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Holobiont Rhapsody, dove l’invisibile diventa visibile. Stach Szumski e Francesco Pacelli a Eastcontemporary

Eastcontemporary è lo spazio indipendente fondato a Milano da Agnieszka Faferek e Julia Korzycka nel 2020 in via Pecchio 3. Il loro obiettivo è presentare il panorama artistico e culturale dell’Europa Centrale e dell’Est, valicando confini geografici, disciplinari e sociali, attraverso pratiche che espandano il dibattito intorno alle dicotomie del mondo globalizzato. Il public program Odds Against Tomorrow è uno sforzo curatoriale che esplora il concetto di futuro come narrazione a più livelli, per stimolare coscienze critiche capaci di letture divergenti e transitive. Il palinsesto è pensato come una “forma spazio-temporale”: una serie di mostre, incontri e una pubblicazione per i quali diversi autori sono stati invitati a ipotizzare paesaggi futuribili, universi archeo-futuristici dove reimmaginare ecosistemi di senso.

Tale volontà di superare le frontiere si è tradotta in Holobiont Rhapsody, inaugurata il 18 dicembre scorso e visitabile fino al prossimo 30 gennaio, primo dialogo tra un artista est-europeo, Stach Szumski (Danzica, 1992), e uno italiano, Francesco Pacelli (Perugia, 1988). Il termine “holobiont” indica un organismo ospite e le comunità associate di microorganismi in simbiosi con esso. Batteri e funghi sono creature ancestrali invisibili a occhio nudo, ma che esistono con noi e regolano interi ecosistemi, creando simbiosi tra tutti i viventi. Proprio a questa rete di infinite interazioni simbiotiche fa riferimento la parola “rhapsody”.

La ricerca di Stach Szumski esplora molteplici media, quali disegno, arte urbana, grafica digitale, pittura, scultura, musica sperimentale, installazione e progetti site specific, traendo spunti da pratiche legate ai post-graffiti, all’estetica folcloristica, agli alfabeti estinti e a forme para archeologiche. A Eastcontemporary l’artista espone The Issue of Office Bacteria, quattro monumentali dipinti in acrilico (2×2 m), il cui titolo richiama alla mente l’opposizione tra la pulizia spasmodica di uffici asettici e la vitalità brulicante dei microorganismi che nonostante tutto vi abitano. Il white cube di via Pecchio è animato da potenti immagini, forme mostruose, ma secondo l’etimologia di “monstrum” quale fenomeno portentoso o eccezionale. Entrando si ha la sensazione di compiere un viaggio nel tempo e nello spazio, trasportati da una vertigine panica verso territori inesplorati, paesaggi ancestrali in scala di grigi dove forme organiche si coagulano, turbinano e infiammano l’aria, partorite da una fantasia iconografica vivida e rapace, in bilico tra familiarità e alterità.

Nei lavori di Francesco Pacelli ripetute stratificazioni semantiche e tensione continua alla sperimentazione materica collaborano per sondare i rapporti dell’essere umano con le sue prospettive evoluzionistiche, tra ibridazioni e de-generazioni. L’artista sviluppa i propri interventi a partire da un profondo rapporto con il luogo, puntando a strutturare ambienti ed esperienze immersive, in dialogo con il contesto, come nel caso di Synthetic states of dessolution. Sinuose lingue di sabbia nera, metà terriccio naturale metà fondale sintetico per acquari, solcano il pavimento, invadendo lo spazio e adattandosi alla sua architettura, come un unico organismo vivo, una vibrante epidermide percorsa da nervi, pori e fluidi.  Da questo tessuto connettivo spuntano piccoli esseri non ben definiti in ceramica smaltata, le cui forme sono contemporaneamente organiche e astratte: non rappresentano nulla, ma sono frutto di un immaginario ambiguo eppure plausibile, dal quale sgorgano attraverso un processo istintivo di confronto con la materia. Sono microorganismi “altri”, inafferrabili ed evocativi, appelli in essere a percezioni tangenziali cui ciascuno può attribuire una personale definizione biologica o semantica. Ambiguità e plausibilità sono le coordinate dentro le quali si muove l’indagine di Francesco Pacelli, che a Eastcontemporary inscena un gioco di composizioni e assemblaggi, come per tre disegni eseguiti con perizia maniacale durante il lockdown. Questi si ispirano a una ricerca tra le stampe dell’archivio digitale del Museo di Storia Naturale e strutturano identità figurative ibride, metà spugne e metà orecchie animali, chiari riferimenti a facoltà di “radar”, di assorbimento, acuitesi nel silenzio e nell’assenza di stimoli della quarantena. L’artista instaura sempre un rapporto partecipato con la natura, le cui iconografie affollano la sua fantasia famelica. Sia che si allontani da essa per mezzo di distorsione sia che vi faccia ritorno per analogia, Francesco Pacelli attribuisce una forma estetica all’invisibile, approdando a una dimensione dove le sue sculture vivono in autonomia e dove è possibile per noi sondare profondità altrimenti negate al nostro sguardo.

Nelle Riflessioni[1] Simone Weil scrive: “La scienza è un monopolio […] i profani hanno accesso solo ai risultati, non ai metodi, cioè possono solo credere e non assimilare”. Tale esclusione dalla conoscenza vera, secondo l’autrice, sarebbe la causa della generalizzata angoscia per un futuro percepito come ineludibile. In questo momento di chiusura e paura, allorché scienza e politica sono sempre più simili a dogmi, Eastcontemporary, insieme a Stach Szumski e Francesco Pacelli, trasforma le proprie vetrine in lenti d’ingrandimento per incitarci ad andare oltre, a guardare oltre, verso alternative possibili che rinegozino i termini del nostro presente e, soprattutto, del nostro domani.

Marta Orsola Sironi

[1]  Simone Weil, Riflessioni sulle cause della libertà e dell’oppressione sociale, Adelphi, Milano 1990

Info:

www.east-contemporary.org

Holobiont Rhapsody: Stach Szumski e Francesco PacelliStach Szumski e Francesco Pacelli, Holobiont Rhapsody, installation view at Eastcontemporary, Milan

Stach Szumski, The Issue of Office Bacteria I, 2018, acrylic on canvas, 200 x 200 cm, courtesy of eastcontemporary and the artist

Francesco Pacelli, Synthetic states of dissolution (detail), 2020, glazed ceramics, sand, soil, courtesy of eastcontemporary and the artist

Francesco Pacelli, Radars series, 2020, graphite on paper, wood frame and anti-reflective glass, 26 x 34 x 3,5cm, courtesy of eastcontemporary and the artist


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