Un piccolo-grande gioiellino, curato da Chiara Bertola e Davide Ferri, si può visitare in via Monte di Pietà a Milano, presso la Building Gallery. La mostra in questione, Glitch, è ospitata nella splendida struttura della galleria dove ogni opera, anche quelle non appositamente pensate per questo motivo, sembra site-specific. Glitch, “termine onomatopeico che indica genericamente i disturbi di breve durata che si manifestano in un impulso teletrasmesso, deformandone la forma d’onda”, come ci dice l’enciclopedia Treccani, è un guasto, uno sfasamento nella regolarità delle cose. Le opere dei dieci artisti e artiste in mostra vengono presentate quindi come degli strappi – della realtà, della pittura – come dei varchi per una dimensione ulteriore, che rivela una concezione altra. Italiani e internazionali, di età e provenienza differenti, le ricerche da cui prendono a piene mani partono dagli anni ‘60 del Novecento, quando la pittura inizia a negare la narrazione, per una piena “oggettività” della visione, che permette di sviluppare anche nuovi metodi non convenzionali di fare pittura.
All’ingresso ci accolgono due opere di Mary Heilmann (1940), Splashy Cut e Firey Pour, spregiudicatamente statunitensi per i colori e le forme, derivanti dalla pratica decorativa dell’artista, che dialogano con Empty Walls 88 di Farid Rahimi (1974), dal sapore neoplastico prettamente europeo, quasi in netto contrasto con le precedenti. Le pareti pure ma realmente glitchate di quest’ultimo sembrano aprirci agli squarci variopinti di Heilmann. La protagonista della stanza, in un leit-motiv che si ripete in tutti e tre i piani, è la maestosa industrialità di Stuck (BLUE), opera di Angela de la Cruz (1965). Tela sospesa tra la pittura e scultura, attrae lo sguardo, il tatto e l’olfatto rendendo quest’opera un vero e proprio catalizzatore. Circumnavigando Stuck, troviamo un Untitled site specific di Andrea Kvas (1986), un vero e proprio lago misterioso, buco nero, continuazione spazio-temporale sia della Building Gallery, sia del lavoro dell’artista, che, intorno al grande cosmo che sembra invitarci a immergerci nell’opera, situata sul pavimento, lascia i suoi strumenti e la materialità del procedimento. A conclusione della prima area, Charles Rosenthal, Im Park 1930 di Ilya (1933-2023) ed Emilia (1945) Kabakov è una scena quasi impressionista magistralmente eseguita, in cui l’intelaiatura illuminata svela l’inganno della pittura, dell’immagine dipinta, mentre Gemmazione n°5 di Maria Morganti (1965) e Rural Wallspine di Simon Callery (1960) che riportano alla dimensione temporale e ripetitiva della produzione dell’opera d’arte.
Il secondo piano di apre con la Pittura industriale, di nome e di fatto: tre grandi tele senza titolo prodotte a fine anni ‘50 da Pinot Gallizio (1902-1964) magistralmente esposte, sia a parete sia su pavimento, rendono giustizia alla grandiosità dell’opera. È proprio da questo Glitch che prende vita il grande assetto della mostra, nelle situazioni di sperimentazione che caratterizzano il decennio tra gli anni Cinquanta e i Sessanta in Italia, nella grande famiglia della pittura informale. A dialogare con Gallizio, di nuovo Maria Morganti con Uno alla volta, opera composta da più tele ed esposta come se fossero un campionario – sempre riprendendo l’industrialità esplicita della sala, e da Blue Painting (Ravenna) di Simon Callery (1960): tra il sacro e il profano richiama il blu dei mosaici di Ravenna, ma anche il Blue Jeans. Nascosta, si rivela Screen Room 14 di Farid Rahimi, inserita alla fine di un piccolo corridoio, dove tutte le linee prospettiche convergono con le linee del dipinto, creando un’atmosfera metafisica.
L’ultimo piano è dedicato a due grandi artiste: Peggy Franck (1978) e Alejandra Seeber (1969). Seeber “si prende” un grande spazio nella parete frontale. Non solo, decide di giocarci e di giocare con noi, evidenziando la griglia del muro, come se evidenziasse il codice del Matrix in cui siamo inseriti e inserite, divertendosi a romperla e relazionando le opere esposte dentro o fuori di essa. Forest Fabric, Bricks, No Logo, Cascade of Color, Yester Memories, Knitt Green and Pink: questi i titoli delle opere che al loro interno, di nuovo, riportano un codice: questa volta quello che ricorda un grande lavoro a maglia. Peggy Franck dimostra invece un’elasticità notevole di lavori e di supporti, sempre caratterizzati dalla freschezza delle sue pennellate. Al secondo piano spicca il grande terzo lavoro industriale, questa volta una magnifica stampa su tappeto, As birds feel shadow, che dal soffitto si stende fino ai nostri piedi. Impressionante l’effetto di Keep on moving, foto di un suo precedente lavoro prospetticamente sbalorditivo. L’artista omaggia la galleria di due opere site specific: Your Smell, in my hair, dipinta sul muro e MM MM MMMM, dipinta su una carta semi-riflettente e posizionata davanti ad una finestra. Guardandola, al di sotto delle pennellate ci ricordiamo che ancora esiste un mondo esterno. Ma che può essere squarciato, visto in un milione di modi diversi. Glitch.
Claudia Corso Marcucci
Info:
AA.VV. Glitch
8/11/2023- 27/01/2024
Building Gallery – via Monte di Pietà 23, 20121 Milano
www.building-gallery.com
is a contemporary art magazine since 1980
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