READING

Giulio Catelli, Gianluca Di Pasquale, Andrea Grott...

Giulio Catelli, Gianluca Di Pasquale, Andrea Grotto: le ragioni di una domanda

Talvolta si avverte l’esigenza imperiosa di non voler sentire e allorquando ci viene posta una domanda, rispondiamo con leggerezza e libertà d’intuito. In realtà, in una parola incompresa, mal udita e forse taciuta si schiudono orizzonti interpretativi nuovi e ampi come voler raccontare un mondo gaio, increspato da un riso intelligente, sintomo di esperienze, questioni e dubbi. In tale alone di sentimento si pone la mostra e se non gridi non ti sento, ridi?, con le opere di Giulio Catelli, Gianluca Di Pasquale e Andrea Grotto, in programmazione presso la Galleria Richter di Roma sino al 9 settembre 2024.

Giulio Catelli, Gianluca Di Pasquale, Andrea Grotto, “e se non gridi non ti sento, ridi?”, installation view at Galleria Richter Fine Art, courtesy Richter Fine Art, Roma, ph. Credit Giorgio Benni

L’esposizione è volta a unire pittori fortemente dissimili, le cui ricerche, sfiorando immaginativamente i nervi uditivi, si pongono come delle rare e taciturne stelle vacanti nel chiassoso, isterico e neutro panorama delle ricerche pittoriche di oggi. Nondimeno, gli artisti presentano in comune la tenacia a raccontare con vitalità attimi senza alcune esemplarità e sebbene la mostra sia allestita con un’acuta prudenza, per inquadrare e non soffocare gli spazi, questa estrema semplicità e forte ariosità allestitiva sconcerta i più, spingendoci a riflettere se la quantità delle opere esposte sia adeguata al racconto del progetto.

Giulio Catelli, “Miki che guarda nel boschetto”, 2023, olio su tela, 40 x 50 cm, courtesy Richter Fine Art, Roma, ph. Credit Giorgio Benni

Con l’intenzione di esplicitare le ragioni che ispirano il titolo della mostra, Giulio Catelli trova risposta nel rapporto dell’unica e intima verità che risiede nell’apparenza esteriore dell’oggetto. Secondo questa visione ogni opera è la rivelazione di un occhio assoluto, ovvero un organo attraverso cui si attivano una serie di confronti mentali veicolati da reazioni intuitive. Quanto esposto è la raffigurazione di scene ritratte in picchiata dall’alto, di sbieco o drasticamente frontali, comunque generanti un impatto, per cui la scorrevolezza del colore vive alla pari di un fluido in movimento che non si arresta alle forme, ma intende donare il senso di una evocazione complessiva. Quest’ultimo elemento ha il suo cuore nel tocco: materia quasi liquida, con suggestivi tratti di virulenze cromatiche. Inoltre, lo stato delle pitture rivela come l’interesse dell’artista sia volto a fissare occasioni colte dal vivo, basti pensare al Il paesaggio dal boschetto o altrimenti al Miki nei suoi pressi, che ci permettono di immaginare il pittore naturalmente calato tra gli arbusti e immerso in una pensosa nube nell’atto di dipingere. Così, nella sua apparente mobilità, l’occhio di Catelli fissa istantaneamente la curiosa sensazione e coprendo sempre meno la tela, se non con dei lampi di fibrille cromatiche, ci restituisce una pittura stringata e concentrata in una luminosa spazialità.

Giulio Catelli, “Due ragazzi e un gattino”, 2022, olio su tela, 30 x 24 cm, courtesy Richter Fine Art, Roma, ph. Credit Giorgio Benni

Tanto che gli azzurri crepitanti e verdi, tipici di un’erba appena colta, chiariscono la scelta di abbracciare una realtà mai passiva, bensì che ostenta la sua appartenenza al reale. Eppure, in un’epoca come quella attuale in cui soprattutto alla pittura è preclusa ogni semplicità e franchezza, Catelli dimostra di voler agire con sincerità, allineandosi al pensiero secondo cui «in pittura sappi bene quello che vuoi dire e dillo più chiaramente e francamente che puoi».[1] Così, sarebbe assurdo pensare che la mostra racchiuda qualcosa di non rivelato, proprio perché tutte le questioni sensibili, quali il valore della composizione, il senso del colore e la sua spazialità, sono schiettamente trattate. Il dono di affrontare tali scelte in questo modo deriva da un’azione pittorica eseguita all’aperto e dal vero, a tu per tu con il proprio soggetto, sia esso animato o paesaggistico, in quanto momento di ricerca di una soggettiva e intima espressione descrittiva.

Gianluca Di Pasquale, “Studio per circo rosso”, olio su tela, 40 x 50 cm, 2019, courtesy Richter Fine Art, Roma, ph. Credit Giorgio Benni

Nelle opere di Gianluca Di Pasquale, invece, la pittura procede per epurazione, nelle donne di spalle v’è una volontaria assenza di fatti, per cui le figure sono quanto si trattiene sospeso in memoria della loro essenza: fissate ieraticamente, si adagiano con lievità iconica sulla tela. Eppure, l’artista affronta la tematica del ritratto al contrario, in una condizione di iperlucidità[2], per cui il personaggio è una rivelazione di come lo stesso non riuscirà mai a vedersi allo specchio. Cosicché le donne risultano avere un’anima fredda per via di una pittura eseguita, solo in alcuni punti, con sottili velature a trattenere le loro spalle dietro una superficie vitrea.

Gianluca Di Pasquale, “Gea”, olio su tela, 100 x 70 cm, 2023, courtesy Richter Fine Art, Roma, ph. Credit Giorgio Benni

Perciò possiamo immaginarci il gelo del loro sguardo e nell’intento di abbracciare un ordine apparente ogni singolo capello è raccolto al fine di renderle splendide, fiere e ilari della loro attraente bellezza. E la superficie vitrea che le caratterizza dona immagini apparentemente eterne, le cui colorazioni tra il rosa porcellana e il fiore non esaltano alcuna connessione tra sfondo e figura, rivelando inversamente un netto distacco visivo. Diverso, invece è quanto accade nei paesaggi, in cui, lontano da ogni escogitazione registica, le figure sono composte da pennellate fini e impalpabili. E il pennello si adagia per via di refolo di fiato del pittore, la cui ricerca ispiratrice è pari a quella di un indagatore minuzioso, tagliente, ascetico e impersonale.

Andrea Grotto, “Un amore cane”, olio e acrilico su tela, 50 x 40 cm, 2024, courtesy Richter Fine Art, Roma, ph. Credit Giorgio Benni

Con Andrea Grotto, invece, il quadro non è mai una replica fedele di ciò che rappresenta, poichè quanto in mostra è atipico per il suo carattere splendidamente vario e di stupenda inesattezza. Le opere raccontano il silenzio contemplativo appena incrinato da una voce umana, i toni delle ali di farfalla polverizzate, cari affetti e i doni che ne derivano. La pittura è per Grotto una pratica dinamica, profonda e mentale, una necessità di ricerca che lo conduce a lavorare in contemporanea su diverse tele, per cui per l’artista è naturale che ad ogni battuta di palpebra si riveli sempre qualcosa di nuovo. Volendo citare Ettore Sottsass, uno scrittore a lui caro, l’artista lavora per via di una psiche liberata, una perplessità permanente che lo conduce alla scoperta di brani e improvvisi flash di storie[3], lavorando altresì con la sintassi dei titoli dati alle tele.

Andrea Grotto, “Sommi capi (Giulia)”, olio e acrilico su tela, 70 x 50 cm, 2024, courtesy Richter Fine Art, Roma, ph. Credit Giorgio Benni

Così in ogni opera, di cui in particolare di pregevole bellezza v’è Un amore cane, la materia abbandona la sua elementarità disfacendosi in corpose lamelle ora ampliate nell’intero spazio della tela. In questo modo per Grotto la pittura racchiude innumerevoli situazioni e ciò che è secondario diventa naturalmente motivo d’unione attraverso il nitore di una sapida intelligenza che affascina e seduce per la volontà di narrare inaspettate storie. E anche laddove le figure sembrano essere le uniche protagoniste, in realtà i volti, si badi bene da non considerare come ritratti, sono inseriti in un flusso il cui sguardo cattura un sentimento di dubbia realtà. Si potrebbe dire che il modello di ricerca di Grotto sia quello di tipo indiziario: sondare la complementarità del medium pittorico per sottrazione e aggiunta di secchi e nutriti strati di colore. Per questo motivo alle ragioni della domanda sollecitata dal titolo della mostra, i tre pittori rispondono in modo inequivocabilmente chiaro, con una ulteriore questione: se esiste del caos all’infuori di te che non ti permette di essere ascoltato, se non gridando, quante storie di pittori vaganti come stelle danzanti credi possano ancora essere ascoltate?

 Maria Vittoria Pinotti

[1] Ugo Ojetti, da Raffaello e altre leggi, in Il ritorno all’ordine, a cura di Elena Pontiggia, Abscondita, Milano, 2005, p. 70
[2] Alberto Savino, Ritratto, in Nuova enciclopedia, Adelphi Edizione, Milano, 2017, pp. 322-323
[3] Ettore Sottsass, Di chi sono le case vuote?, Adelphi Edizioni, Milano, 2021, p. 159

Info:

Giulio Catelli, Gianluca Di Pasquale, Andrea Grotto. e se non gridi non ti sento, ridi?
Galleria Richter Fine Art
Vicolo del Curato, 3, 00186, Roma
21/05/2024 – 09/09/2024
Orari: dal lunedì al sabato dalle 15 alle 19, o su appuntamento.
www.galleriarichter.com


RELATED POST

Il tuo indirizzo email non sarà pubblicato. I campi obbligatori sono contrassegnati *

By using this form you agree with the storage and handling of your data by this website.