Per la fine del tempo è un’esposizione che riunisce i lavori di otto artisti: Simone Brambilla, Filippo Chilelli, Lucia Derighetti, Andrea Fais, Siyang Jiang, Sara Laverde, Gloria Tamborini, Lu Weixin, studenti del biennio in scultura diretto da Vittorio Corsini all’Accademia di Belle Arti di Brera. La mostra, ospitata da Glenda Cinquegrana Art Consulting, è curata dal collettivo composto da Pietro Giovanni Coppi, Chiara D’Alesio, Francesco Gennaro, Miriam Muscas, Vanessa Villa, un gruppo di curatori proveniente dal corso di Visual Cultures e Pratiche Curatoriali. «È proprio il tempo, colto e interpretato nelle sue molteplici sfaccettature, a costituire il punto di incontro o di partenza, stimolo che muove le riflessioni dellə artistə. L’esposizione cattura un tempo incerto e provvisorio, in cui le rovine del passato si fondono con un presente instabile» sostiene il collettivo.
In Tre forse quattro (2024) di Lucia Derighetti, il tempo è l’instabilità dell’oggetto prossimo alla caduta. L’oggetto si inserisce nel contesto quotidiano della casa, in cui entrano le dimensioni metamorfiche. Un piccolo tavolino realizzato in gesso ceramico, che l’artista ha privato di una gamba rendendolo apparentemente instabile. Tuttavia, l’opera è in equilibrio forse proprio grazie al sostegno di questa assenza. Per Simone Brambilla, invece, con Il Pensatore (2023), il tempo è la sfocatura dell’immagine che si dissolve. I titoli Prospettiva aerea e Il Pensatore suggeriscono in entrambi i casi una citazione dalla storia dell’arte. Ne Il pensatore di Rodin (1904) c’è l’appoggiarsi sul mento per una riflessione colta, che in Brambilla è sostituita dall’appoggiarsi al finestrino del pullman in viaggio, lasciando questa impronta, che diventa più un addormentarsi che un meditare. L’artista imprime una lastra con la fronte portandoci a riflettere sulla dimensione onirica. In Prospettiva aerea cita Leonardo da Vinci, ma della sua prospettiva aerea qui c’è solo la fisicità delle linee che aumentano di dimensione attraverso il pluriball che è fatto di aria, una materializzazione dell’atmosfera.
Per Gloria Tamborini, con 45°47’31.1″N 8°50’09.2″E. e dai tuoi piedi qui 165 cm in su (2023), il tempo sono le radici che si inabissano nel nulla. L’artista va nel bosco e fa delle fusioni dirette, cola il peltro direttamente nelle radici e ne tira fuori queste concrezioni, creando un’interazione tra la materia informe e la vita che rimane nascosta, una natura che si introduce in qualcos’altro. Per Sara Laverde, Tramonto (2024), il tempo corrisponde allo sfaldarsi della luce della candela dietro cui si intravede un tramonto all’orizzonte. Nel Quattrocento si creava questo effetto grazie all’alabastro trasparente, oggi è lo specchio di un tempo sospeso, attraverso la vetrofania si percepisce la continuità del tempo, la consistenza, e la condensazione dell’attimo del tramonto che è effimero. In Siyang Jiang, Error (2024), c’è solo un punto chiaro, il resto è disfatto, è un androide, un essere che non esiste, inventato dall’artista, che introduce la dimensione della memoria, del ricordo, dei volti che amiamo, è come se nella casa rappresentata fossero esposte delle foto ricordo.
Per Andrea Fais, Brillare prima di sparire (2024), il tempo è lo sbriciolarsi della materia. In Senza titolo, fatto della stessa sostanza e con lo stesso materiale, funghi veri messi a bagno si mescolano con la nichelatura. L’artista gioca con la luce, il cubo quasi scompare dietro le ombre creando profondità. Disgregazione e proliferazione, un materiale che scompare, che si deteriora e a un certo punto brilla: la luminosità è un’interferenza che esalta le tracce di memoria, che il tempo lascia, il brillìo di qualcosa che sta scomparendo ricorda la vita di una stella, il tempo scorre piano, noi scompariamo, la nostra materia evolve e questo brillare innesca un cortocircuito visivo che viene attratto da questa esplosione. Dalla riflessione sul termine “consustanziale”, due oggetti di natura diversa vivono della stessa sostanza e convivono in questo paradosso: i due elementi si negano e si caricano a vicenda.
Per Lu Weixin, Torno (2023), il tempo è la parola che promette e ci lascia in sospeso. In un mondo colmo di stimoli visivi e tecnologici, l’artista interroga gli spettatori sull’essenza del “ritorno” attraverso questi semplici strumenti. Il neon impone grammaticalmente allo spettatore di essere chiamato in causa e ogni persona può relazionarvisi a partire da esperienze personali passate come emozioni e ricordi. Una scritta tecnologica universalmente umana. Nella dimensione domestica in cui la mostra vuole condurre lo spettatore, Filippo Chilelli introduce un elemento infestante, una ragnatela e un guscio che spezzano la sola visione del tempo come passato, aprendo a un futuro indefinito e atemporale. Oggetti metamorfici, concrezioni di resine di resti naturali e tessuti, figure metamorfiche che invadono lo spazio. Come Relief Web, 2023, in cui la grande ragnatela, può essere intesa come la ragnatela di un futuro apocalittico o forse di un passato mitico. Untitled, invece, è una creatura viva, un guscio da cui emergono piccoli filamenti tentacolari, che si diramano lungo il pavimento della sala.
Che cosa è dunque questa mostra? Si potrebbe sintetizzare in tre parole: ricordo/passato, natura/presente e metamorfosi/futuro tre concetti che per ogni artista vengono declinati in maniera diversa. Passando da opere che introducono in una dimensione pensante, drammatica e silenziosa, a lavori che fondono elementi naturali a concrezioni materiche, che mostrano una natura presente che emerge e persiste. Infine, una dimensione futura del tempo dove elementi metamorfici quasi esseri unicellulari infestano e invadono l’ambiente, spiazzando l’osservatore dalla sua solita realtà. Per la fine del tempo raccoglie riflessioni sul tempo, dove natura e tecnologia si fondono, sono visioni erotiche di un tempo inafferrabile. La mostra vuole introdurre quindi i visitatori all’interno di un luogo intimo, atemporale e interiore.
Il collettivo dei curatori è composto da; Pietro Giovanni Coppi, laureato nel 2023 in Pittura presso l’Accademia di Belle Arti di Milano, alla quale è ancora iscritto; Chiara D’Alesio con Laurea Triennale, conseguita nel 2022, in Storia e Tutela dei Beni Artistici all’Università di Firenze; Francesco Gennaro laureato in Didattica dell’arte all’Accademia di Belle Arti di Palermo nel 2019. Infine, Miriam Muscas e Vanessa Villa studiano Visual Cultures e Pratiche Curatoriali all’Accademia di Belle Arti di Brera.
Info:
AA.VV., Per la fine del tempo
05/07 – 26/07/2024
Glenda Cinquegrana Art Consulting
via Luigi Settembrini 17, Milano
glendacinquegrana.com
Emanuele Magri insegna Storia dell’Arte a Milano. Dal 2007 scrive dall’estero per Juliet art Magazine. Dagli anni settanta si occupa di scrittura e arti visive. Ha creato mondi tassonomicamente definiti, nei quali sperimenta l’autoreferenzialità del linguaggio, come “La Setta delle S’arte” nella quale i vestiti rituali sono fatti partendo da parole con più significati, il “Trattato di artologia genetica” in cui si configura una serie di piante ottenute da innesti di organi umani, di occhi, mani, bocche, ecc, e il progetto “Fandonia” una città in cui tutto è doppio e ibrido.
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