Giulio Paolini. Un posto vuoto

«L’opera d’arte non è il risultato delle convinzioni o delle intenzioni dell’autore: egli non è che un miracolato nel trovarsi a concepire qualcosa che non è suo, ma appartiene all’opera d’arte stessa. La dinastia delle opere dall’antichità a oggi si autogenera e l’unità tra l’opera di millenni addietro e quella di domani fa sì che l’opera di oggi non possa essere svincolata da questa traiettoria. Ciò che informa l’opera di oggi è, dunque, l’eco di qualcosa che già esiste o che esisterà in futuro. Per questo l’autore non dice, si limita a produrre le cose che ha ricevuto in dono e che ha potuto realizzare grazie alla conoscenza e all’identificazione con qualcosa che è già esistito e che si presume esisterà ancora, azzerando così, in termini artificiali, la traiettoria del tempo».

Giulio Paolini, “Un posto vuoto”, 2024, matita, matita rossa e collage su carta grigia, 50 x 70 cm, photo Francesco Rucci, courtesy l’artista e Galleria Studio G7, Bologna

Queste le emozionanti parole con cui Giulio Paolini ha introdotto la sua nuova mostra allo Studio G7, galleria bolognese che con il maestro vanta un rapporto di intensa collaborazione a partire dalla prima personale a lui dedicata nel 1975 e intitolata “Collezione e altre grafiche”. Nel corso della sua lunga carriera Paolini si è dedicato all’analisi dello spazio della rappresentazione e degli artifici su cui si fonda la sua esistenza fittizia, concentrandosi in prima istanza sulle questioni del doppio e della prospettiva, per poi orientare la sua ricerca verso una teatralizzazione dell’atto espositivo volta a visualizzare le relazioni che l’opera instaura con il pubblico e con l’autore. L’incessante rielaborazione di questi temi è il motore delle infinite variazioni in cui l’artista nel corso degli anni ha declinato il suo inconfondibile linguaggio senza mai perdere lucidità, ispirazione e necessità. L’aspetto più distintivo e sorprendente della sua poetica è il fatto di coniugare un linguaggio rigorosamente concettuale con un’estetica impeccabile, la cui sinergia riesce a interpellare la mente al pari dell’emozione.

Giulio Paolini, “Finis terrae, 2023, matita, matita rossa e collage su carta, 50 x 70 cm, photo Francesco Rucci, courtesy l’artista e Galleria Studio G7, Bologna

“Un posto vuoto”, il titolo della mostra, è anche quello di una delle opere esposte, tra tutte forse la più diretta emanazione dei ragionamenti appena menzionati. Il collage in questione raffigura, infatti, un’elegante poltrona dal design démodé vista dal retro e affacciata su una veduta prospettica stilizzata le cui direttrici, esplicitate da tratteggi, tendono all’infinito. La poltrona, di cui solo una gamba poggia all’interno della rappresentazione, individua la collocazione dell’autore, ora assente, con cui l’artista s’identifica e che nel realizzare l’opera aveva attestato il proprio occhio in posizione onnicomprensiva rispetto al disegno architettonico. Oltre il suo punto di vista c’è lo spazio totale, la vertigine dell’infinito da lui contemplato prima di scomparire e alle sue spalle, nello spazio privo di riferimenti del passe-partout scuro (anticamera dello spazio reale dello spettatore), un “nulla” altrettanto irriducibile. La stessa veduta, in cui lo spazio (al tempo stesso misurato e generato da un reticolo ortogonale) ospita i gradini iniziali di una scala e due schiere affrontate di colonne, ritorna nel collage “Finis terrae” (2024). Qui al posto della poltrona troviamo l’immagine di una statua classica di spalle, che l’inquadratura ci porta a immaginare come colta nell’atto di schermarsi il volto con le braccia perché accecata dall’infinità dello spazio che il protagonismo della sua posizione offre al suo sguardo. Il suo stordimento, al pari del nostro che in lei ci identifichiamo, è originato dall’idea folgorante che ogni situazione spaziale o architettonica si possa ricondurre con linee direttrici all’infinito dal quale sgorga e in cui si consolida.

Giulio Paolini, “L’Efebo”, 2024, calchi in gesso, basi bianche, quattro calchi, 44 x 23 x 23 cad., quattro basi, 85 x 40 x 40 cad., misure complessive 130 x 107 x 107 cm, photo Francesco Rucci, courtesy l’artista e Galleria Studio G7, Bologna

Il cardine della mostra introdotta da questi due lavori è l’installazione “Ultimo modello” (1992-2024), già esposta in precedenza senza i quattro busti de “L’efebo” (2024) da cui ora è circondata, che in questa sede assolvono al ruolo di osservatori. La maquette scultorea sotto teca oggetto della loro imperturbabile attenzione rappresenta in chiave tridimensionale il disegno geometrico della stanza di ingresso dell’abitazione dell’artista. È uno spazio aperto, generato dall’incrocio di quattro pareti trasparenti ortogonali, su ciascuna delle quali è disegnata la sagoma di una porta. La superficie del basamento, anch’esso trasparente, è misurata da una graticola geometrica su cui sono disposti alcuni frammenti di carte lacerate raffiguranti stampe fotografiche dello studio dell’artista e astrazioni grafiche degli artifici del disegno, come cerchi concentrici e ulteriori tracciati prospettici. Come ogni brandello di carta trova il proprio corrispettivo al di là della parete verticale, ad aumentare lo straniamento centrifugo concorre la presenza, in ognuna delle partizioni in cui si suddivide e si moltiplica la stanza, di piccoli specchi analoghi per forma e misura ai moduli del pavimento.

Giulio Paolini, “Ultimo modello”, 1992-2024, strutture di plexiglas incise, collage su cartoncino, frammenti di riproduzioni fotostatiche, lastrine di plexiglas specchianti, base bianca, teca di plexiglas, misure complessive 150 x 80 x 80 cm, photo Francesco Rucci, courtesy l’artista e Galleria Studio G7, Bologna

Essi, contrariamente alle loro matrici, sembrano essersi ribellati dalla costrizione geometrica per vagare liberi a terra e riflettere il mondo a propria discrezione. I tragitti di questo spazio concettuale sono percorsi da quattro silhouettes di valletti in abito da cerimonia che accolgono il visitatore reggendo dei quadrati di vuoto. Questi obbedienti servitori di un cerimoniale a loro sconosciuto sono tra le figure più ricorrenti del vocabolario espressivo di Paolini e ne manifestano l’intrinseca vocazione scenica. Qui esse assolvono alla funzione di animare la misteriosa spoliazione e moltiplicazione dello spazio teatralizzato nell’opera, che trova il suo fulcro nel cielo, un foglio blu accartocciato collocato in alto nel punto di intersezione tra le pareti, in relazione al quale tutto si aggrega di nuovo pur nel prevalere delle traiettorie divergenti. Attraverso questi lacerti indicativi di una rappresentazione puramente mentale, l’artista invita lo spettatore a condividere la sua condizione di esule che cerca di evadere dallo spazio consueto nelle illimitate proiezioni dell’infinito che l’immaginazione ci evoca.

Giulio Paolini, “Estasi di San Sebastiano”, 2024, riproduzione fotostatica in teca di plexiglas, matita nera, cornice dorata, collage su passe-partout, teca di plexiglas, base bianca, misure complessive 140 x 50 x 50 cm, photo Francesco Rucci, courtesy l’artista e Galleria Studio G7, Bologna

L’allestimento, nel suo insieme anch’esso da leggere come un’opera abitabile dotata di molteplici punti di fuga, è completato da “Vertigo” (2024), scultura neoclassica ammantata di cielo in fuga verso un angolo cieco dello spazio espositivo ed “Estasi di San Sebastiano”, teca laica devozionale in cui il santo raggiunge la beatitudine grazie alla matita con cui l’artista lo trafigge ancorandolo al centro di una cornice dorata in un punto preciso di un’incommensurabile costellazione cosmica. La mostra, squisito distillato delle sfaccettature più significative del lavoro di Giulio Paolini, è resa ancora più preziosa dalla sua dichiarata intenzione, che auspichiamo essere una vezzosa boutade, di voler diradare gli impegni espositivi, sempre gravosi e stringenti per un maestro del suo calibro, per dedicarsi solo alla realizzazione delle opere, da lui definita con amore «il suo passatempo irrinunciabile».

Info:

Giulio Paolini. Un posto vuoto
24.09.2024-04.01.2025
Via Val D’Aposa 4A, 40123, Bologna
www.galleriastudiog7.it


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