Intervenire sui paradigmi visivi, scavare nelle convenzioni formali e nel sistema sociale, dissociandone le sinergie iconiche. Agire sulla superficie e al suo interno affinchè nulla resti intatto, nulla resti immune al tempo, nulla resti.
Nella creazione di Silvia Argiolas c’è però la traccia del passaggio nell’articolazione dei segni che compongono un logos primigenio che si serve di immagini e memoria. Materia pittorica, frammento fotografico, ma anche oggetto legato al contesto del territorio con cui l’artista opera in occasione di vari progetti. Persino nelle cose quotidiane, nella loro accurata presenza, occorre porre l’accento sul caos latente che sta nella memoria di ogni storia locale, e che viene riattivato dai processi dell’arte. La costruzione poetica di Argiolas, lenta ed espressiva, cambia repentinamente forma, intensificando le sue dinamiche attraverso una gestualità cromatica e immediata.
Non ci resta che pro-cedere, girovagare, curiosare tra gli ambienti di una casa che sembra ogni giorno mutare orientamento. Una dimora che più che accogliere, raccoglie gli elementi più disparati eppure collegati da un filo esistenziale in(di)visibile. C’è allora spazio per il retro di una cartolina, per una biro, per l’espressionismo arcaico, per la densità del colore, per la sensualità e per l’introspezione. Ogni dettaglio rende possibile la costruzione di una narrazione attuale, che respira e si espande sulla tela.
Un mondo panico, quello di Silvia, in cui l’essere è al contempo soggetto e ingranaggio sociale, in quanto, produttore di una memoria che si mostra alll’esterno con elegante irruenza generando cortocircuiti visuali inediti e insperati.
Una produzione di “iconogrammi”, lessemi formali, che costruiscono la percezione estetica in quanto l’io genera costantemente e costantemente si nega alla sua autenticità. Si stratificano così le intenzioni del processo artistico attraverso l’elemento attivo cromatico che intacca le certezze conducendoci in un lirismo espressionista che si dilata e contemporaneamente protegge sonorità visive lievi.
La componente onirico-nostalgica che caratterizza il ricordo, la poetica esistenziale delle cose che accadono, l’unione di polarità, il desiderio, la volontà, la musica, l’attualizzazione del simbolismo che sopravvive nel gesto, le forme e gli odori, la tragica reciprocità, l’anima della materia e l’imprevedibilità del visibile. Una moltitudine di concetti e soprattutto eventi reali, causali ed emozionali sembra caricare di senso la pittura dell’artista. E questa onnipresenza d’immagini si fa riflessione, indagine perfetta sull’imperfezione delle cose tra cui l’essere esiste ed agisce.
Epifanie di luoghi reconditi, trasfigurazioni di segni istintivi, riscatti emotivi, figure antropomorfe ed elementi del contesto solo accennati, prendono forma all’interno di composizioni, come indeterminate percezioni in divenire su tela e su carta che attendono di essere risvegliate.
“You can’t make an omelet without breaking some eggs” alla Galleria Microba di Bari, “Ti amo dal profondo del mio odio” presso la Galleria Richter Fine Art di Roma e “Als ich begriff, dass ich sterblich bin” presso la Galerie Rompone a Köln, sono gli eventi espositivi più recenti che hanno presentato al pubblico le opere e gli interventi dell’artista.
Sappiamo perfettamente che nella società attuale l’immagine è ovunque. Ascoltiamo, vediamo. Allora la sua organizzazione è fatto, processo, costruzione estetica e precettiva, dove la libertà sta nell’azione-decisione in grado di manifestare l’idea connettendo l’io alla radice sociale tra consuetudini, rituali, preghiere.
Libertà espressiva vibrante, assorbimento del mondo, genesi di una forma che ad altro non serve se non a ricordare. L’arte di Silvia Argiolas fa sì che tutto questo paradigma di segni essenziali non si dimentichi, che l’inquietudine permanga a generare tracce di un passaggio. Il nostro. Dal caos latente alle cose che accadono.
Silvia Argiolas, Il rito, collezione privata, 2020
Silvia Argiolas, Le lacrime amare, 2019 Courtesy Galleria Rompone
Silvia Argiolas, Il gatto blu, 2019, collezione Rivabella
Storico dell’arte, critico e curatrice indipendente. Lavora attivamente in progetti dedicati alle arti visive occupandosi in particolare di scrittura critica e comunicazione. Attualmente vive in Messico dove lavora come docente universitario di Gestione delle Arti Visive. Parallelamente al suo percorso di studi in Storia dell’arte, archeologia e curatela di eventi culturali, si é diplomata in canto jazz presso il Conservatorio di Bari N. Piccinni. Al centro dei suoi interessi si incontrano le manifestazioni artistiche connesse alla relazione tra musica, voce e suoi aspetti rituali e iconografici.
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