“Il genere umano è destinato a sparire?” questa è l’inquietante domanda che è stata proposta come fondamento di riflessione per l’edizione 2019/2020 della Biennale delle arti numeriche Nemo. Per cinque mesi, da ottobre 2019 a febbraio 2020, più di 80 eventi, organizzati in collaborazione con 45 luoghi culturali disseminati in tutta la Francia, tra cui anche la mostra Human Learning al Centro culturale Canadese di Parigi prolungata fino a metà aprile, hanno tentato di rispondere a questo interrogativo.
Attraverso l’esposizione collettiva delle opere di diversi artisti francesi e canadesi, viene affrontato il tema dell’apprendimento automatico (machine learning), legato allo studio dell’intelligenza artificiale. In sostanza ci si fonda su un sistema matematico e statistico per permettere ai computer di “imparare”, cioè di essere capaci di risolvere compiti sempre nuovi e per i quali non sono stati programmati. Esatto, stiamo parlando di macchine autonome, e pur senza volerci spingere troppo in là, “pensanti”. L’apprendimento automatico promuove lo sviluppo delle competenze delle macchine dando per esempio ai robot la capacità di locomozione, di percezione dell’ambiente che li circonda e di riconoscimento dei visi, dei linguaggi corporali, dei caratteri manoscritti, eccetera. Lo scopo è supportare l’attività dell’essere umano in diversi ambiti come le diagnosi mediche, l’investigazione e scoperta delle frodi assicurative, l’analisi finanziaria o quella giuridica e giudiziaria. Da quando il matematico Alan Turing ha cominciato negli anni ‘50 a fare delle ricerche in materia, si è assistito a numerose evoluzioni che hanno condotto a una quasi totale dipendenza dell’essere umano alla tecnologia.
Nell’ambito artistico uno dei pionieri in questo senso è il pittore e scultore Nicolas Schöffer, produttore di arte cinetica, cioè quella che propone opere contenenti delle parti in movimento, ma soprattutto di arte cibernetica, oggi detta arte interattiva.
Una volta tracciato il cammino numerosi altri artisti si sono avventurati in questo approccio innovativo “collaborando” con i robot per realizzare le loro opere. Tuttavia gradualmente è cominciata a sorgere l’idea che queste macchine potrebbero diventare… non diciamo artisti, ma “produttori d’arte” autonomi e forse più performanti dell’essere umano. Gli esperti di robotica e gli autori di romanzi di fantascienza abbordano il tema sottolineando la possibilità che l’essere umano debole e irresponsabile potrebbe, un giorno non molto lontano, essere dominato e a lungo termine sostituito interamente dalle macchine. Fortunatamente in generale questi racconti si concludono con una rivincita del genere umano che, benché imperfetto, possiede qualcosa che le macchine non avranno mai: un cuore o meglio la capacità di trasmettere le emozioni e di comunicare attraverso di esse con i membri della propria specie grazie al meccanismo dell’empatia. Nel contesto di questa mostra però, il dibattito si sposta di qualche centimetro facendo vacillare l’asse del pensiero comune. In effetti ci si interroga sulla possibilità che le macchine alle quali abbiamo e continuiamo a “insegnare” tutto, alimentandole di dati sempre nuovi, possono ormai insegnarci a loro volta delle cose se sappiamo osservarle. In questo senso, gli artisti, che da sempre hanno un ruolo di osservatori e trascrivono la realtà attraverso la loro interpretazione, si appropriano di queste nuove tecnologie e imparano da esse. Se è indiscutibile che l’essere umano costruisce la sua personalità attraverso il rapporto con gli altri, questa mostra fa riflettere sulla necessità di confrontarsi con gli altri “macchinici” che fanno sempre più parte del nostro quotidiano.
In questa mostra potrete vedere opere straordinarie quali Interference, di Matthew Biederman. Si tratta di una scultura di luce che l’artista ha realizzato ispirandosi in parte all’esperimento grazie al quale nel 1801 Thomas Young dimostrò la natura ondulatoria della luce, e in parte alle tecniche di nano fabbricazione che permettono di guidare le onde luminose. La scultura di Biederman, che presenta la struttura più comune dei cristalli fotonici cioè a “catasta di legna”, mostra due onde luminose che si incontrano e poi si allontanano creando varie scale cromatiche. In questo modo la superficie della scultura sembra rompersi e ricostituirsi ogni volta. Ma la vera particolarità di quest’opera è che crea una varietà di illusioni percettive che mutano in funzione della posizione dalla quale la si osserva. Inoltre quest’opera è dotata di una traccia audio tratta da “Laminar Flow”, una registrazione binaurale del suono di una sala macchine, registrazione cioè realizzata in 3D al fine di ottimizzare l’ascolto in cuffia.
Un altro lavoro decisamente impressionante è Minimal Object di David Rockeby. Un’opera appunto minimale costituita da un telaio sul quale è stata fissata una tela grigia senza alcuna rappresentazione. Ma a discapito delle apparenze non si tratta di una semplice opera di arte astratta. Avvicinandosi in effetti ci si accorge che la tela ricorda quella degli altoparlanti dello stereo e presto si scopre che si tratta di un vero e proprio strumento musicale. Se si sorvola la tela con la mano, dei suoni sorgono senza che il meccanismo sia visibile. Ciò trasforma i visitatori in interpreti di una “musica estirpata dall’invisibile” come dichiara la didascalia dell’opera. In questo modo l’artista ha voluto sottolineare come le nostre azioni quotidiane nel mondo dell’informatica sono basate su dati di cui non conosciamo la localizzazione precisa.
Per concludere questo tour a sua volta virtuale della mostra, non si può non citare l’artista Louis-Philippe Rodeau il quale precisa che il carattere interattivo della sua opera Liminal non implica che il pubblico ne sia il creatore ma solo il responsabile del suo godimento estetico.
Questa installazione consiste in un arco luminoso che gioca il ruolo di portale temporale. Una volta che lo spettatore decide di varcarlo, la sua immagine distorta si riflette su di uno schermo adiacente attraverso un processo fotografico e cinematografico detto slit-scan. Si tratta della messa in opera di una metafora visiva che sottolinea come il passato non cessi mai di impossessarsi del presente… Benvenuti nella galleria d’arte del futuro!
Ilaria Greta De Santis
Info:
Human Learning – Quello che le macchine ci insegnano
5 febbraio – 17 aprile 2020 (chiuso fino a fine marzo a causa del Covid_19)
Centre Culturel Canadien
5 rue de Constantine, 75007 Paris, France
Sabrina Ratté, Alpenglow, 2018. Inkjet print & projection 115 x 150 cm Courtesy Ellephant Gallery, Montreal and Charlot Gallery, Paris
Matthew Biederman, Morphogenerator, 2018. Software-based generative multichannel video 168 x 300 cm. This work was created during a Scale Travels residency at the Iberian Nanosystems Laboratory with the assistance of the Nanophotonics Group + gnration in Braga, Portugal with the support of the Conseil des Arts et des Lettres du Québec and the Canada Council for the Arts
David Rokeby, Minimal Object (with time on your hands), 2012. Interactive audio installation 124 x 124 cm
Louis-Philippe Rondeau, Liminal, 2018. Projection size 110 x 600 cm
Parafrasando Fellini, vi dirò che sono un’ostrica e il mio percorso un granello di sabbia che sta trasformandosi in perla. Dalla laurea in legge a quella in storia dell’arte alla Sorbona di Parigi. Dalla capitale francese vi racconto di arte.
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