Sono le 19:30, fuori è ormai quasi buio. Entro nella Galleria ZERO… e altrettanta oscurità avvolge la prima sala che ospita la mostra dell’artista Cally Spooner (Ascot, Regno Unito, 1983), Two Thousand Six Hundred and Seventy-Four Seconds Wide. Il lavoro di Spooner è una continua ricerca sullo spazio e sul tempo della performance, mettendo in atto temporalità nascoste che eludono la percezione normativa e quotidiana. Nella sua pratica artistica unisce in modo non sincronizzato citazioni, trattati teorici, film, canzoni pop o talk show attraverso produzioni dal vivo, installazioni cinematografiche, coreografie e letture. Vedo una luce proveniente dall’esterno che entra dalla finestra aperta sulla strada, voluta così dall’artista stessa, illuminando la stanza con un movimento continuo al passaggio di qualche macchina o spostamento d’aria. Tutto però è immobile, nello spazio non ci sono altro che tre casse, due panchine e delle pere per terra. Mi avvicino alla cassa posizionata in fondo alla sala su un piedistallo e guardo le ombre e i giochi luminosi provenienti dalla finestra aperta finché sento un suono: il Preludio della Suite n. 1 in sol maggiore per violoncello solo di Bach suona e inonda tutta la stanza, l’opera è Melody ’s Warm Up, 2022.
Guardo le luci della finestra e mi lascio trasportare dalla melodia, cercando di resistere alla sensazione di ballare, lì in mezzo alla stanza, mentre un violoncello, suonato dalla musicista Melody Giron, riproduce una delle canzoni più conosciute al mondo. La musica è pensata come una fedele riproduzione della sinfonia per cui l’artista ha voluto modificare l’ultima misura suonando al contrario, così da essere in relazione con l’ambiente circostante. Questa contrazione musicale permette di scardinare la normale scansione della partitura restituendole un’identità nuova e dinamica. I suoni provenienti dall’esterno entrano preponderanti all’interno di questa oscurità, dialogando con l’ambiente che la circonda, rendendo l’esperienza sonora mai stabile, come se non ci fosse una normatività del suono nonostante la partitura sia perfettamente eseguita. Il violoncello intona la musica e l’esterno danza con essa. La scansione vibrazionale della melodia prodotta dal violoncello accoglie lo spazio, lo rende conoscibile nella sua ripetizione costante e lineare. In questa sospensione temporale prodotta dalla commistione dell’oscurità e della musica, la melodia improvvisamente si interrompe, lasciando solo un suono continuo, un “bip” e scatti automatici fendono continuamente l’atmosfera ogni 42 secondi, modificando completamente l’esperienza fino a quel momento percepita e lasciando un senso di spaesamento. La crono normatività che fino a poco prima sembrava ciò che trasportava e univa, ora è ciò che taglia, modifica, fende e ricuce.
La nuova modalità di ascolto e percezione proposta da Spooner sembra accostare la crono normatività al concetto occidentale secondo cui il tempo è lineare e quindi organizzato attorno alle categorie di passato, presente e futuro. Questo orientamento temporale segue di pari passo la linearità del lavoro nell’era capitalistica secondo cui la produttività ripetitiva e meccanica su vasta scala segue una linea retta e ben definita, snaturando il tempo e riorganizzandolo in una funzione produttivistica impattando sulla nostra percezione di esso. Il tempo è quindi metaforicamente legato alla storia del capitalismo, su cui si è sviluppato un preciso modello economico e politico come quello del neoliberismo. Se la scansione vibrazionale della melodia prodotta dal violoncello accoglie lo spazio, lo rende conoscibile nella sua ripetizione costante e lineare, il rovesciamento temporale messo in atto dal cambiamento melodico fa esplodere invece la possibilità di riscrivere il tempo rovesciandolo in una dimensione parallela e discontinua. Lo spaesamento provocato dai quarantadue secondi diventa così una forma di riappropriazione dello spazio e del tempo personale, facendosi portatore delle ripercussioni nella società di questo preciso sentire non lineare. I suoni meccanici alludono anche alla trasformazione del lavoro dal rigido modello preimpostato, come nel caso della partitura melodica di Bach, dispiegandolo alle nuove forme di impiego nelle quali è sempre più difficile distinguere tra tempo libero e produttivo. L’interruzione meccanica diventa quindi l’archetipo del tempo destrutturato e discontinuo con cui i nostri corpi sono portati a interagire, creando una nuova sinfonia anacronistica.
Spettatori di questa composizione quasi astratta sono alcune pere, Still Life (2018), un cumulo sul pavimento appoggiato alla parete e un altro adagiato ai piedi di una colonna della galleria, che guardano verso la cassa, come se stessero ascoltando anche loro l’accadersi della discontinuità. Spooner ha voluto inserirle come emblema di quel soggetto perfetto e di massima bellezza tipico delle nature morte del Seicento, in cui la prodezza pittorica si accompagnava all’idealizzazione della perfezione. Una di loro sembra svenuta, appoggiata alla parete come se lo spaesamento della discontinuità sincronica le avesse procurato uno svenimento improvviso. Le altre guardano la scena, spettatrici inermi e simboli di quella perfezione irrealistica di cui anche la melodia si fa portatrice. Lo svenimento quindi è l’archetipo della discontinuità del “bip”, qualcosa che all’apparenza sembra anacronistico ma che invece si trasforma in una nuova possibilità di percezione, qualcosa che lega nel suo tagliare.
Scendendo le scale che portano al seminterrato, anche qui la penombra fa da protagonista, con le medesime casse che riproducono la sinfonia di Bach e i suoni meccanici che lasciano tutto in attesa. L’incertezza è spesso presentata come un problema di informazione che può essere risolto con l’analisi dei dati da cui l’informazione proviene, ma nel resistere all’attesa e alla sua risoluzione si attua il vero ribaltamento della crononormatività; non ci resta che stare. Poi appare maestosa, sola e centrale su una parete della sala un piccolo quadro raffigurante una pera, Fainted Pear (2022), illuminato da un faretto, contrariamente alle pere “vere” che invece giacciono nella penombra. Sembra un quadro sacro, una reliquia, qualcosa di prezioso nonostante le sue piccole dimensioni. Si ha quasi la sensazione che non ci si possa avvicinare, ma guardare solo da lontano e questa sensazione è accentuata dalla musica che continua la sua danza nell’ombra. Questa pera è realizzata da Spooner in maniera quasi iperrealistica, richiamando quel senso di bellezza di cui le pere nella sala di sopra erano testimoni. Questa pera però non deperisce, ma appare come corpo sacro, simulacro di adorazione, occupa tutto lo spazio circostante insieme alla musica. Se le pere reali erano il simulacro della bellezza e quindi anche il suo dispositivo, quella dipinta è il simbolo di tale bellezza, l’essenza di essa ma anche la sua riproduzione fedele, come nel caso della tecnologia che, cercando di imitare la realtà, ne esaspera le forme e il contenuto. Se la pera era svenuta, qui appare in tutta la sua maestosità. Si può affermare che questi frutti o la riproduzione di essi non siano esattamente nature morte, ma che invece siano nature esasperatamente vive.
Info:
Cally Spooner, Two Thousand Six Hundred and Seventy-Four Seconds Wide
29/02/2022 – 12/11/2022
Galleria ZERO…
Via Carlo Boncompagni 44, 20139 Milano
galleriazero.it
Mi sono laureata alla triennale presso l’Accademia di Belle Arti di Firenze in Pittura, con una tesi sul ruolo del corpo nell’arte unendolo alla mia ricerca artistico visiva. Frequento attualmente il secondo anno del biennio di Visual Cultures e Pratiche Curatoriali presso l’Accademia di Belle Arti di Brera. Ho intenzione di ampliare i miei studi frequentando un dottorato di ricerca in arti visive, approfondendo così la mia ricerca critico-artistica.
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