L’altra costa a cui allude il titolo della mostra collettiva attualmente in corso al Centre d’Arts Santa Mònica, L’altre costat, è quella raggiungibile avventurandosi verso il confine fra realtà e altre dimensioni, sia fisiche sia metafisiche, superando le rigide categorie binarie a cui siamo abituati e promuovendo un viaggio trasformativo verso l’ignoto e il desiderato. All’interno di questo progetto immersivo, ideato da Ferran Utzet e Enric Puig Punyet, trova spazio la ricostruzione dell’Episodio di Cape Town, installazione ambientale di Gian Maria Tosatti inserita nel ciclo Il mio cuore è vuoto come uno specchio. Il corpus di opere che lo compongono sono il frutto di un lungo e sentito percorso attraverso l’Europa e della crisi che la democrazia vi sta vivendo, razionalizzatosi in meditazioni in situ prodotte dall’amalgamarsi dell’artista con il tessuto sociale e urbano delle città che lo ospitano. L’Episodio di Cape Town, originatosi nell’unica città al di fuori dei confini europei coinvolta da Tosatti, ci invita a sperimentare attivamente la malinconia di un luogo dove le persone vivono le conseguenze tangibili della dissoluzione della democrazia, che non è ipotetica o marginale, ma profondamente reale.
Si entra da soli, uno alla volta, ma la compagnia dell’assenza materializzata – o del proprio fardello – non ci abbandona mai. Varcando la soglia dell’unica porta che può essere aperta, fra le tre che affacciano sull’anticamera dell’Episodio di Cape Town – ornata da una Kentia, una palma tropicale, poggiata su un pavimento di marmo Marquina, abissalmente nero e riflettente – mi ritrovo in uno spazio intimo e familiare. Un lungo corridoio in penombra e altre porte, più umili rispetto alle precedenti, suggeriscono che il limitare fra un ambiente e l’altro si è fatto fragile, in un’abitazione i cui confini sono stati ormai superati. Due stanze collegate fra loro compongono lo scheletro intorno al quale si fa corpo un sentimento. Sparse intorno all’arredamento anni Settanta – un letto singolo, un comodino di legno, una scrivania di ferro, due sedie imbottite e tre di legno, un divano in pelle, una lampada da terra e due mobili, sui quali poggiano un ventilatore e un giradischi – si susseguono congetture intense e personali. In questo luogo che percorro per la prima volta riconosco i segni di una compagna del passato, i ricordi dei pugni emotivi che ci siamo scambiati e i denti che ci hanno fatto cadere, le lacrime versate e conservate per non dimenticarle – per migliorare. Immagini opache e suoni incomprensibili, negli specchi, sui giornali e nella televisione accesa, così come le reminiscenze di qualcosa che non c’è più devono diventare, almeno temporaneamente, per guarirne.
Questa descrizione, eccezionalmente scritta in prima persona, racconta innanzitutto l’esperienza provocata da un complesso dispositivo performativo che, come Gian Maria Tosatti stesso afferma, deve darti la sensazione di essere completamente libero. Non parliamo, dunque, di uno spazio di manovra illusorio che l’artista ricerca per concedercelo, ma delle condizioni reali per evidenziare uno svasamento interiore. Una discrepanza soggettiva dipendente, in ognuno, da un trauma differente, attraverso la quale in quest’opera aperta è possibile immaginarne forme nuove, senza limitarsi al completamento di quella predisposta o alla sua sola osservazione. Tantopiù in queste circostanze, una mostra collettiva a Barcellona, nella quale per la prima volta un’installazione ambientale concepita per un luogo vivo, abitato, consumato, come l’edificio che l’accoglieva a Cape Town nel 2019, viene ricostruita in un contesto museale.
Al di là della lettura sentimentale che può sorgere dall’apertura di questo lavoro, Kaapstad episode e tutto il ciclo di opere a cui appartiene, Il mio cuore è vuoto come uno specchio, nascono da una questione politica precisa. Catania, Riga, Cape Town, Odessa e Istanbul sono le tappe di un percorso meditativo intorno alla crisi della democrazia che l’Europa vive ormai da tempo. Due fattori supportano la profondità di queste riflessioni: il primo è che Tosatti inizia questo ciclo nel 2018, dopo un periodo di permanenza negli Stati Uniti, durante il quale sperimenta un punto di vista esterno – e in quanto tale favorito – sul vecchio continente di cui poi ci avrebbe parlato, il secondo, la scelta dell’Episodio di Cape Town per essere riedificato in Catalogna. Il Sud Africa rispecchia le istanze più negative del continente europeo. L’Africa ne rispecchia la maggioranza dei problemi, essendo la sua discarica, un luogo dove trovano spazio i rifiuti di una società impositiva e consumista, che riempie i vuoti lasciati dallo sfruttamento delle risorse con i propri peccati. Vuoto che Tosatti percepisce fin dal suo arrivo nella capitale sudafricana, in occasione di una residenza presso l’A4 Arts Foundation, il vuoto che una sete inestinguibile provocherebbe nel petto e nello stomaco.
Trovare un collegamento fra Cape Town e Barcellona è semplice; questo legame si dipana attraverso i mari, tramite i quali tutte le città portuali del ciclo sono connesse – luoghi di approdo e partenza, da cui è possibile osservare prospetticamente ciò che si abbandona – accomunati dalla sofferenza, l’ignavia e il rimorso generati dai fascismi.
Mattia Caggiano
Info:
AA.VV. L’altre costat
29/02/2024 – 02/06/2024
a cura di Ferran Utzet, Enric Puig Punyet
Centre d’Arts Santa Mònica
La Rambla, 7 – 08002 Barcelona
https://artssantamonica.gencat.cat/en/
Mattia Caggiano (Asti, 1999) è un giovane critico e teorico dell’arte, con base a Venezia e Torino. Il suo lavoro si concentra su temi legati all’installazione ambientale e all’interazione tra l’opera d’arte e il contesto circostante. Attraverso un approccio ricco di contaminazioni disciplinari, esplora le dinamiche estetiche e i dialoghi che emergono tra arte, ambiente e esperienza, contribuendo a una comprensione più profonda del panorama contemporaneo tramite ricerche a lungo termine riportate all’interno di saggi e pubblicazioni.
NO COMMENT