Non tutti sanno che la poesia, essendo figlia di una materia incandescente, si deve leggere silenziosamente, quasi di nascosto, perché pare custodisca il segreto del pensiero. Tu, caro Giulio, ti sei schiuso e hai saputo leggerla “sotto un cielo tutto azzurro”, proprio come una lunga e sussurrata confidenza. E se è vero che il temperamento guida l’artista, tu hai fatto ciò con sorprendente freschezza e un senso creativo spontaneo, dal fremito giocondo. Oltretutto, in un tempo attuale in cui i pittori veri sono davvero insoliti, magari perché si lasciano ingannare dalle mode effimere e dalle apparenti adulazioni del facile successo come in una folla di maschere dai tanti colori, tu sei una raggiante e limpida rarità. Ma è possibile, e a quale prezzo, conoscerti meglio? Lasciaci entrare allora nel tuo intimo laboratorio di artista, in cui per un quadro terminato ne celi molti altri e laddove intravediamo un’opera splendida, che vogliamo a tutti i costi possedere per l’estetismo affabile e raffinato, tu intanto, con la tua severità meditativa, la nascondi considerandola semplicemente “un lavoro”.
Del resto, siamo certi che di tutte le verità tu tocchi quella più sicura, perché riveli senza indugi le radici della tua ricerca, consapevole come sei che la bellezza, per essere tale, debba trasgredire alle regole. In questo modo, imponi i ritmi pittorici secondo intervalli regolari, in cui il gioco del pennello modella un corpo sinuoso a tratti davvero generoso che, tuttavia, alcune volte lascia volontariamente degli spazi vuoti, così da far respirare la materia, ora più consistente ed espansa. Altre volte, invece, per una tua curiosa volontà, ripulisci con un panno la tela, generando degli aloni chiari, poiché pare tu sia alla ricerca dello scheletro dell’immagine, considerando come ti è nemica la regolarità e quanto ami rivolgere all’imperfezione una equanime benevolenza, sino ad opporti alla forma intesa soltanto come fine. La tua mi sembra una incessante tenacia volta a mutare le creazioni, giungendo ad annullarle o a modificarle, un atto che rivela la consapevolezza di come le tue opere abbiano un’anima arroventata da un inconfessabile senso di purezza.
Si può parlare di una narrazione di momenti privilegiati, in quanto si rivelano intimi e paradigmatici di curiosità personali. Così i tuoi soggetti vivono per il loro approccio squisitamente relativo, fatto di limpide fughe di sguardi e ambigui giochi prospettici. Da ciò prende vita la compresenza di momenti essenziali della tua ricerca, secondo cui il colore è forma d’estasi, ma soprattutto ragione costruttiva della tela, della vita tutta. Tu hai inteso con lucidità come imprimere un sugello all’essenza del reale e c’è da chiederti se invece l’immaginazione la cogli. Essa sembra assente. Ciò che viene utilizzato da una moltitudine di pittori, con te è soggetto proibito, poiché ti poni lontano dalle mitologie e dei vagheggiamenti attuali. Così sfiori il tema del giardino, della finestra, di una veduta, in cui si racchiude la geografia di un mondo ridotto, per quanto ogni cosa possiede un luogo. Sei fautore di una pittura in quanto esperienza di vita vissuta, senza mai toccare nessuna pedanteria e fatua meticolosità, e tutto ciò è utile a rivelare il tuo amore verso una ricerca dalla felicità sonora perché indifferente ai rumori delle speculazioni attuali.
Conta poco l’ordine pittorico; allora ti invito a riflettere chiedendoti: come domi questa essenziale necessità di porti al di là dell’ordine? Su questo tema mi torna in mente quanto affermava Carlo Carrà, un artista a te caro, sostenendo che la noncuranza è necessaria nell’arte, ma è questione di sfumature, guai a caricare le dosi. In altre parole, involontariamente e senza alcuna ostinazione, tu elabori un equilibrio di una metafisica immanente ed elegiaca, che unisce le figure e gli oggetti decifrando il mistero che si annida nell’anima del tuo mondo. Ma soprattutto, dipingendo con pennellate a tratti stirate e confuse, doni forma e forza alle cose, vivi l’aria che li sposta come per effetto di una magia. Tutto ciò è distintivo, perché ci offri i soggetti mantenendoli sospesi anche se in movimento, fino a rendere tangibile il cielo azzurro che li sovrasta.
Questi ragionamenti appaiono vaghi eppure, forse, non poi così tanto lontanati dalle tue intenzioni, poiché ci inducono a scoprire una doppia mancanza del tuo processo pittorico: l’assenza di una chiusura, che così conduce a una apertura aerea e impalpabile, e la conseguente privazione di un ordine. Quali dei due aspetti afferra la tua segreta e poetica visione pittorica? In entrambi gli aspetti tu ti rifletti, abbandoni alla libertà le tue figure e le lasci svincolate dalla schiavitù di un fondale pittorico, utilizzando una flessione verso gli impasti chiari, nitidi, distesi, sempre riposati. Faresti gridare all’anatema qualunque pedissequo pittore, proprio per la tua assenza di regole, poiché tu le stabilisci solo in atto, con la tua attenzione verso il tono, prima come valenza espressiva, poi in quanto pigmento materico.
Un’ultima riflessione: circa questo tuo necessario disordine, è consequenziale rievocare la memoria del giovane Emilio Vedova, la cui ricerca è sì tanto differente dalla tua, ma essendo tu in subbuglio proprio quanto lui, è condivisibile il temperamento d’ascolto e di riflessione con il fine comune di allargare il campo pittorico a una qualità non illusoria. Ebbene, Vedova racconta di quando a scuola un giorno fosse in preda al panico perché la curva di un disegno non riusciva simmetrica rispetto all’altra, così prese la tavoletta – strumento delle sue torture – e la scaraventò lontano facendo sobbalzare i certosini pittori che gli stavano accanto. Proprio in quel frangente nacquero le sue prime opere più brillanti. Tu, caro Giulio, in un certo senso ci fai trasalire allo stesso modo, ci conduci sia al di là dell’ordine sia al di qua della tua anima da pittore, pregna com’è di nuda franchezza, forte d’audacia, rimanendo cifrata di una sempre viva letizia e di un lucente splendore.
Maria Vittoria Pinotti
Info:
Giulio Catelli, Sotto un cielo tutto azzurro
28/03/2023 – 12/05/2023
Galleria Richter Fine Art
Vicolo del Curato 3, 00186, Roma
Maria Vittoria Pinotti (1986, San Benedetto del Tronto) è storica dell’arte, autrice e critica indipendente. Attualmente è coordinatrice dell’Archivio fotografico di Claudio Abate e Manager presso lo Studio di Elena Bellantoni. Dal 2016 al 2023 ha rivestito il ruolo di Gallery Manager in una galleria nel centro storico di Roma. Ha lavorato con uffici ministeriali, quali il Segretariato Generale del Ministero della Cultura e l’Archivio Centrale dello Stato. Attualmente collabora con riviste del settore culturale concentrandosi su approfondimenti tematici dedicati all’arte moderna e contemporanea.
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