Se vi state chiedendo come sia possibile conciliare in un unico lavoro scultura e pittura, ma anche fotografia e performance, con la capacità di sedurre collezionisti e curatori allo stesso tempo, allora Ser Serpas (Los Angeles, 1995) è un’artista che dovete assolutamente conoscere. Dai recenti esordi internazionali, la sua pratica ha sancito un solco nella scena internazionale. Tutti ne parlano e tutti vogliono un suo lavoro. La sua opera ha dettato un nuovo trend in grado di unire i più impulsivi collezionisti, pronti a investire in un nuovo oggetto del desiderio, e i curatori più puristi, legati alla floridezza concettuale degli anni ’60 e ’70. Ma come è possibile questo?
Il nucleo dell’opera di Ser Serpas è la transitorietà. L’artista viaggia dal dipinto alla scultura, dalla materia alla sua rappresentazione, mettendo al centro di tutto questo la corporeità – umana e materiale – transitoria e abbandonata, fra tagli e segni, rotture e assemblaggi, ma anche iper-consumo. È questo il trailer che costituisce anche Hall, la nuova mostra che l’artista americana Ser Serpas presenta allo Swiss Institute di New York fino al 23 aprile 2023, lasciando ancora una volta la sua traccia indelebile dopo una serie di esposizioni e soggiorni europei fra Ginevra, Tbilisi e Parigi. Ser Serpas nella sua pratica diffonde e unisce, e così fa nei due piani dello SI, dove una straordinaria varietà di immagini e corpi si impossessa dello spazio facendoci immergere in uno stato di desolazione del vivere, di abbandono e rifiuto.
Il cuore pulsante della mostra è Partition Play. Un’installazione a terra costituita da una parete demolita color cremisi, con pezzi di muro abbattuto disposti sulla griglia metallica strutturale ricoperti di polvere e impronte di scarpe, come se ci fosse appena passato sopra qualcuno. Vengono in mente le installazioni dispersive di Barry Le Va o i residui delle performance di Richard Serra, ma l’intento è diverso. Come già evidenziato da Connie Butler, curatrice dell’Hammer Museum di LA, per Ser Serpas non è l’eccesso della produzione capitalistica, ma bensì l’abuso consumistico e lo scarto a interessare la sua selezione. Pervade un senso di rifiuto, rottura e degrado. L’artista ci fa immergere in uno stato di abbandono, e proprio questo stato è il collante che unisce la pratica scultorea a quella pittorica e fotografica che ci circonda.
Girandoci attorno osserviamo infatti tavole in legno o tele di juta piene di corpi che invadono e occupano la totalità della superficie. Non c’è titolo. Non ci sono volti ma solo segni transitori. I corpi sono analizzati da vicino, come a volerci far entrare dentro. Piaghe e sfregamenti, ferite e sangue. Sudore. La pittura è a tratti densa a tratti tagliente. È colante di corpi vissuti, il suo o quello degli amici con cui ha appena litigato o condiviso, così come di estranei conosciuti su app di incontri. Corpi vuoti e persi, oramai rifiuto digitale. Ecco che le fotografie – vere insegnanti per la sua pittura – diventano protagoniste del rifiuto. Il concetto di desolazione si espande dalla spazzatura attorno a noi, i nostri scarti, fino al nostro corpo. Dal consumo degli oggetti nella scultura al consumo dei corpi e dell’intimità nella pittura, idea che sia concettualmente e sia visivamente si può leggere nel lavoro.
Una linea nichilistica lega quindi tutte le parti dell’insieme. È Xenia, per citare il celebre Gummo di Harmony Korine. Ma questa volta è Ser Serpas, insieme all’artista e amico Rafik Greiss, a tenere la macchina da presa e al contempo a performare per imprimere poi su stampe cromogeniche il processo creativo. Non tanto documentando, ma costruendo “uno storyboard di un film non ancora realizzato”, come sostiene l’artista stessa e come mostra anche la serie di disegni e note su Moleskine al secondo piano. Nelle foto coesistono le immagini, le persone e gli oggetti. La disposizione è libera su tutti e due i piani e sulle pareti. Al piano terra fotografie dell’artista intenta a raccogliere e movimentare pezzi di portiere, sedie o mobili. Una fotografia di uno straccio accanto a quella di una vasca dove cresce la suspense per la presenza di una figura di spalle (l’artista) all’interno. Fotografie al vertice alto della parete così come anche all’interno dell’installazione stessa.
Al piano secondo piccole foto in bianco e nero con performance o assemblaggi. Ci sono poi collage e foto di installazioni a larga misura accostate a quattro vetrine espositive con i disegni e le note personali. Ser Serpas ci lascia giocare ed entrare nella trama ancora in costruzione. Ser Serpas si esprime senza freni. La poliedricità conquista tutti, ma nel suo lavoro non ci sono limiti. Lei sperimenta e lascia ancora non finito il suo film. Il senso di desolazione che si dipana in questa mostra non lascia senza fascinazione. La sua pratica infatti attira, unisce e connette. Il prossimo atto sarà alla Bource de Commerce di Parigi in autunno. L’artista non svela, ma lascia intendere un altro exploit.
Matteo Giovanelli
Info:
Matteo Giovanelli (Brescia, 1999) è uno storico dell’arte e giovane curatore. Dopo aver conseguito due lauree in Beni Culturali e Storia dell’Arte presso l’Università di Verona, ha sviluppato un profilo professionale dinamico. Ha collaborato con gallerie d’arte contemporanea, assistendo alla curatela di mostre e partecipando a prestigiosi progetti espositivi e fiere internazionali. Scrive recensioni e critiche d’arte, contribuendo a offrire uno sguardo critico e approfondito sul panorama dell’arte contemporanea.
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