Per la seconda edizione di Foto/Industria, rassegna biennale dedicata alla fotografia industriale promossa dalla Fondazione MAST in collaborazione con il Comune di Bologna, il MAMbo presenta la prima personale italiana di Hong Hao, artista cinese classe 1965 originario di Beijing, dove è rappresentato da Pace Gallery. In linea con l’idea guida della rassegna, che vuol essere un osservatorio diretto sul mondo del lavoro in tutte le sue accezioni e implicazioni attraverso lo sguardo di alcuni tra i principali fotografi internazionali, l’artista analizza e documenta la recente espansione del consumismo in Cina in una serie di opere nate come sviluppo di un meticoloso progetto iniziato nel 2001.
In quel periodo infatti Hao inizia a scansionare regolarmente gli oggetti che trova o utilizza inserendoli in uno scanner, salvandoli in formato digitale e classificando i file in diverse cartelle del suo computer per comporre uno sterminato archivio virtuale che registra quasi ogni elemento materiale della sua quotidianità. Le singole immagini vengono poi organizzate per forma, colore o tipologia e, giustapponendosi l’una all’altra, diventano le tessere di complessi collages digitali che compongono colorate nature morte di grande formato. Questo procedimento, che mantiene intatte le proporzioni degli oggetti ma ne annulla le caratteristiche funzionali, trasforma l’iper-oggettività della documentazione iniziale in una lussureggiante riproduzione deliberatamente indifferenziata e bidimensionale. Alcune immagini presentano collezioni tematiche, come dorsi di libri, basi di piccoli elettrodomestici o confezioni di cibo, altre riflettono un principio ordinatore astratto, come la serie dedicata al cerchio, in altre prevale la componente autobiografica rispecchiando un momento particolare del vissuto dell’artista. Dal punto di vista stilistico l’interpretazione delle forme si evolve in senso lineare, come si può osservare confrontando i primi assemblaggi, caotici e ancora idealmente volumetrici nell’uso della sovrapposizione, con le opere più recenti, in cui ogni elemento sembra trovare la propria collocazione stabilendo una relazione di necessità reciproca con i contorni degli oggetti confinanti che trasforma la giustapposizione in un insieme simbiotico.
L’ossessione di eternare in immagine i suoi beni transitori non esprime, come si potrebbe immediatamente pensare, una compulsività possessiva: questo paziente inventario è una pratica di raffreddamento in cui il diario visivo diventa una forma di contabilità che nella reiterazione perde l’iniziale connotazione privata per registrare l’evoluzione delle abitudini dei consumatori cinesi. Al contrario della fotografia, che presuppone una certa distanza fisica dello strumento dall’oggetto rappresentato e il coinvolgimento diretto dell’autore che esprime il suo soggettivo punto di vista, la scansione elettronica appiattisce visivamente le cose restituendole in un’immagine parziale ma incontrovertibilmente oggettiva. Attraverso questo procedimento Hao scioglie il legame emotivo che lo lega alle “sue cose” per stabilire una distanza critica e mentale che diventa il presupposto della storicizzazione visiva della condizione umana nell’odierna società consumistica. La crescente necessità di beni materiali spesso superflui, che condiziona profondamente le nostre modalità di partecipazione sociale, è infatti conseguenza di precise strategie politiche ed economiche che trascendono l’individuo per instaurare provvisori equilibri di convivenza globale. Gli attraenti tappeti di oggetti composti da Hao, che disorientano lo sguardo con una serialità differente e potenzialmente infinita come l’incremento del desiderio provocato dal sistema consumistico, ci spingono a riflettere su quanto i nostri bisogni sociali siano in realtà indotti e a chiederci cosa possa essere veramente essenziale.
La composizione-disposizione diventa quindi una forma di meditazione etica ed estetica che porta alla creazione di un vocabolario artistico personalizzato inserito a pieno titolo nello sviluppo dialettico della storia dell’arte. Ideale evoluzione dei celebri ammassamenti di Arman, che rivelavano l’intimo principio di deformazione degli oggetti industriali, le giustapposizioni di Hao investigano la reciproca compatibilità di forme appiattite dalla rielaborazione digitale che nell’insieme generano la stessa misteriosa espressività degli assemblaggi scultorei del maestro del Nouveau Réalisme. La sua ars combinatoria inoltre esplora le nuove possibilità d’interrelazione morfologica e cromatica offerte dalla digitalizzazione, evidenziando come negli ultimi anni il sistema strutturale della visione si sia evoluto in una planarità artificiale e continua generata dai sistemi additivi orizzontali alla base dei codici di programmazione.
Foto/Industria Bologna Biennale 2015
3 ottobre-1 novembre 2015
www.fotoindustria.it
Hong Hao, Red Re-Production, 2006 © Hong Hao Courtesy Pace Beijing
Hong Hao, Le Mie Cose N.5, 2002 © Hong Hao Courtesy Pace Beijing
Hong Hao, Contabilità 07 B, 2008 © Hong Hao Courtesy Pace Beijing
Hong Hao, Le mie cose N. 7, 2004 – © Hong Hao Courtesy Pace Beijing
Laureata in storia dell’arte al DAMS di Bologna, città dove ha continuato a vivere e lavorare, si specializza a Siena con Enrico Crispolti. Curiosa e attenta al divenire della contemporaneità, crede nel potere dell’arte di rendere più interessante la vita e ama esplorarne le ultime tendenze attraverso il dialogo con artisti, curatori e galleristi. Considera la scrittura una forma di ragionamento e analisi che ricostruisce il collegamento tra il percorso creativo dell’artista e il contesto che lo circonda.
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