Glib Franko è un giovane artista ucraino che lavora con media espressivi classici come la pittura e la grafica, di cui padroneggia una vasta gamma di raffinatezze tecniche e stilistiche dedotte dall’osservazione dei capolavori della storia dell’arte, che nel suo linguaggio creativo si amalgamano con spontaneità ed equilibrio generando atmosfere assolutamente contemporanee. La sua è una figurazione allusiva e delicata che prende a pretesto paesaggi naturali e situazioni quotidiane per sperimentare le infinite possibilità del colore di reinventare magicamente la realtà. I soggetti a cui si dedica sono molto eterogenei e variano a seconda del progetto che di volta in volta collega le differenti serie di immagini: troviamo interni ed esterni domestici, figure umane oniriche e abbozzate, brani di pittura astratta e frammenti di natura lussureggiante, che guardando con attenzione vediamo essere l’aspetto dominante di tutte le scene che dipinge. Il disegno, nel senso tradizionale di contorno nero su bianco che costruisce le forme a cui successivamente il colore darà tridimensionalità e consistenza, è quasi assente, o meglio la sua funzione è assolta in modo più libero e mutevole dal colore, circoscritto dal modularsi del suo stesso spessore.
Al di là del pretesto visivo riconducibile a istantanee del reale, ciò che interessa all’artista è sperimentare un processo di rielaborazione della memoria visiva in cui arie, trasparenze, spessori e misure si amalgamano per restituire l’impronta di un momento rievocato in una durata potenzialmente infinita. La tela diventa il luogo della trasformazione del mondo in una catena di immagini appartenenti a un universo simbolico personale, nel quale la vita non si perde, anzi si ritrova nella delicatezza di un’impronta mutevole che riesce a conciliare nozioni apparentemente contrastanti come «sensibilità» e «metodo». Si tratta di un’invenzione che riscopre le radici del fare e che non accetta nessun presupposto ideologico, ma che al tempo stesso sembra sottintendere che l’arte, come scriveva Claudio Parmiggiani in Una fede in niente ma totale (2010), “sia più forte della realtà, unicamente per una fede in un sogno”. La sensibilità di Glib Franko si fa condurre da un metodo, che a sua volta guida i movimenti del pennello in modo da risolvere tutto ciò che incontra in un’emulsione cromatica sensibile che materializza l’istante con tratti precisi, ma anche sfuggenti e leggeri. Il suo approccio alla pittura ricorda in qualche modo lo stile impressionista: in questo caso, però, l’obiettivo non è cogliere l’irripetibile essenza luminosa di un luogo o di una cosa in una determinata ora del giorno e dell’anno come facevano i maestri francesi ottocenteschi, ma condensare l’emotività di una visione in un panorama mentale ambiguo, lucidamente virato ai toni del sogno e della rievocazione, in cui lo spettatore può proiettare e decantare le proprie esperienze.
Certi dettagli apparentemente irrilevanti della realtà, come la spalliera metallica di una sedia o la spina sullo stelo di un fiore acquisiscono una luccicanza endogena all’interno dell’immagine, come se fossero l’innesco della circostante improvvisazione pittorica, la chiave di volta di una sensazione che diventa ecosistema nell’incessante sperimentazione di colori, trame e forme. Il territorio segreto in cui abita l’ispirazione dell’artista è un terreno fertile per far sbocciare l’«intimità» degli oggetti visivi finalmente liberi dalle consuete relazioni di interdipendenza che ne limitano il significato nella realtà ordinaria: la soggettività (dell’autore e dello spettatore) si dissolve in una foresta pittorica misteriosa che, anche se formalmente non sfugge mai al controllo del suo creatore, sembra talvolta travalicare le nostre possibilità di comprensione con un’onniscienza superiore. Uno dei motori della poetica di Glib Franko è la celebrazione della spettacolare autosufficienza del colore, le cui potenzialità creative vengono implicitamente assimilate alla capacità della natura di rigenerare sé stessa e di insidiarsi rigogliosamente anche negli angoli più inospitali del mondo. Per questo i dipinti dell’artista sembrano letteralmente trasudare natura, anche quando appaiono incentrati su altro.
Nella serie intitolata “Synchronization” (2019), ad esempio, l’artista accosta sulla stessa tela due immagini che nella loro diversità compongono un dittico armonico, per sottolineare la necessità di sintonizzarci con gli elementi con cui interagiamo, qualunque essi siano. Il rapporto di mutualità che si instaura tra le due immagini neutralizza l’astratta linea verticale che le separa, dimostrando come l’idea di confine sia labile, in pittura come in natura. I lavori della serie “Blossom”, su cui l’artista si è concentrato per quasi tre anni (2015-2018), costituivano invece una sorta di studio pittorico del naturale processo di fioritura di differenti specie di piante, accomunate dalla capacità di produrre quelle fragili ed effimere emanazioni del sé che noi individuiamo come fiori. In questo caso lo scopo non è riprodurre le apparenze visibili delle piante come nei tradizionali quadri di natura morta, ma scandagliare attraverso le colature e le trasparenze del colore il miracolo della germinazione della bellezza, la prodigiosa nascita di una forma da una matrice completamente diversa che, però, ne custodisce i codici di riproduzione.
Il complesso progetto “Antipodes, balance, walk on the golden line” (2019) riunisce invece una serie di lavori il cui titolo riproduce le coordinate geografiche del luogo in cui sono stati realizzati. Qui l’artista sembra scandagliare sé stesso in relazione agli ambienti atmosferici, fisici e mentali che attraversa, sintetizzando tale corrispondenza con una pittura gestuale e istintiva (resa ancora più pertinente al momento e al luogo specifici da aleatori interventi ambientali come pioggia o vento) a cui poi sovrappone eleganti forme geometriche minimaliste in oro e argento. Il tentativo è creare un dialogo tra linguaggi razionalmente inconciliabili attraverso la manifestazione della dimensione parallela in cui esso può avere luogo. Anche qui l’intuizione di tali infinite possibilità di coesistenza, normalmente destinate a non incontrarsi mai, è debitrice della sua profonda sintonia con i processi naturali e con i mondi ancora inesplorati che la loro capacità di adattamento implica.
Glib Franko, nonostante la sua giovane età, ha da tempo consolidato il suo prestigio tra i collezionisti e le istituzioni del suo paese d’origine partecipando a importanti rassegne come ARTLEVEL design festival e Open Art Fair al Contemporary Art Center e negli ultimi anni sta conquistando anche importanti riconoscimenti internazionali, come l’invito nel 2019 a partecipare alla mostra collettiva “The Shadow of Dream” tenutasi ai Giardini della Biennale in occasione della 58esima edizione della Mostra d’arte internazionale.
Info:
Glib Franko, Olive Tree, 2019. Colore a olio su tela. Courtesy l’artista
Glib Franko, First, serie Synchronization, 2019. Acrilico su tela. Courtesy l’artista
Glib Franko, Flowering I, serie Blossom, 2017. Colore a olio su tela. Courtesy l’artista
Glib Franko, 48°23’11.8N, 24°27’34.9E, serie Antipodes, balance, walk on the golden line, 2019. Inchiostro. Courtesy l’artista
Attore e performer, ama le arti visive in tutte le loro manifestazioni.
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