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Hyoju Cheon – Appunti per un nuovo vivere

Hyoju Cheon – Appunti per un nuovo vivere

Il termine “sovrabbondanza” può essere identificato come particolarmente calzante se si guarda alla realtà dei giorni nostri. Narrative, ideologie, “macchine” e, più in generale, gli oggetti definiscono ormai un’oceanica cacofonia all’interno della quale i confini dell’essere umano si fanno sempre più sottili e sfumati. Quell’ “horror pleni” teorizzato da Gillo Dorfles nel 2008 ha assunto ormai proporzioni indicibili e tali da rimettere in profonda discussione il significato del proprio esistere. I confini si sbiadiscono ed estendono a un punto tale da inibire qualsiasi capacità di autodefinizione. Cosa significhi essere “umani” e come ci si differenzi rispetto a questo “altro” restano dunque questioni insolute e vastissimo terreno di ricerca.

Hyoju Cheon, “Siding with things”, installation view at subtitled nyc, Brooklyn, New York, 17/06 – 9/07/2023, photo credit: Yulin Gu, courtesy the artist

È su questa linea che può essere inquadrata la pratica di Hyoju Cheon (1994, Seoul, vive e lavora a New York), artista le cui indagini abbracciano un ampio spettro espressivo spaziante dalla performance, alla scultura, fino ad arrivare al disegno e alla scrittura. Guardando a quell’energia esordiente del suo lavoro è possibile identificare due linee tematiche principali. La prima riguarda la dimensione del corpo in un’ottica di rimessa al centro della corporeità individuale e delle sue reazioni rispetto alla realtà circostante. In questo senso, c’è una sorta di propensione antropologica nell’investigare come l’individuo reagisce agli stimoli del mondo esterno, trovando una conferma preliminare in queste sue stesse parole di apertura all’intervista: «While on the road, the child spotted a random structure and spontaneously rolled his toy car over it. It was incredible to witness how quickly and instinctively they react to their surroundings. This moment makes me want to make “siding with things,” intuitive movement between object/structure and subject». Il secondo aspetto, invece, fa riferimento a un campo d’indagine altrettanto vasto e che, soprattutto dagli anni ‘90, ha visto una molteplicità di artisti decidere di oltrepassare la centralità (e autorialità) del soggetto per sondare nuove potenzialità espressive aventi come epicentro il valore dell’oggetto. Nella pratica di Cheon si intravede una presa di coscienza molto definita circa l’importanza che, ad oggi, “le cose” hanno per l’individuo. Sulla scia di un approccio al consumismo sempre più elemento strutturante delle nostre esistenze, è indubbio che gli oggetti influenzino e modellino il presente ponendosi come componenti fondanti le risposte a interrogativi del tipo “chi siamo? cosa facciamo?”.

Hyoju Cheon, “Toomm Ta”, H 12 inch x L 18.5inch x W 13 inch , wood, servo motor, egg, polyester fabric, foam, courtesy the artist

La loro è un’influenza silenziosa, procede in punta di piedi ma al tempo stesso del tutto devastante nelle dinamiche di definizione individuale. Nel 1989 Robert Gober spiegava: «[…] For the most part, the objects that I choose are almost all emblems of transition; they’re objects that you complete with your body, and they’re objects that, in one way or another, transform you. Like the sink, from dirty to clean; the beds, from conscious to unconscious; rational thought to dreaming; the doors transform you in the sense that you were speaking of, moving from one space through another […]»[1]. Saper mettere sotto i riflettori un simile scenario – saperlo isolare e studiare dall’esterno – è essenziale per gli sviluppi di una nuova presa di coscienza e dunque modalità di vita. Un qualcosa che emerge dal carattere installativo di “siding with things” (2023). Come spiegato dall’artista: «It’s about intuitive movement and sound, mirroring children’s spontaneous noises. Sculptures emerge from the space’s architecture, aligning with walls, ceilings, and floors. This immersive environment engages the senses, inviting exploration, reflection on how we interact with our surroundings, and how these interactions are integral to our understanding and appreciation of space».

Hyoju Cheon,, “Unnecessary things we carry, Homo-motus”, 2019, drawing on graph paper casting plaster, clay, dimension variable, performance 15 min, photo credit: Soojeong Kim, courtesy the artist

Esiste, dunque, all’interno della sua pratica una volontà pulsante di offrire una visione alternativa del reale, alimentando la propria vitalità creatrice di un questionamento continuo. Il vivere e aver vissuto metropoli globali quali Seoul prima e New York adesso in cui, a suo dire, concetti come la competizione, la produttività o l’indirizzamento di qualsiasi tipo di comportamento in un’ottica di utilitaristico raggiungimento di obiettivi che trovano la propria ragion d’essere a fronte di un soddisfacimento materiale, ha drasticamente influenzato la sua ricerca artistica: «And what is productive means? Why only meaningful behavior has meaning? My thought is meaningless behavior (sometimes we call it unproductive) also has a meaning in different ways». Dal 2019 inizia dunque a sviluppare lavori che mettono appunto al centro quest’esaltazione dell’inutile, dello scarto, del nonsense quali ultime testimonianze di quella libertà di scelta individuale che, di fatto, ci differenzia dal mondo meccanico. Il tutto configurandosi come una sorta di tematizzazione dell’idea, del tutto condivisibile, secondo cui, in quanto umani, si è molto di più rispetto a quel che si fa.

Hyoju Cheon, “How can we measure our sigh?”, photo credit: Kunning Huang
2022, steel pipe, paper bag, pulley system, wooden block, 104 inch x 7 inch dimension variable, courtesy the artist

È dunque sulla base di queste premesse che si struttura il suo “Unnecessary things we carry, Homo-motus” (2019): «“Homo-motus” is exhibited in the form of performance and archiving. This work fossilizes traces of the meaningless and inefficient movements in Korean society by casting the performance’s traces on the clay. This work began with the question of what the artist’s role was in this era and extended to the question of humans. In the future, where AI dominates, can human inefficiencies and nonsense be more meaningful? That’s why I thought I/we should record and collect the things that we always tend to forget. At that time, I thought that what we need to preserve is our everyday life. So, I’ve been working on transforming daily activities into new scenes or visual language».  Su questa linea si colloca inoltre “About movement” (2019), un sistema macchinoso e completamente inutile che non ha altra finalità se non il movimento in sé, la cui unica testimonianza – e valenza estetica – è il segno lasciato dalla matita. Ancora una volta, Cheon decide andare oltre qualsiasi logica utilitaristica focalizzandosi invece su di un qualcosa che non ha altra ragion d’essere se non la sua stessa esistenza. C’è dunque una chiara presa di coscienza nel voler elevare quegli elementi residuali, di cui non ci accorgiamo – di scarto appunto – del nostro vivere a una dimensione di vera realizzazione artistica, partendo da ciò che resta dei movimenti fino alla materializzazione dei suoni di volta in volta ascoltati (“The sound I draw”, 2021) colti tramite l’immediatezza creativa del disegno.

Hyoju Cheon, “Mapping without scale”, 2022, insulation foam, wall compound, ceramic, dimension variable, performance duration 16min, photo credit: Ryan Wang, courtesy the artist

Il tutto ponendo al centro l’atto performativo quale strumento essenziale per mettere in collegamento i concetti di corpo, oggetto e spazio: «The relationship between those three elements – body, object, and space – becomes clear through movement and performance. Whether it’s my performance or that of a machine, I view the residues left after any movement as essential elements in creating my work. I replicate the small movements and sounds that occur in daily life. This volatility is precisely why I feel compelled to perform». “Mapping without scale” (2022), progetto site-specific presentato negli ambienti di Iron Velvet a New York, sintetizza a pieno l’interconnessione tra questi elementi. Come spiegato, c’è stato un completo abbandono dei classici strumenti di misurazione dello spazio lasciando invece che il proprio corpo lo leggesse in maniera più immediata, spontanea e individuale. Focalizzandosi poi su quelle zone più in ombra, quali angoli o fessure, ha dato vita tramite il disegno a forme astratte e amorfe che potrebbero abitarli. Cheon le ha poi ricreate tridimensionalmente utilizzando argilla o schiuma isolante imprimendo le forme del proprio corpo su questi oggetti che, cotti e scolpiti, riuscivano nel tentativo di catturare quei vuoti. Si assiste dunque al rifiuto di sottostare a un’esperienza dello spazio mediata dai più convenzionali strumenti di misurazione a favore, invece, di una modalità interpretativa individuale e diretta. L’idea di movimento come strumento di “decostruzione” si ritrova anche nella sua “Trajectory of my body” (2021), performance concepita durante il periodo COVID tra il 2020 e 2021 e in cui si è cimentata in una ripetizione continua di gesti semplici e banali portandoli all’assurdo. Il quotidiano si fa materia performativa in un’ottica di presa di coscienza degli automatismi, norme e vincoli sociali che ne sono alla base quali ostacoli a una modalità esperienziale differente. Sostiene infatti: «The performance becomes a symbolic journey, turning mundane into significant, reflecting on how energy flows and interacts in different spaces and situations».

Hyoju Cheon, “Trajectory of my body”, 2021, plywood, sand, vinyl, rubber pipe, plastic rod and wheel, dimension variable, performance 20 min, photo credit: Ryan Wang, courtesy the artist

Tornando alla più diretta compenetrazione tra individuo e oggetto, in “How can we measure our sigh” (2022) gli atti di inspirazione ed espirazione vengono tradotti in un vocabolario meccanico in una chiave di lettura bidirezionale: l’individuo che si fa macchina e la macchina che si umanizza. Ispirata dall’affermazione scherzosa di un amico durante un momento di pausa dallo studio, tale per cui maggiore erano l’impegno e tempo impiegati tanto più grande sarebbe stata la condensa del suo respiro al freddo, Cheon ha iniziato a interrogarsi su come poter effettivamente cimentarsi nella misurazione di atti non quantificabili. Per “How can we measure our sigh” ha ideato un sistema meccanico con cui alternare verso il basso e verso l’alto il movimento di un pesante blocco di legno e di una busta di carta generando un paradosso visivo tale per cui la leggerezza della seconda riesce a equilibrare il peso del primo. Emulando il ritmo respiratorio, l’installazione rimanda alla complessità legata alla misurazione del lavoro e dello sforzo individuale. Di nuovo un tentativo di rimarcare l’ambiguità connessa all’ideazione di sistemi di quantificazione standardizzati che, più in grande, influenzano inevitabilmente la sfera soggettiva e il suo approccio alla realtà circostante. Tramite questo carattere di apertura multimediale e di riflessione costante sulle potenzialità d’interazione tra oggetti, corpo e spazio, Cheon mira dunque a scuotere il “come” le oramai anestetizzate capacità d’indagine individuali si applichino all’interpretazione del quotidiano. Una volontà ulteriormente avvalorata da un senso di pragmaticità nell’approcciare le proprie riflessioni che affonda le sue radici su un certo tipo di vissuto che scongiura il rischio che il lavoro resti invischiato tra i grovigli della più scontata utopia ideologica.

[1] (https://bombmagazine.org/articles/robert-gober/).

Info:

 www.hyojucheon.com

Hyoju Cheon (1994) ha conseguito un MFA presso la Colombia University, New York e attualmente parte del programma di residenza presso la NARS Foundation. Solo-shows più recenti includono Memory Mirage, Kunstraum LLC, Brooklyn, USA (2023), Siding with things, Subtitled nyc, Brooklyn, USA (2023), CV exhibition, Hello artists, Busan, Korea (2023), Lighting, Tapiial Virtual gallery, Chile (2023), Flow – out, CLEA RSKY Coxsackie West, New York, USA (2022), OTHERWISE, curated by Victoria, Howon Kim and Carlora, Half gallery, New York, USA (2022), Hyoju Cheon: Mapping without scale, curated by Howon Kim, Iron Velvet, New York, USA (2022). Tra i group-shows invece 공동프로젝트, Project Broom, Seoul, Korea (2019), Five (un)necessary things that we are carrying, Dongsomun, Seoul, Korea, OH MY HOMETOWN _ from ! ’, 미아리고개 하부공간 미인도, meindo, Seoul, Korea (2019). Nel 2023 è stata selezionata per la residenza presso Kunstraum LLC, Brooklyn, USA.


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