di parallelismo tra le trasformazioni che la Elysia Chlorotica subisce compiendo la fotosintesi clorofilliana e cambiando colore di conseguenza, e una trasformazione chimica come quella che i miei lavori installativi presentano.

Precedentemente hai citato gli studi di Donna Haraway; ritengo ci siano spunti riconducibili anche alle tesi di Timoty Morton o a quelle postumane di Rosi Braidotti. La tua pratica dialoga perfettamente con campi disciplinari apparentemente distanti dal mondo dell’arte, come scienza e tecnologia…
Le mie opere sono profondamente legate al concetto di ibrido; ritengo che il mio lavoro non sia solo artistico, ma sostenuto da tesi oggettive e reali: proprio come uno scienziato in laboratorio ricerca senza sosta di approfondire e compiere nuove scoperte, così dovrebbe lavorare un artista, almeno secondo il mio parere.
Negli ultimi anni diversi artisti di fama internazionale, come Olafur Eliasson e Tomás Saraceno, hanno approfondito tematiche ambientali, ma non direttamente relazionate al cosiddetto climate change, bensì orientate a indagare gli elementi naturali per quello che sono: Eliasson inizialmente era particolarmente interessato ai temi legati alla luce solare, Saraceno ha studiato per anni il vento e la capacità dei materiali di librarsi in aria. Questi sono solo alcuni esempi di macro-tematiche che, con il passare degli anni, sono state sempre più approfondite; siamo in un qualche modo testimoni di un passaggio dalle macro alle micro-tematiche.

Come si sviluppa l’installazione e in che modo hai dialogato con un ambiente così particolare come quello di Spazio Volta?
Spazio Volta si sviluppa all’interno di quella che è stata una fontana pubblica risalente al periodo medioevale, perciò un luogo che è sempre stato connotato dall’elemento acquatico. Grazie alla stretta collaborazione con il community biolab Genspace di Brooklyn, ho avuto la possibilità di approfondire lo studio e la sperimentazione di bioplastiche che derivano da due polimeri naturali: il chitosano, che in natura si trova all’interno dei gusci di molluschi e crostacei, e la carragenina kappa, contenuta all’interno di alcune tipologie particolari di alghe. Utilizzando questi due differenti polimeri ho iniziato a creare plastiche biodegradabili. La carragenina kappa, in particolare, ha la capacità, una volta immersa nuovamente nell’acqua, di tornare allo stato gelatinoso originale per poi scomparire del tutto. La mostra nasce perciò dalla volontà di dimostrare come gli organismi che abitano quello che noi conosciamo come deep blue, le profondità marine, assimilino regolarmente materiali plastici che inquinano il mare, diventando così essi stessi in parte composti di microplastiche.

È evidente come il tuo intento fosse quello di creare un ambiente, una sorta di microcosmo, abitato dalle creature ibride che hai realizzato…
L’obiettivo durante la fase di progettazione era di creare un micro-ambiente, o un micro-mondo, trattando una tematica che si sposasse perfettamente con la storia del luogo stesso. L’elemento principale è il corpo centrale, SO 13°53’56”N 153°41’29”W, sospeso al centro dello spazio, mostra al pubblico il processo evolutivo della bioplastica che, a contatto con l’acqua, si disgrega e torna allo stadio originario.

Non mi resta che domandarti, a questo punto, quanto sia importante il termine “ecologia” nella tua produzione…
È fondamentale e viene rielaborato attraverso un’estetica del tutto personale. Il mio lavoro ha una doppia matrice: la base è scientifica, ma la restituzione formale proviene dal mio immaginario, non è in alcun modo relazionata a forme reali, piuttosto ad aspetti fantastici e fantascientifici.

Una sorta di compensazione…
Sì, direi di sì. Una sorta di bestiario immaginario che denuncia una condizione e fornisce spunti di riflessione su tematiche contemporanee.

Edoardo Durante

Info:

Giovanni Chiamenti, Interspecies Kin
Spazio Volta
piazza Mercato delle Scarpe, 24129 Bergamo
spaziovolta.com/giovanni-chiamenti/

Giovanni Chiamenti, Interspecies Kin, 2022, installation view, Spazio Volta, Bergamo. Ph. Riccardo Giancola, courtesy l’artista e Spazio Volta

Giovanni Chiamenti, Interspecies Kin, 2022, installation view, Spazio Volta, Bergamo. Ph. Riccardo Giancola, courtesy l’artista e Spazio Volta

Giovanni Chiamenti, Interspecies Kin, 2022, dettaglio, Spazio Volta, Bergamo. Ph. Riccardo Giancola, courtesy l’artista e Spazio Volta

Giovanni Chiamenti, Interspecies Kin, 2022, dettaglio, Spazio Volta, Bergamo. Ph. Riccardo Giancola, courtesy l’artista e Spazio Volta

Giovanni Chiamenti, Interspecies Kin, 2022, dettaglio, Spazio Volta, Bergamo. Ph. Riccardo Giancola, courtesy l’artista e Spazio Volta


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